Una sofferta difficile scelta

di

Elisa C. de Mores


Elisa C. de Mores - Una sofferta difficile scelta
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 114 - Euro 11,50
ISBN 978-88-6587-3656

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In copertina: fotografia dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto la silloge è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2013


Una sofferta difficile scelta


1

Un’intrusa. Ecco come si sentiva Eliana quella mattina a casa degli amici. Era arrivata senza avvisare, come aveva fatto altre volte, e li aveva trovati in compagnia di tante persone sedute intorno a un tavolo su cui c’erano bottiglie e bicchieri. Dopo le presentazioni ripresero a parlare di cose di cui lei non sapeva niente. Uno di loro, seduto quasi di fronte a lei, le chiese se voleva bere qualcosa. Rispose che era astemia e ringraziò. Vide per un attimo una luce ironica nei suoi occhi e si sentì inspiegabilmente a disagio. Evitava di guardarlo, facendo finta di interessarsi a quello che Antonia e Alberto, i suoi amici, dicevano. Ed ebbe l’impressione che anche lui evitasse il suo sguardo.
Si accomiatarono tutti, uno dopo l’altro, ma lui rimase ancora a parlare con Alberto, per una decina di minuti, il tempo di centellinare quello che aveva nel bicchiere. Antonia gli chiese di fermarsi a pranzo, elencando i cibi che aveva preparato, ma lui disse che gli dispiaceva ma non poteva fermarsi perché aveva un impegno inderogabile. Si alzò e tese la mano a Eliana per salutarla. Nella confusione delle presentazioni lei non aveva notato che fosse così alto e che aveva anche una bella figura. Lo guardò uscire mentre Alberto lo accompagnava. Lo superava in altezza di almeno venti centimetri.
Antonia era seccata e delusa.
“Ero sicura che si sarebbe fermato e mi sono data da fare per preparare un pasto speciale.”
“Forse perché c’ero io. Mi dispiace. Avrei dovuto avvisarvi prima di venire.”
“Ma cosa dici! Chissà perché ho pensato che si sarebbe fermato a pranzo.”
“Chi erano tutte quelle persone? Colleghi di Alberto?”
“No, amici della cugina di Alberto, quell’artista che organizzava grandi feste e che ci invitava sempre, perché eravamo gli unici parenti che avesse. Stanno preparando una mostra di lavori di artisti sardi e hanno chiesto ad Alberto se poteva mettere a disposizione alcuni lavori della cugina.”
“Dove sono questi lavori?”
“Nella sua casa vicino a Santa Margherita. Alberto l’ha ereditata assieme a tutte le sue opere che custodisce e tutela.”
“E l’altro chi è?”
“Emanuele? Lui era venuto più di due mesi fa con Alberto, di cui era stato compagno di scuola al liceo, e aveva visto nella libreria un testo che voleva leggere e che non si trovava più. Sai che sono molto restia a prestare i miei libri. Ma mi ero lasciata convincere dalla promessa che me lo avrebbe restituito il prima possibile. Pensavo ormai di averlo perso e invece ieri ha telefonato che sarebbe venuto oggi a riportarmelo. Ecco perché avevo pensato di invitarlo a pranzo.”
“Quindi era anche lui un intruso in mezzo a tutta quella gente.”
“Ti sei sentita un’intrusa?”
“In un certo senso sì. Ero fuori dal gruppo e dai discorsi. Per fortuna sono andati via presto. Mi sono sentita in colpa per essere venuta senza avvisarvi.”
“Mi dispiace. Pensi che anche Emanuele si sia sentito un intruso?”
“Non lo so. Non parlava. Rispondeva ad Alberto solo a monosillabi.”
“Mi dispiace per tutto. Adesso, per farmi perdonare, ti offro un bel pranzo.”
“Ti ringrazio ma me ne devo andare. Ho un appuntamento per mezzogiorno e mezzo e non posso disdirlo. Non avevo il tempo di andare a casa e tornare da queste parti, perciò sono venuta a trovarvi. Dovrai mangiarti il tuo bel pranzo da sola. Si vede che oggi è la tua giornata no.”
“Mi prendi anche in giro.”
“Ma no, è solo per sdrammatizzare.”
Eliana andò via sentendosi in colpa, senza sapere esattamente per che cosa.
Per qualche giorno continuò a pensare a quella mattina perché si sentiva disturbata dal comportamento di Antonia, che era stata sempre piuttosto sollecita nei confronti di tutti, e le era sembrata più offesa che delusa dal rifiuto di Emanuele. Probabilmente per questo lei si sentiva in colpa; lui poteva aver rifiutato perché c’era lei e non voleva sentirsi ancora un intruso. Forse erano solo sue impressioni. Non doveva pensarci. Pensava invece a Emanuele, di cui aveva notato solo l’altezza, un lampo negli occhi e un mezzo sorriso. Cercò allora di scoprire cos’altro la sua mente aveva inconsciamente registrato, ma riuscì soltanto a rivedere il suo profilo: regolare, naso diritto e la bocca.. com’era la bocca? Avrebbe dovuto rivederlo per saperlo.
Per oltre un mese non tornò a casa di Antonia ma si sentivano spesso al telefono e due volte si trovarono assieme al ristorante e una volta a casa di amici comuni.
Il giorno del suo onomastico Eliana andò a trovarla per farle gli auguri e portarle un regalino: una fotografia in bella cornice di lei e Alberto.
“È bellissima. Non sapevo niente di questa foto.”
“L’avevo fatta per riprendere il bambino di mio fratello e siete venuti benissimo, perché voi siete a fuoco mentre il bambino non lo era.”
“È magnifica. Sembriamo più belli di quanto fossimo allora .”
“Forse perché non avete l’aria di chi aspetta di essere fotografato.”
“Vero. È proprio così.”
Eliana avrebbe voluto chiederle di Emanuele, ma non aveva l’abitudine di fare domande su conoscenti dell’amica e non voleva che pensasse a un suo particolare interessamento. Ma era la verità, perché voleva sapere di lui e desiderava rivederlo.
Lei non faceva domande e l’amica non parlò mai di lui. Cercò di dimenticarlo, ma non ci riusciva. Lo rivedeva col pensiero in vari momenti della giornata e la sera, quando è più acuto il desiderio di amore e di tenerezza, immaginava di averlo vicino e sentire le sue mani accarezzarla. Sapeva che nella realtà non sarebbe successo e che era soltanto il bisogno di quell’amore che non aveva avuto che aveva creato nella sua mente quella storia. Però continuava a coltivarla perché la faceva sentire giovane e viva. Questa era una parte della sua vita che non avrebbe confessato a nessuno. Apparteneva solo a se stessa.
I mesi passavano ed Eliana continuava a vivere la sua vita reale, fatta di lavoro, amicizie, visite, letture e tutto ciò che il vivere comporta di concreto, e il suo amore immaginario nel quale sparivano avversità, dolori e ansie, lasciandola rilassata e pronta per un sonno rigenerante. Il fatto che vivesse sola e padrona delle proprie azioni, almeno per quanto la vita sociale permettesse, la faceva sentire in armonia con tutti e si accorse di essere più tollerante e comprensiva. Capiva però che il suo amore onirico sarebbe finito nel momento in cui un altro sogno fosse sopravvenuto, o peggio ancora se l’oggetto del suo amore ideale avesse rotto l’incantesimo


2

Quel lunedì Eliana si era alzata presto perché doveva recarsi dal notaio per una procura e voleva arrivarci all’orario di apertura.
Lo studio era al settimo piano di un edificio che aveva bisogno di una ripulita all’intonaco e riuscì a infilarsi nell’ascensore quando stava già per chiudersi. Era uno di quei vecchi ascensori dove bisognava chiudere a mano la porta, ed entrò dicendo “grazie” alla persona che aveva aspettato vedendola, senza guardarla.
“Prego, Eliana.”
Si volse, sorpresa. Emanuele le sorrideva, come se si fosse accorto del suo imbarazzo. L’ascensore era ancora fermo e lei premette il bottone del piano continuando a guardarlo finché lui si passò una mano sul viso.
“Qualcosa non va?”
Lei avrebbe voluto dire che voleva imprimersi nella mente il suo viso per sognarlo meglio, ma disse:
“Gli occhi vanno bene, il naso pure e la bocca, le labbra, anche quelle vanno bene.”
Erano entrambi appoggiati, uno di fronte all’altro, e quasi si toccavano. Lei vide sul quadrante che erano già al sesto piano, si fece più vicina e, sollevandosi sulla punta dei piedi, riuscì a baciarlo leggermente sulle labbra un secondo prima che l’ascensore si fermasse. Aprì subito la porta e sgusciò via senza dire una parola, mentre stava per entrare un’altra persona. Emanuele non era uscito ed Eliana sperò che non la cercasse, perché non avrebbe saputo giustificare il suo gesto. Non sapeva dove era diretto lui, perché aveva premuto il pulsante del piano senza chiedergli dove andasse. Così lui le aveva fatto il favore di aspettarla e lei lo aveva ripagato con una scortesia. Doveva andarsene.
Scese le scale a piedi per paura di incontrarlo di nuovo e non lo vide neppure nell’atrio. Si diresse alla fermata dell’autobus e comprò il giornale all’edicola vicina. Aveva visto passare il mezzo mentre arrivava e così si mise a sfogliare il giornale in attesa del prossimo.
“Baci sempre gli uomini che incontri?”
La voce alle sua spalle la fece sussultare. Emanuele se ne accorse.
“Scusa, non volevo spaventarti.”
Eliana era arrossita e lui la guardava con un’aria divertita.
“No, non lo avevo mai fatto prima.”
Passò un altro autobus senza fermarsi.
“Oh no!”
“Era il tuo?”
“Purtroppo sì.”
“Io ho l’auto e posso darti un passaggio.”
“È meglio di no.”
“Come vuoi.”
Si allontanò tranquillamente facendo un gesto di saluto con la mano come se volesse dire “peggio per te, pazienza”, e la fece sentire ancora più stupida di quanto già non si sentisse per quello che aveva fatto.
Aveva pensato che rivedendolo la delusione avrebbe messo fine si suoi sogni e invece si accorse che non era un sogno: si era innamorata di lui.

[continua]


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