In vino veritas?

di

Domenico Livoti


Domenico Livoti - In vino veritas?
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
12x17 - pp. 42 - Euro 6,00
ISBN 978-88-6037-4417

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In copertina e all’interno fotografie di Alfonso Livoti


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2007


Premessa

Nella produzione, conservazione e consumo del vino si sono intrecciate le essenze e le sapienze di intere e complesse civiltà.
Nella Valchiavenna il rapporto tra l’uomo e il vino si è sviluppato tra i ronchi e i crotti, due caratteristiche del paesaggio della Valle che affondano le loro radici nella storia geologica della terra.
In particolare il crotto ha rappresentato un modo di vivere veramente unico e che è riassunto nella famosa frase, vergata chissà da quale mano nel 1781, che recita così
“Si vende vino bono e si fa scola de umanità”.
Saranno capaci i giovani di oggi di capire il senso profondo dell’umanità che si respirava nelle salette dei crotti e negli angolini ormai dimenticati e coperti dalle ortiche?
Questi racconti, frutto di una collaborazione tra un professore e alcuni studenti dell’Istituto Alberghiero “Crotto Caurga” di Chiavenna, vogliono lanciare una sfida ai nuovi modi di aggregazione dei nostri figli, non sempre rispettosi della tradizione, ricca e suggestiva, dei loro padri e dei loro antenati.


Nella Valchiavenna il rapporto tra l’uomo e il vino si è sviluppato tra i ronchi e i crotti, due caratteristiche del paesaggio della Valle che affondano le loro radici nella storia geologica della terra…
...Saranno capaci i giovani di oggi di capire il senso profondo dell’umanità che si respirava nelle salette dei crotti e negli angolini ormai dimenticati e coperti dalle ortiche?
Questi racconti, frutto di una collaborazione tra un professore e alcuni studenti dell’Istituto Alberghiero “Crotto Caurga” di Chiavenna, vogliono lanciare una sfida ai nuovi modi di aggregazione dei nostri figli, non sempre rispettosi della tradizione, ricca e suggestiva, dei loro padri e dei loro antenati.

Domenico Livoti


In vino veritas?


Racconti in libertà sul rapporto dei giovani col vino


SEGRETE COMPLICITÀ AL CROTTO

Lo spettacolo era affascinante.
Fiammelle nascevano tra le pagine che un alito impetuoso, evocato dal fuoco stesso, sfogliava con furia, come se volesse leggere per l’ultima volta quelle righe che stavano per scomparire.
Lo scandalo di un libro dato alle fiamme mi si era diffuso nel cuore come una terribile oppressione.
Le pagine si accartocciavano, le parole si restringevano e sparivano in un tripudio di bianche lingue fameliche.
Non si può dire che io amassi i libri. – Tu non ami molto i libri! Perché quello sguardo scandalizzato? – mi aveva apostrofato il mio prof.
Nel crotto non si era trovato neanche un giornale per avviare il fuoco e tanto meno diavolina.
Bisognava avere nel camino un fuoco potente e prepotente per riuscire a scaldare la piota e cucinare patate, costine, salsicce e tutto il bendidio che i miei compagni avevano portato su per la festa di fine anno.
Il crotto si trovava nel bel mezzo di una boscaglia tra massi giganteschi proprio nel cuore della Valcondria, la grande frana dell’Era glaciale, che aveva dato vita a tutta una serie di correnti sotterranee, chiamate sorel, e sfruttate dall’uomo come un frigorifero naturale.
Il prof. si era spazientito, il fuoco non si decideva ad avviarsi e allora aveva afferrato il primo libro che c’era su un’antica polverosa mensola e lo aveva buttato in mezzo alla legna, un po’ umida per la verità.
– Prof, prof, è arrivato Marco con una scatola di diavolina! – gridò un mio compagno ansimando per la corsa.
Non so come, ma la mia mano afferrò la bottiglia stappata che c’era sul tavolo e innaffiai quel libro ormai mezzo bruciato.
Il vino fece sfrigolare le fiamme e un acre fumo si levò.
Il prof. afferrò il mio polso e mi tolse dalle mani la bottiglia.
Con un attizzatoio spostò il libro fumante dal mucchio di legna e mi osservò intensamente.
– Noi due dobbiamo parlare! –
Versò il resto del vino in due bicchieri, me ne porse uno e disse:
– Da bibliofobo a bibliofilo! E tutto in pochi secondi alla fine dell’anno scolastico!
Bevi un sorso, e, intanto che i tuoi compagni preparano i tavoli fuori, noi due ce ne stiamo qui e ci facciamo una bella chiacchierata! –
Poi osservò l’etichetta.
– “Inferno” del 2000! Questa non è più una coincidenza! –
– Prof, io non bevo vino! – dissi esitando – Io bevo birra, sono un birromane, un frequentatore assiduo dell’Ocktoberfest! –
– Allora oggi avverranno due miracoli! –
Tacque all’improvviso, mentre dava dei colpetti sul libro esausto e ridotto ai minimi termini.
Riuscii a cogliere il titolo, La Divina Commedia.
Sentii dei brividi assalirmi.
Il capolavoro della Letteratura Italiana dato alle fiamme con una noncuranza semplicemente mai vista.
Osservai l’operazione di pulitura.
A quanto pareva solo le prime pagine di Introduzione si erano incenerite.
I versi immortali, invece, si erano salvati.
La galassia “insegnanti” è proprio tutta da scoprire!
Ha proprio ragione Pirandello: ognuno di noi indossa un numero infinito di “maschere” da usare nei vari contesti della vita.
Ci voleva una festa di fine anno per realizzare che anche un prof di Italiano può buttare nel camino un libro “eccellente” per accendere il fuoco.
E, guarda caso, proprio il contenuto di una bottiglia d’Inferno aveva spento le fiamme divoratrici.
Ancora non erano arrivati al crotto gli altri insegnanti e la maggior parte dei miei compagni.
In quella saletta stile Primo Novecento, con motivi floreali Liberty, io e il prof eravamo soli e mi apprestai a sentire l’ultima “lezione” dell’anno.
La mia attenzione non aveva mai raggiunto quell’alta percentuale di concentrazione.
Ero lì, come rimbecillito, e la mia testa aspettava qualcosa.
Assaggiai un po’ d’Inferno e il vino sembrò espandersi nella mia bocca con una consistenza così corposa che ci misi un po’ prima di farlo scendere nella mia gola.
Sentii come se un’anima estranea cercasse di insinuarsi dentro di me.
Il prof mi adocchiò, notò il mio leggero rossore, apprezzò quel momento di pausa dell’assaggio, si mise comodo su una vecchia poltroncina e mi disse:
– Il mondo è diviso in due, in tante di quelle classificazioni binarie che per forza bisogna credere che chi non si ritrova in esse vive in un Limbo, o, come direbbe il Poeta, nell’Antinferno dove non si è né carne né pesce.
C‘è chi beve birra e chi beve vino. Gli altri, quelli dell’Antinferno, sono astemi.
I birraioli sono coloro che amano il presente, sono immersi nel quotidiano; amano viaggiare e si sentono cittadini del mondo.
Gli amanti della birra non amano i compromessi, vogliono arrivare subito al nocciolo di ogni questione.
Chi beve birra non si fa grossi problemi, stappa e beve.
Cosa c‘è di più immediato?
Il liquido scorre in gola, la solletica e la rinfresca.
Tutto diventa più piacevole e più coinvolgente.
– E chi beve vino? – osai chiedere con una certa esitante aspettativa.
– Chi beve vino è legato alle tradizioni, ama la storia e si sofferma a meditare sui destini degli uomini.
L’amante del vino è più legato al proprio territorio e capisce il valore del tempo.
Tu ti soffermeresti a gustare prima con gli occhi e poi col naso un bicchiere di bionda spumeggiante birra?
Non vedresti l’ora di “tracannarla”!
Invece chi ha in mano un bicchiere di vino, prima ne apprezza il colore ambrato, purpureo, dorato o rosato, poi ne esplora i segreti meandri da cui quel liquido misterioso ha tratto e copiato i sapori e gli odori, e poi si affida al palato per capirne e saperne di più.
Faresti tutto questo con una pinta di birra? No.
Perché diversa è la predisposizione e la filosofia di chi sceglie un momento di ristoro o di oblio.
– E i libri? C’entrano qualcosa? –
– Certo. Chi ama la birra ama i messaggini, cioè un modo di esprimersi veloce e conciso.
Se per caso legge i giornali lo fa attraverso i titoli. Raramente va oltre. Esige che la parola sia al suo servizio. Immediato e semplice, senza dilungamenti noiosi e pedanti.
I libri sono ormai ritenuti reperti storici che devono stare nei musei.
Il birraiolo è un fruitore di immagini, beve le immagini come se fossero birra. Le assimila e se ne dimentica subito.
Quando la birra è tanta, per liberarsene basta una bella e prolungata pisciata.
Quando le immagini sono troppe, basta premere un invisibile tasto nella testa e tutto svanisce come nebbia al sole.
Chi sceglie il vino può, bada bene, “può” amare un più elaborato e fantasioso linguaggio.
Se legge un libro non vorrebbe mai che finisse, perché ne sta gustando la trama e le invenzioni lessicali, oppure perché desidera che la storia non abbia mai una fine.
Oggi tu hai versato del vino su un libro in fiamme per salvarne la parola scritta.
Il tuo è stato come un rito, una specie di iniziazione, un’introduzione speciale in una vita diversa dove ti aspetterà chissà cosa? –
– Insomma da bibliofobo e birrofilo a bibliofilo e birrofobo! –
– Mah! Chi lo sa! Comunque mi devi fare una solenne promessa! –
– Quale, prof? –
– Non raccontare mai a nessuno che mi sono servito della Divina Commedia per accendere il fuoco del camino! – E uscì fuori a dare ordini per la festa come se niente fosse accaduto.
Io, invece, avevo ancora davanti agli occhi quelle fiamme che stavano divorando un libro, che si contorcevano come se un dubbio le avesse assalite, come se non volessero più partecipare alla follia degli uomini.
Loro malgrado però la furia le aveva invase e la fatica di mettere in parole il pensiero umano svaniva in un bagliore malato e malsano.
Presi in mano il bicchiere, che il prof mi aveva offerto, e bevvi un lungo sorso di vino come se fosse fresca birra.
Un calore diffuso mi avvolse e una strana sensazione di ipnosi mi colse traditrice e inaspettata.
Gli occhi del prof, mentre mi parlava, mi avevano fatto una complice strizzatina?
E se era tutta una messinscena?
La finta arrabbiatura per la difficoltà di accendere il fuoco, la rapida presa del primo libro a portata di mano, il salvataggio del libro prima che i versi di Dante venissero inceneriti, la chiacchierata amichevole e apparentemente filosofica, il bicchiere di Inferno.
La bottiglia di quel famoso vino valtellinese era proprio lì, bell’e stappata, pronta all’uso.
Se non fossi intervenuto io, forse lo avrebbe fatto il prof.
Un libro buttato alle fiamme o peggio un libro usato per avviare il fuoco è segno di una mente malata o esaltata.
I vari falò della storia fatti di libri ammucchiati hanno sempre dato vita a tragedie infinite per l’umanità.
Quel figlio di buona donna del prof di Italiano deve aver programmato tutto per far sì che io salvassi un libro e mi avvicinassi così alla parola scritta con un animo più partecipativo e coinvolgente.
Cazz… sti prof le studiano proprio tutte!
E non si è accontentato del libro, ha cercato anche di cambiare le mie abitudini in fatto di beveraggi!
Afferro di nuovo bicchiere e bottiglia, e brindo a quella volpe del mio prof, ma stavolta alla mia maniera:
– All’Inferno, brutta razza di insegnanti! –

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