Opere di

Eliana Branchi

Scrittrice di Lodi è risultata 5^ classificata ex aequo – Sezione narrativa alla V edizione Premio di Scrittura creativa Lella Razza 2009


Un buon presupposto

Mi hanno chiamato in direzione e mi hanno consegnato la 
busta. Non ho bisogno di aprirla, so cosa contiene. Da domani sarò senza lavoro.
Le frasi scontate mi scivolano addosso mentre l’aria profumata di lavanda dell’ufficio, mi procura una sensazione di stordimento. Me l’aspettavo.
Eppure in questi giorni non ho fatto altro che scrutare gli occhi del responsabile del laboratorio per cogliere un benevole cenno di rassicurazione. Io sono un buon elemento, forse uno dei migliori. Attenta, scrupolosa, sempre puntuale. E invece eccomi qui, con questa morte annunciata stretta tra le mani sudate. Sento i battiti del mio cuore, scandiscono i secondi e attutiscono il suono di parole e frasi di circostanza che mi arrivano come echi lontani.
Qualche attimo di leggero imbarazzo, il mio mutismo li coglie impreparati. Li fisso negli occhi, pensando che domani dovrò ricordarmi di disattivare l’allarme della sveglia, programmato alle sei da ormai dieci anni poi, saluto senza troppe cerimonie e giro loro le spalle. Me ne vado come un’amante rifiutata, sapendo che di lì a poco inizierò a pensare a cosa ho fatto di sbagliato, a cosa non ho dimostrato per dare loro la certezza di quanto io fossi indispensabile. Le medesime domande che mi ero posta quando Luca se ne era andato. Anche allora una lettera aveva decretato la mia fine.
Con la sua calligrafia sicura ed elegante mi informava che aveva bisogno di nuovi stimoli, aveva nuovi traguardi. Io ero sempre così prevedibile e di una perfezione tediosa. Nessuna riconoscenza. Solo una grande senso di inadeguatezza che alla fine lo aveva costretto a scrivermi due righe e continuare la sua ricerca di emozioni altrove. Rifiutata dal marito e dall’azienda. La mia vita stava prendendo decisamente una brutta piega.
Esco dall’ufficio del personale a testa alta.
Marta, la segretaria svampita del “Capo Supremo”mi osserva imbarazzata ,continuando diligentemente a battere la tastiera del computer. Anna e Paola,come nuotatrici di un ballo sincronizzato, si girano contemporaneamente e mi regalano un sorriso obliquo, appena accennato, ma denso di significato. Avverto il loro senso di colpa.
Io me ne sto andando, loro restano.
Fingendo un ottimismo che non provo, le rassicuro con un “ce la farò”e mi dirigo al mio armadietto personale, attraversando il silenzio quasi irreale dell’ufficio del personale. Apro l’anta con gesti misurati e mentre raccolgo le mie poche cose, separandole dall’attrezzatura del laboratorio che dovrò restituire, realizzo che no, non è colpa mia, da tempo si parlava di crisi, di un mercato sempre più difficile che stava colpendo il settore aziendale. Io sono solo uno dei birilli colpiti, con altri nove. Uno strike inevitabile per ridurre i costi e salvare le finanze.
Ecco ora arriva la rabbia, pungente ed esplosiva. Cosa importa se sei sempre stata puntuale e scrupolosa? Se ami il tuo lavoro e lo svolgi con passione? Se sei separata e tuo marito ti passa solo la metà di ciò che dovrebbe? Se hai due figli che stanno studiando e vorresti che continuassero a farlo? Cosa importa se hai 39 anni e sarà difficile trovare un’altra occupazione? Se hai il mutuo da pagare e l’assicurazione della macchina e…
Dany si avvicina e interrompe questa angosciante sequenza. Prende la mia mano e posa sul palmo un piccolo quadrifoglio d’acciaio, il suo portafortuna. “Ora è tuo, ne avrai bisogno” e mi abbraccia dolcemente. Sento il suo profumo fresco e delicato, per un istante provo invidia per la sua giovinezza e per un futuro ancora da scrivere.
Cara, tenera Dany, come farò senza di te? Come farò senza tutte voi? Fianco a fianco per tanti anni, si finisce per conoscere sogni, bisogni, delusioni e successi. Si diventa “un’altra famiglia” dove ci si può rifugiare e costruire insieme quella robusta ironia che ci consente di guardare avanti e non mollare, quando pare che il mondo ci rovesci addosso.
Il mondo mi ha sepolta, mi manca l’aria, mi manca già tutto prima ancora di essermi allontanata.
Seguo Dany sino all’entrata del laboratorio in cui ho lavorato per dieci anni. Voglio salutarle una per una. Loro non c’entrano. Profumo di cedro, aroma forte e intenso, diventerà “Brezza d’estate”. Improvvisamente sento di non farcela, le gambe stanno per cedere, la testa mi gira, alzo rapidamente la mano per un cenno di saluto a tutte e, ingoiando le lacrime, mi incammino velocemente verso l’uscita accompagnata dai “ci vediamo” “a presto” “sicuramente ti chiamo” “in bocca al lupo”…
Sì, sì, va bene,ora voglio solo tornarmene a casa. Prendo l’autobus, il solito, il 13 ,e penso che anche questa coincidenza sia una beffa alla mia sorte ormai segnata.
Quando apro la porta di casa, non ce la faccio più a trattenermi e scoppio in lacrime. Mi stendo sul divano, prendo il cellulare e rovescio la mia disperazione sulla testa delle amiche più care. So che posso piangere, urlare, dire frasi sconnesse e minacciare qualsiasi gesto inconsulto. Loro sapranno ascoltare e questo, per ora, è tutto ciò che desidero. I miei due ragazzi rientrano verso le 18 ed io, nel frattempo, ho ripreso la parte razionale di me stessa, quella che mi dà modo di spiegare loro la situazione, di tranquillizzarli, perché non devono sentire la mia incertezza, nonostante il senso di precarietà mi invada a onde.
Sono il pilastro di questa famiglia, sono cuore e ragione, sono amore e responsabilità, tutto un faticoso equilibrio che di giorno in giorno cerco di mantenere per poterli rendere forti ma anche sensibili. E, anche se ben presto, scorderanno il tutto, sopraffatti dai bisogni adolescenziali, dalle fidanzatine, dalle serate con gli amici e dai Simpson in tv, ora ho bisogno di sentirli vicini e delle loro parole affettuose. Mi godo quindi questi istanti di pura empatia , mi lascio abbracciare e accarezzare. Una bambina e due piccoli adulti. Un’inversione di ruoli che mi rende orgogliosa di loro. Ma qualcosa cambierà e ben presto ne saranno consapevoli. Quel qualcosa che sottrarrà loro un pezzo di privacy, la mia presenza diventerà più costante, per non dire fastidiosa. Avranno anche una riduzione della mancia settimanale e saranno bloccati gli acquisti programmati.
Sapranno tollerare senza rancori questo nuovo status?
Nei giorni che seguono il cataclisma, alterno momenti pieni di determinazione e ottimismo a momenti di inerzia e disfattismo. Invio richieste di assunzione, ma i “le faremo sapere qualcosa”, si accumulano velocemente, diventando ben presto una montagna desolante che frana ogni notte sulla mia testa. Dormo poco e male. Talvolta non dormo affatto e resto con gli occhi fissi al soffitto a pensare. A tutto e a niente. Chiamo le amiche, esco con loro, quando hanno tempo, io ne ho da vendere ora . Posso fare quello che voglio, nessuna fretta, nessun obbligo. Sono le cinque, mio figlio Mattia apre lo sportello del frigo ed esclama «Ma’, non c’è niente da mettere sotto i denti!». Già, il frigo è vuoto, io non ho molto appetito ma loro paiono sempre lupi affamati. Scendo al supermercato sottostante con la lista della spesa più ragionata del solito.
Inizio a riempire il carrello ma dopo un’ora mi rendo conto che sono solo a metà e realizzo che essere disoccupati vuol dire anche metterci più tempo nel fare la spesa. Non la prima cosa che capita, no. Cerco i cartellini giallo fosforescente dei prodotti più economici, tutto ciò che è in offerta è mio. Osservo i carrelli che mi passano accanto. Solo il mio mi pare sotto tono, di una tristezza dichiarata. Ma è qui, di fronte allo scaffale dei profumi, che mi torna il sorriso. Non acquisto nulla, ma apro le confezioni tester e odoro vaniglia e malva, iris e bergamotto. Per qualche minuto mi lascio trasportare dalle essenze in un mondo che ben conosco, tra effluvi di malinconia e le fragranze dei ricordi. Non riesco neppure ad avvertire il tocco leggero di una mano sulla spalla. Ma è la voce di Laila, che interrompe il mio viaggio nostalgico, e mi riporta alla realtà. «Ti avrei chiamata stasera, ho un numero che potrebbe esserti utile. Si tratta di un laboratorio di erboristeria. Ho saputo che cercano personale, di esperienza, così ho pensato a te». La guardo con aria estatica, la guardo come si guarderebbe un angelo. La ringrazio, quasi strappandole dalle dita quel biglietto che mi fa danzare davanti agli occhi e che per esorcismo bacio davanti alla cassiera attonita. No, non è il numero di cellulare di un uomo interessante, ma è molto di più, è un numero in cui credere. Sì,voglio credere che andrà tutto bene e sono così euforica che impulsivamente agguanto una bottiglia di Pinot perché stasera brinderò, comunque vada. Ho l’amore dei miei figli, il sostegno delle amiche, la stima di me stessa che so, pian piano riacquisterò. Da tutto questo nessuno mi potrà mai licenziare. È già un buon presupposto.


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