Il respiro del tempo

di

Emilia Fragomeni


Emilia Fragomeni - Il respiro del tempo
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 136 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6037-8774

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autrice è III classificata
nel concorso letterario “Città di Monza” 2008.


In copertina: «Attesa» olio su tela, 100 × 100 di Tiziana Nucera
retro di copertina: «Labirinti» olio su masonite, 50 × 90 di Tiziana Nucera


“Dovrebbe farsi vento
la voce del tempo…”

(A Giuseppe, Amedeo e Luigi)


Prefazione
di Rosa Elisa Giangoia

Dalla lettura delle poesie di questa nuova silloge di Emilia Fragomeni la prima e più forte impressione che si ricava è il senso dell’armonia, un’armonia che colpisce a livello sonoro se ci si abbandona ad una lettura ad alta voce, quanto mai piacevole ed accattivante, per il fluire melodioso dei suoni, che si adagiano in versi ampi, sovente prolungati negli enjembement, con le ricorrenze delle anafore e delle allitterazioni, con le rime occasionali ma sapientemente distribuite, un’armonia che però si rivela ben più profonda se si analizzano le singole liriche, tanto che si può parlare di unità d’armonia o meglio ancora del piano del significante che esprime il significato facendosene immagine ed emblema. È un’armonia avvolgente che riesce a ribaltare e superare anche le situazioni problematiche e di dolore con la dolcezza di immagini consolanti, aprendo positive attese di speranza. Lo si vede chiaramente sin dalla lirica d’apertura “Dolci effluvi”, in cui la situazione espressa dal distico iniziale (Il cuore ha aliti fragili e tremori / che sfuggono al mistero del pensiero) viene ribaltata nei versi conclusivi in cui i pensieri diventano dolci e l’anima si attracca a nuovi sentimenti / che parlino di fede e di speranza, attraverso un itinerario di suggestive immagini di contatto con la natura. Ben evidente questa dinamica è, ad esempio, in “Addio”, che inizia con un verso lugubre solo ad una prima impressione (Piange il Crisantemo), in quanto la tristezza del pianto viene subito mitigata dal fiore, che prolunga la sua funzione consolatoria nei versi successivi, in cui campeggiano aggettivi di area semantica positiva (lieve, dolce).
Questa dialettica di superamento del negativo, per la capacità della poetessa di cogliere ed appropriarsi del positivo, continua come elemento di persistenza che collega tutte quelle liriche che si incentrano su una sua personale riflessione esistenziale, attraverso emozioni, sensazioni e stati d’animo soggettivi. Sovente l’elemento che sa farsi chiave di volta dal negativo al positivo è il mare, che con la sua immensità diventa emblema di quell’apertura alla speranza, elemento di continuità e persistenza in tutta la silloge. Significativa a questo riguardo è la lirica “All’ombra del silenzio”, in cui la sensazione di malinconia e di desolazione del distico iniziale (All’ombra del silenzio mi nascondo, / per illudere le mie mani vuote e stanche), viene subito ad aprirsi a nuove positive prospettive con il Ma d’inizio della strofe seguente dove termini di ambito semantico positivo (luce, alba dorata, voce) preparano a quel mistero di cui si farà simbolo il successivo spruzzo marino preludio di quel risvegliarsi della poetessa creatura nuova nell’ossimorica dimensione di un tramonto aperto alla speranza.
Il mare è l’elemento di maggiore persistenza ed efficacia nei passaggi degli stati d’animo, delle condizioni interiori dal negativo al positivo, ma la stessa funzione la svolgono anche altri elementi della natura, come il cielo, la luce, il vento, la vegetazione, soprattutto i fiori con l’acceso cromatismo mediterraneo del rosso dei papaveri e del giallo delle ginestre.
A questo filone di poesie soggettive se ne intrecciano altri che rendono questa raccolta di poesie variegata per motivi d’ispirazione pur nell’unità che, come si diceva prima, è data dalla continuità di tono espressivo creato dal ritmo.
Innanzitutto vi sono le poesie di dialogo, in cui l’autrice apre il suo animo ad interlocutori privilegiati, in particolare il figlio, per coinvolgerlo in una condivisione di affetti e di prospettive, verso aperture di riflessione esistenziale, sempre contrassegnate dalla positività della speranza; ci sono poi poesie di tipo narrativo, in cui l’io soggettivo della poetessa trova una trasposizione oggettiva in personaggi anche semplici accomunati da un’identità di sentire (Il mare e il pescatore, Il vecchio e il fiore, Viandante sognatore).
Altre liriche esprimono con intensità sentimenti di grande affetto soprattutto nei confronti del padre (Le scarpe di mio padre) e della madre (Tra favole e nenie) e in qualche modo si ricollegano alla terra d’origine della poetessa e della sua famiglia, quella Calabria, amata, accarezzata nel ricordo e costantemente recuperata nella fantasia (Corre il pensiero, Echi di ricordi, Dolci effluvi).
Altre poesie prendono spunto da episodi della storia recente, rivisitati con profonda penetrazione umana (Fiore a Beslan, Oltre il dolore) ed altre ancora si fanno voce decisa di preghiera in un dialogo di grande ricchezza spirituale con l’Eterno (Nel mistero ti cerco, Ti ho sentito), a conferma di una Fede che, pur vissuta nell’insopprimibile travaglio delle quotidiane vicende umane, sa trovare un’adesione sicura con vibrante partecipazione anche liturgica, concentrandosi soprattutto nella solennità del Natale, su cui l’autrice ritorna in diverse liriche (Natale nel mio giardino, Un altro Natale, Un Natale di speranza), in un’originale sfaccettatura di riflessioni.
Infine ci sono liriche di dialogo con personaggi della tradizione cristiana, come san Francesco d’Assisi (San Francesco), e della più recente esperienza, come Giovanni Paolo II (Celesti Emozioni).
Da questi elementi appare come l’armonia sia l’obiettivo a cui la poetessa indirizza la sua vita, un obiettivo che coinvolge il creato, il suo Creatore e le figure che possono essere d’aiuto per raggiungere il traguardo, con un itinerario intellettuale e spirituale tratteggiato nella creatività poetica con forte tensione espressiva ed arricchito da immagini originali ed efficaci.


Il respiro del tempo


Echi di ricordi


Dolci effluvi

Il cuore ha aliti fragili e tremori
che sfuggono al mistero del pensiero.

Il brusio che lo scuote non è il canto
del giorno che si spegne, ma l’addio
degli istanti che si dissolvono
in passaggi di vento e di bufere.

Si sciolgono speranze e turbamenti
in un presente che racchiude
assieme il tutto e il niente.
Affondano nell’ora, nello specchio
silente della ragione del tempo.

Ho vissuto l’incanto dei miei sogni
come sillabe scandite nel silenzio,
come gocce tornate a dissetare,
disperse in crepe di segreti anfratti. 

Un effluvio di zagara prorompe
dal lago della mente,
zampilla tra limoni e gelsomini,
su nuvole immobili, sbucate
tra svolazzi di pensieri.

Sento vicina la luce delle stelle
e percepisco infiniti di silenzi,
aperti oltre i sussurri, oltre i respiri.

Raccolgo allora i dolci pensieri,
abbandonati sul greto del mio fiume,
e attracco l’anima a nuovi sentimenti
che parlino di fede e di speranza.


Echi di ricordi

Lungo i gradini delle vigna antica
ritroverò frammenti di ricordi,
incisi nella trasparenza del tempo,
partenze, ripartenze, anni infranti.

Risalirò la corrente del silenzio,
col sole che dardeggia nell’aria
atona d’autunno, inseguendo
soffi di teneri sogni.

E incontrerò te, nonno, i tuoi pensieri,
la tua fede cresciuta tra i filari.
Ti scorgerò nella luce settembrina
a dissodare zolle con fatica.

Ritroverò la mia terra lontana,
dove torno a cercarmi appena posso,
i giorni dolci sotto i pampini ombrosi,
le nostre passeggiate tra i sentieri.

Ritornerò all’ombra del silenzio,
dove la vite disegna meraviglie
e il vento ha un dialogo d’amore
coi pampini e i chicchi bruni e d’oro.

E tornerò per danzare col vento
e scivolare sulle tue ginocchia,
cullando desiderio di carezze
e nostalgia di colori d’ambra.

Risentirò il profumo dell’autunno,
tra geometrie di campi,
scricchiolii di foglie e sinfonie
d’un mistero rosso o bianco,
che carezza l’olfatto e riempie calici
di sogni, frammentati in clessidre
di speranza e dolci danze di ricordi.

Sarà una libagione ai miei antenati,
con quel greco spillato in controluce,
che sa ancora parlare d’amore,
d’amicizia e di speranza.


Nuvole di panna

Dal silenzio dell’anima riaffiora
l’incanto del percorso antico.
Dipanare i pensieri, gomitolo
di vita, a ricercare sensazioni
barricate nell’animo.

Da reconditi scrigni, ovattati d’ombra,
lieve brezza accarezza quei ricordi.
L’eco della vita risuona e protegge,
languida, un’esistenza dai ritmi lenti,
di un tempo non ancora impazzito,
tra risa di bimbi, corse sui prati,
sguardi impazienti, occhi persi
dietro l’elastico filo di una vita.

Discrete nuvole di panna aleggiano
sull’umanità ritrovata, colori
mai diluiti in sbiadite atmosfere,
sapori e profumi forti di terra,
di pioggia, di sole e di notte.

Azzurri di cielo, antico schermo
d’infanzia lontana, avvolgono sogni,
trafiggono parole mute, intrecciate,
mentre la vita, fuori, inutilmente
s’accapiglia.


Il gemito dell’ora

Oggi che non ci sono più sogni
per sognare, né c’è più vento
per le nostre vele, i miei pensieri
sfumano nell’aria, tra crepe
di silenzi, foglie di assenze
e calpestii di esistenze.
Si slegano dal laccio del torpore,
sgorgando in scintille di dolore.

Rivedo nel tramonto della sera quel fuoco
alto, enorme, che bruciò i miei sogni.
E nel lamento del vento che si scaglia
tra le braccia degli alberi spogli,
quando il silenzio è immenso,
risento il suono lungo, acuto,
che molte notti mi ha tenuta desta,
tra passi senza peso e soffi di lenzuola.

Ricerco fantasie ad alleviare paure
dell’infanzia, fardelli di tristezza
e di amarezza, profumi svaporati,
paesaggi sgualciti.

E il ricordo m’insegue, fugge dietro
il mio tempo, poi sboccia in sere
illuminate dal tocco lieve, dolce,
di una mano che mi rimesta il sangue
col ritmo incalzante che trascina
verso l’annullamento della mente.

Nell’indaco notturno un profumo,
un’essenza -che si sparge nell’aria
come polvere al vento- scuote gli anni
passati come foglie caduche, che si
dondolano al ramo come figli impauriti.

Ma gli anni sono la ruggine del tempo,
che si stende fra noi come deserto.
L’arsura ha bruciato le mie labbra.
Resta solo un sapore amarognolo di fiele
sotto i denti, che corrode spazio e tempo.
E intanto stride il gemito dell’ora.

Ora il mio passo è stanco.
Il mio sguardo assente.
Solo emozioni dissonanti rintoccano
nella mia mente: turbamenti, assenze,
incombenze. E il silenzio che diventa canto.

Mi raccolgo in frammenti, mentre aspetto
serena la mia sera, che bussa puntuale
alla mia porta, adagio, adagio, quasi
per non svegliarmi ancora dai ricordi.


Lacci di rimpianti

Volevo tornare a riascoltare la lira,
tra rami di gelsi suonati dal vento.
Volevo riaprire lo scrigno degli avi,
tra fiabe di miele e dure fatiche.
Volevo calzare sandali di sole,
per passi di danza su antichi sentieri.
Volevo indossare ali di lucciole,
per frammentarmi tra le pagine del tempo,
dentro l’incanto dei silenzi arcani.
Volevo udire vibrare le corde dei ricordi,
tra le vele ammainate dei rimpianti.
Volevo confondermi con i colori
che la memoria raccoglie dalla mente:
con l’oro delle spighe ancora incolte,
col giallo di gerani e di ginestre,
col fuoco dei papaveri nei prati,
col sangue delle vigne alle colline.

Volevo solo trovare la strada smarrita
dei sogni, in cui tuffare i colori
dell’ultimo tramonto.

Ma il tempo, pian piano, ha sbiadito luci
e colori, ricolmandoli dei suoi silenzi.

E io… ripiego le pagine del canto antico,
cullando ancora suoni d’arpe nella mente,
soffi luminosi che tornano con la brezza
dei ricordi, sospiri di nuvole che velano
iridate trasparenze, in cui fluisce il tempo
nell’onda chiara, libera da lacci di rimpianti.


Corre il pensiero

Corre il pensiero alla mia terra brulla
come improvviso palpito di ali,
che sveglia dal torpore chi è rimasto
e scuote dal dolore chi è lontano.

E sui sentieri dei campi d’avena
spigolo brandelli di memoria che
riportano te, nonna, alla mia mente.

Ritrovo more, fichi ed i limoni,
che coglievamo assieme la mattina,
per riempire cesti d’amore, scivolato
ormai tra cespugli d’erba “spina”.

Ora la tua casa è frantumata dall’urlo
di chiodi dentro il muro.
Nell’orto si respira solo… rancore.

Tu sei fuggita e l’erba si è seccata.
Brusio del nulla aleggia ormai
nel cielo arabescato del tuo amore.
Senso di vuoto cantilenante al posto
del frastuono lieto del tuo cuore.

Vagando nel giardino del dolore,
ho sentito l’ulivo che piangeva.

Ma nel velluto roseo del tramonto
suonano ancora linguaggi antichi,
voli di vita, d’api o di cicale, sogni
già sparsi oltre il verde crinale,
essenze complici di vasta umanità.

– È nostalgia? Rimpianto?
O solo… quel desiderio sordo,
senza luce, che afferra l’anima
e non ha pietà? –

Ma il fico sempre verde, nell’angolo
dell’orto, è ancora là.


Nel brivido di un’ombra

Ora che l’ombra della vita è breve,
ancor ti cerco con insaziato amore,
come un fanciullo al buio della notte,
sotto un patio di rovi.

Mi son cullata nell’aria e nei pensieri
di un solitario errare senza meta.
E ho lasciato la mia dimora vuota,
nell’angolo più estremo della terra,
dove si perde il mondo…

Son anni che ti cerco, terra mia,
nei suoni che rimbombano nel cuore,
nei passi lievi sulle sabbie fini,
nei luccichii del mare che s’increspa
alla carezza sommessa della luna,
negli ideali di valori spenti.

Son anni che ti cerco e poi ti dico addio,
ma torno a ricercarti e ad aspettare
nei fiumi disseccati di speranze,
nei passi che consumano la vita,
nei sogni che ci hanno abbandonato,
nelle tue zolle vinte dall’arsura.

E sempre si rifrange l’immagine dolente
di volti tristi, ragnatele di dolori e scempi,
avvolte nell’onda di rimpianti, che modulano
dolenti vibrazioni dell’anima nell’emarginazione
dell’amore e nel beffardo insulto alla ragione.

Forse non ti conosco ancora, terra mia,
e sei per me solo un frammento di nostalgia.
Forse devo aspettare, per rincontrarti,
tiepide percezioni sopra il vuoto,
corimbi di freschezze sui veli tuoi
disciolti in una danza limpida nel vento.
Forse devo aspettare la luna nuova,
– l’altra è passata invano e non ritorna. –

Ma invade il fiume rapido degli anni.
E avanzano violenze, soprusi, silenzi sospesi
dentro il vuoto disperdersi dell’esistenza.

Devi far presto allora!
Il tempo più non dà tregua.
Ritorna alla carezza e a giorni aperti
a nuovi abbracci, in un contesto magico
di luce, che rischiari il buio delle ore cupe.
Colora, come un tempo, gli aquiloni
di grida crepitanti di bambini.

E io ti aspetterò, con dentro un cuore
che non è più in esilio, nel sangue
l’ebbrezza della gioia e il brivido
di un’ombra, stornata dalla luna,
di nuova, ritrovata umanità.


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