La scrittura “indifferenziata” di Aldo Nove

di

Donato Sabina


Donato Sabina - La scrittura “indifferenziata” di Aldo Nove
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
14x20,5 - pp. 74 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-4745

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In copertina: illustrazione dell’autore


«Il funzionamento delle cose che sono immediatamente vita pensandoci bene mi sembra molto volgare e allora a me vanno senz’altro bene tele e finzione assoluta».

Aldo Nove, Puerto Plata Market


La scrittura indifferenziata di Aldo Nove è un essenziale saggio monografico sullo scrittore ‘pulp’ Aldo Nove, una delle voci più rappresentative della realtà contemporanea.
Vengono qui analizzate e commentate le opere principali (dai racconti ai romanzi alle poesie) con ampie citazioni dell’autore, tracciando una sorta di percorso di maturazione di Aldo Nove. Un modo di fare letteratura fortemente sperimentale ma allo stesso tempo sconcertantemente immediato. Uno scrittore che, come direbbe un cantante rap: «Ci sta dentro!».
In chiusura… un piccolo racconto-collage, un omaggio alla scrittura attualissima di Aldo Nove, che tanto ancora avrà da dire.


La scrittura “indifferenziata” di Aldo Nove


A Mari,

con tutte le parole che mi esplodono dentro,
quando ti guardo.


Chi è Aldo Nove?

Intervistatore: «Hai degli hobbies?»
Intervistata: «Mah… nel tempo libero mi ‘occupo’ di palestra, faccio… ‘king box’»

(Da un provino televisivo per un reality)

Che cos’è che rappresenta meglio di ogni cosa la società italiana degli ultimi vent’anni?
La TV, senz’ombra di dubbio. Intorno alla quale gravitano come pianeti (eternamente illuminati da tubi catodici e cristalli liquidi): Cinema, Pubblicità, Centri commerciali, Internet, nuove tecnologie e solo per ultimo… l’uomo.
Rappresentare la realtà, narrarla, senza tener presente questo nuovo, anti-umanistico, sistema ‘merceo-centrico’, ci sembra assai improbabile oggi.
Quali sono i modelli, le culture o sub-culture dominanti? In che società stiamo vivendo? Esiste ancora la Letteratura? Quale spazio ha? A tutte queste domande si potrebbe trovare una risposta leggendo l’opera di uno scrittore geniale: Aldo Nove. Oppure, all’opposto, dopo aver letto Aldo Nove, scaturirebbero una serie di interrogativi del genere, che ci lascerebbero quanto meno frastornati.
Aldo Nove, pseudonimo di Antonello Satta Centanin, quarantacinquenne scrittore nato a Viggiù, in provincia di Varese, è un autore di racconti, romanzi e poesie. Il suo primo libro, Woobinda e altre storie senza lieto fine, esce nel 1996, un anno cruciale nelle recenti vicende della letteratura ed editoria italiane. È il periodo in cui nasce quella che potremo chiamare Globalizzazione, ovvero, nell’accezione più negativa, nient’altro che un continuo martellante bombardamento mediatico, iconografico e merceologico.
In questo particolare clima la letteratura sembra essersi trasformata, ha cambiato pelle, attraverso l’opera di giovani scrittori come Tiziano Scarpa o Niccolò Ammaniti ad esempio, per poter finalmente raccontare il mondo in cui viviamo. Aldo Nove è colui che, a nostro avviso, più di tutti ha adottato soluzioni linguistico-stilistiche innovative ed originali, colui che ha saputo meglio cogliere la realtà degli ultimi vent’anni. Basta leggere poche semplici parole della sua opera per averne conferma:

…La tua attenzione sui canali bassi
Della triste vicenda della vita
Dell’inizio della poesia del grande
Poema di Gerry Scotti e Padre Pio…

Folgorante, incisivo, caustico ed apocalittico, questo scrittore è innanzitutto un poeta. Antonello Satta Centanin nasce infatti come poeta, pubblicando con il suo vero nome tre raccolte di poesie, dal 1989 al 1994. Ed un’urgenza poetica, umana, spirituale sembra attraversare tutta la sua produzione fino al recente, bellissimo, magistrale poemetto sacro Maria.
In realtà già i fortunati brevi racconti di Woobinda a noi appaiono come intermittenti folgorazioni di anti-poesia, improvvise illuminazioni su una realtà descritta in tutto il suo squallore. Attraverso i suoi originali frammenti anti-lirici, Aldo Nove canta la nullificazione dell’uomo nella società contemporanea, partendo da una qualsiasi pubblicità o personaggio televisivo, da uno dei tanti McDonald’s di Milano o centri commerciali della provincia lombarda.
Una società in cui vengono colti agli albori quelli che saranno gli elementi oggi ossessivamente dominanti: tv-spazzatura, telefoni cellulari, computers, cinismo e violenza a profusione…
Una grande lezione di poesia e realismo, quella di Aldo Nove, un realismo raggelante, graffiante ed inesorabile, attraverso il quale egli ha saputo aprire la sua scrittura, la Letteratura tutta (e ce n’era, dopo tanti anni, veramente bisogno), verso tutto ciò che essa ha, per sua natura, sempre snobbato (il mondo della Cultura di Massa). Una Letteratura ufficiale che ha finito per richiudersi in un gattopardesco isolamento, diventando anacronistica quasi: per dirla alla Aldo Nove… «non se l’è cagata nessuno».
Finché lui, come altri scrittori, non l’ha riscattata…


Gli esordi:
Woobinda e altre storie senza lieto fine

Aldo Nove è lo pseudonimo letterario di Antonello Satta Centanin, nato a Viggiù, in provincia di Varese, nel 1967. Laureatosi in filosofia morale, Antonello-Aldo vive e lavora a Milano. Con il suo vero nome Centanin ha pubblicato le raccolte “Tornando nel tuo sangue” (1989) “Musica per streghe” (1991) e La luna vista da Viggiù (19941). Suoi testi sono apparsi sulle riviste “Poesia”, “Arenaria”, “Ironija”, “Il Majakovskij” e “Testo a Fronte”. Attualmente dirige con Elisabetta Sgarbi la collana di poesia InVersi per la Bompiani.
L’esordio letterario con lo pseudonimo Aldo Nove2, invece, è datato 1996, anno in cui esce il libro Woobinda e altre storie senza lieto fine. In quello stesso anno vengono pubblicati romanzi come Occhi sulla graticola (T. Scarpa), Fonderia Italghisa (G. Caliceti), Destroy (I. Santacroce) e, in autunno, Gioventù cannibale ovvero l’«antologia italiana dell’orrore estremo». Il 1996 è l’anno del cosiddetto pulp, caso letterario ma anche moda mass-mediatica, di cui si rendono protagonisti una serie di giovani scrittori (molti esordienti), che verranno menzionati in numerosi articoli ed interventi, fino ad arrivare ai programmi televisivi.
Tra di loro fa molto parlare di sé tale Aldo Nove, con il suo libro Woobinda e altre storie senza lieto fine. Si tratta di una raccolta di racconti (40 in tutto) suddivisi in “lotti” anziché in capitoli, racconti che si strutturano come brevi, brevissimi monologhi3, uniti quasi tutti da una sorta di schema o impianto narrativo. Ogni personaggio, infatti, esordisce alla stessa maniera – quasi che si prestasse ad un’intervista televisiva o che compaia su «una didascalia di Sorrisi e canzoni Tv4» – presentandosi attraverso pochi dati: nome, età, segno zodiacale:

«Mi chiamo Giuseppe, ho trentuno anni. Ariete»,

«Mi chiamo Giovanni, sono un giovane della Bilancia»,

«Sono una ragazza di ventisette anni. Mi chiamo Stefania, sono Ariete Cuspide Toro»

O, tuttalpiù, aggiungendo pochi e insignificanti particolari:

«…mi chiamo Andrea Garano. Ho ventitré anni e possiedo uno stereo»

«Sono un ragazzo buono e semplice dei Gemelli. Ho fatto le magistrali a Como. Adesso lavoro nella ditta con mio zio»

Nelle storie raccontate in questo libro Nove rappresenta, con toni fortemente ironici, feroci e quasi apocalittici, l’ottundimento dell’uomo e l’azzeramento mentale, sociale e culturale dello stesso nell’era del consumo sfrenato.
La mente svuotata, la vita, mediocre oltre misura, dei personaggi di questo libro è saturata da merci di ogni tipo (bagnoschiuma, cellulari, surgelati) e da programmi televisivi, con le loro vallette, ballerine, presentatori e pubblicità, che oggi sembrerebbero un po’ datati (siamo negli anni ’90) ma ancora attuali nella loro assoluta vacuità.
Succede allora, paradossalmente, che «Woobinda»,«il ragazzo svizzero pallido che corre nella savana», diventi un eroe di sinistra, per uno dei tanti “telespettatori” (adulti) presenti nel libro5 Oppure, in una simile, deformata, prospettiva, il bagnoschiuma «Vidal» possa arrivare a simboleggiare la… libertà (evocata dal cavallo bianco che nella pubblicità corre libero su una spiaggia) e possa spingere addirittura a commettere un efferato delitto6; ad una comitiva di ragazzi, invece, non può assolutamente mancare la «Neocibalgina7», un semplice medicinale capace, secondo loro, di risolvere tutti i problemi. C’è spazio anche per oggetti e figure meno ‘elevati’, come i sogni erotico – televisivi di Maria «signora di 52 anni bionda ossigenata» e di un anonimo ragazzo (Pensieri): si tratta di «Magalli» e «Mary di Non è la Rai8».
Merci e programmi televisivi diventano feticci. I monologhi si trasformano in deliri e in alcuni casi si arriva alla follia vera e propria, che esplode nello spazio angusto, asfissiante di un appartamento, dove intuiamo – data la brevità dei racconti – che sia ambientata la maggior parte delle storie. L’alienazione, la tragicomica incomunicabilità (non ci sono dialoghi, solo deliranti monologhi) accomuna tutta questa galleria di personaggi.
Il racconto più significativo, in questo senso è Non ho paura dei miei sentimenti (p. 98), dove il protagonista si ritiene il sindaco della propria camera, tenendo comizi alle sedie, apostrofando un’anta dell’armadio e dialogando con gli altri oggetti della stanza. Si respira qui un’atmosfera kafkiana, aggiornata a fine millennio, che non è da meno in altri racconti: c’è chi crede di essere vittima di programmi televisivi segreti e “criptati” (I Programmi dell’Accesso, p. 46) che lo spingerebbero a commettere azioni violente; chi interpreta, sempre in televisione, le parole di «Roberto baffone», protagonista di “televendite” di qualche anno fa, come messaggi subliminali9; lo yogurt, infine, nell’omonimo racconto (p. 94), sarebbe il principio di tutta l’esistenza: è la teoria filosofica di «Ugo… quarant’anni… del segno zodiacale dei pesci».
Da questa esistenza angusta, monotona, significativamente espressa da parole come queste:

«quando la sera torno a casa mangio un coso, guardo la tele e vado a letto10»

si può sempre sfuggire tuttavia…«facendo la raccolta punti della Star. Con 100 punti si vincono un piatto piano, un piatto fondo e un piatto da frutta. Con 150…» o sperando di «partecipare alla trasmissione di Gigi Sabani Re per una notte…» (p. 96). L’ironia, graffiante, non manca di certo ad uno scrittore come Aldo Nove.
Spesso, poi, la solitudine, che si traduce in disperata ricerca d’amore, conduce il personaggio a gesti erotici estremi, spingendo chi a cercare di consolarsi con il proprio gatto o chi con un amico, chi violentando l’anziano padre oppure costruendo una «macchina spaccabaci» perché non c’è «Nessuna che si baci con te». Niente amore, solo disperate perversioni o pornografia a volontà, diffusa in forma allusiva dal mondo televisivo-pubblicitario.
In questo panorama agghiacciante c’è posto, infine, anche per la violenza, che compare in molte pagine di Woobinda fin dall’apertura:

«Ho ammazzato i miei genitori perché usavano un bagnoschiuma assurdo, Pure & Vegetal.».

Si tratta delle parole iniziali del racconto Il bagnoschiuma, spesso citate dalla critica, dove è descritto un omicidio gratuito, assurdo, tanto più agghiacciante perché compiuto nella più assoluta normalità.

Nella raccolta di racconti Woobinda ed altre storie senza lieto fine la violenza è oramai una esperienza ordinaria, quotidiana, elargita e sfruttata dai mass-media, come leggiamo nel racconto Ruanda, dove la tragedia della guerra civile vissuta dal Ruanda diventa uno spettacolo televisivo, al quale si può assistere comodamente durante tutto l’arco della giornata. La violenza e la morte sono ovunque ci voltiamo, perché ci vengono propinate, tutti i giorni, incessantemente, dalla TV: è quello che sostiene, a modo suo, il protagonista di un altro racconto:

Questa violenza, che c’è in giro, la vedi dappertutto, in ogni film si corrono dietro con la macchina, a volte la macchina esplode, quelli che erano dentro escono in strada completamente insanguinati. Altri film sono pieni di parole che non posso ripetere, ma che farebbero vergognare, da quanto sono grosse, un marinaio11.

Logica dello spettacolo e del profitto non si fermano davanti alla tragicità della morte stessa, al punto che il cadavere di uno sciatore, morto in diretta, viene costretto a gareggiare fino al termine della stagione sportiva, come previsto dal contratto con gli sponsor:

Mio fratello rappresenta il primo caso di morto che si classifica terzo ad una prova mondiale

La visione stessa (reale o televisiva che sia) della violenza o della morte, allora, lascia del tutto indifferenti:

Sentivo Jasmine andare giù per la scarpata. Andai da Quinto a prendere un gelato da diecimila


Note

1 Tornando nel tuo sangue, Edizioni del Leone 1989, Musica per streghe (a cura di Milo De Angelis), Edizioni Polena 1991, La luna vista da Viggiù in “Quinto quaderno di poesia contemporanea”, Guerini e associati 1994.

2 Che «ha abitato a Viggiù fino al 1988, quando l’esplosione di una bombola del gas gli ha raso al suolo la casa. Da allora vive e lavora a Milano»: è la comica ed immaginaria nota biografica nel retro copertina di Woobinda.

3 Talmente brevi che il critico letterario Filippo La Porta parla di racconti che assomigliano alle vignette di Altan o a slogans pubblicitari (F. La Porta, op. cit., pp. 264, 293).

4 Tiziano Scarpa, Cos’è questo fracasso? Alfabeto e intemperanze, Einaudi 2000.

5 Il racconto Woobinda, che dà il titolo anche al libro, p. 19.

6 Il bagnoschiuma, p. 11.

7 Neocibalgina, p. 123.

8 A letto con Magalli, p. 17; Pensieri, p. 30.

9 Carla Bruni, p. 112.

10 Ditta, in Superwoobinda (cit. oltre), p. 154.

11 Moltissima acqua e un po’ di sangue, p. 80.



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