L’età della denuncia - romanzo in tre parti

di

Domenico Del Coco


Domenico Del Coco - L’età della denuncia - romanzo in tre parti
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 190 - Euro 12,50
ISBN 978-88-6037-9146

Libro esaurito

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In copertina: «Barche nella marina» olio su tela, 1970, di Robert Grum


Prefazione

Un ragazzo che scappa dalla Mafia e contemporaneamente la combatte. Un ragazzo che con la paura e la tristezza dentro trova il coraggio di ricostruirsi una vita in Spagna, insegnando italiano e vivendo una bella storia d’amore. Gli avvenimenti non abbondano all’interno della trama, perché stiamo parlando di un romanzo psicologico, non di azione. L’opera seconda è sempre affare delicato e Del Coco dimostra di essere maturato. Poiché descrivendo Piero in realtà descrive se stesso, si evince quanto Del Coco abbia faticato nel guardarsi dentro e trovare delle risposte. Resta, rispetto al primo libro “Il Cammino di Henry”, la capacità straordinaria dell’Autore di creare personaggi così reali che te li senti accanto. Certo l’idea è originale: “Quello che avete in mano è lo spin-off di un altro libro: Il Cammino di Henry. Il libro appena citato è scritto da Piero, un giovane che nella sua lotta contro la mafia rimane vittima di un agguato…”. Come fa l’Autore a creare persone (sì proprio così: persone, non personaggi) così reali, che sono lì a ricordarci che tutti noi siamo normali e quindi speciali? Lo stile è sempre molto particolare. Visibile. Uno stile visibile. Innamorato della letteratura Del Coco la mette al servizio della legalità e la usa per curarsi le ferite. Le ferite disinfettate hanno il brutto vizio di bruciare. Insegnare la legalità ai ragazzi può essere difficile di questi tempi. Chi usa più parole come “lealtà”, “buon nome”, “patriottismo”, “onestà”? Eppure il protagonista, invitato ad insegnare la materia più difficile del mondo, ci riesce e molto bene:
“Gli avevano organizzato un itinerario presso le varie scuole di Palermo e provincia con l’obiettivo di far riflettere i giovani nei confronti della mafia. Piero si era preparato il discorso più che mai approvato dalla redazione del giornale e iniziò il suo tour de force. Appena arrivava nelle scuole, andava alla lavagna e scriveva in mezzo la parola EROE. Chi è per voi un eroe? Cosa ci è rimasto dei nostri eroi del passato e del presente? Gli eroi sono quelli dei libri o quelli che giorno per giorno cercano di cambiare le sorti di quest’umanità che lentamente tende a scomparire per la cattiveria e l’indifferenza? Provate a scrivere in questi dieci minuti qualcosa e poi leggerò il vostro pensiero. Il più delle volte cari ragazzi ci basiamo su personaggi fittizi e immaginari o talvolta per noi eroi sono personaggi del mondo dello spettacolo o calciatori o veline ma che concretamente non ci dicono nulla di interessante. Dai fate un buon lavoro”. Come fai a non pensare che ha assolutamente ragione? La lotta alla criminalità organizzata è il tema centrale del libro, ma si scoprono, leggendolo, almeno altri due spunti interessanti:
“Ho saputo che un mio fratello è morto mentre combatteva contro i Serbi a Osijek. Mia madre invece subì violenze fisiche prima di essere fucilata, e l’altro fratello invece finì in un campo di concentramento disperdendo così le sue tracce. Non fu un bel periodo per me quando seppi queste cose.”
Esistono persone che hanno davvero ricordi di questo tipo.

Il terzo sotto-argomento è la Spagna, la sua letteratura, il suo cinema. Questa volta Del Coco mostra davvero tutto ciò che sa fare. Ma sempre con l’obiettivo della lotta all’illegalità. Cita “Las Trece Rosas Rojas” il nome con cui si ricordano tredici giovanissime donne che vennero fucilate dai falangisti della neo-dittatura di Francisco Franco. L’autore odia ogni forma di prevaricazione, arroganza, violenza. E la combatte. Come se non bastasse, ha senso dell’umorismo da vendere. L’ironia è una dote preziosa per un autore. Ecco un esempio di dialogo niente male:

– Clara ma sei fuori?
– No sono dentro qui in cucina che ti aspetto.
– No tu sei fuori. Perché 100 euro?
– Piè, per prenderti da mangiare e intanto mi pensi.
Complimenti Domenico Del Coco

La tua amica e fan

Valentina Bufano


La clemenza non è un obbligo. Scende dal cielo come la pioggia benefica sulla terra sottostante. È due volte benedetta: per chi la dà e per chi la riceve. È più potente nei più potenti, adorna il monarca in trono meglio della sua corona. Lo scettro simboleggia la forza del potere terreno, è il segno della riverenza e l’attributo della maestà, e in esso risiede il terrore che incutono i re: ma la clemenza va oltre la portata dello scettro; il suo trono è nel cuore dei re; è un attributo di Dio; e il potere si mostra simile a quello divino quando la clemenza tèmpera la giustizia. Tutti invochiamo clemenza, e questa stessa invocazione deve insegnarci a essere clementi.

Porzia: Il Mercante di Venezia_
di William Shakespeare (atto IV, Scena I)


Introduzione

Quello che avete in mano è lo spin-off di un altro libro: Il Cammino di Henry. Il libro appena citato è scritto da Piero, un giovane che nella sua lotta contro la mafia rimane vittima di un agguato. Per fortuna Piero viene ferito ad un braccio. Ma per sicurezza è costretto a stare qualche mese lontano da casa, dai suoi famigliari e dagli amici. Piero reagisce bene alla situazione e siccome gli riesce molto difficile non fare niente si dedica all’insegnamento della sua lingua in un’altra nazione: la Spagna, dove scrive un saggio sul cinema spagnolo. Non dimentica il suo impegno contro la mafia. Ma capisce che vuole avere una sicurezza interiore. Il titolo del libro “L’Età della Denuncia” accoglie diversi significati. Età, nello specifico vuol dire cambiamento psicologico e d’introspezione del personaggio. Denuncia racchiude in sé il significato che noi tutti conosciamo: saper parlare e raccontare fatti, talvolta sconcertanti, della vita quotidiana che non sempre si ha il coraggio di esporre. Il protagonista è un capricorno ed ha le idee molto chiare, sebbene vittima talvolta di una società tumultuosa che stenta a capire i veri e i grandi problemi che l’affliggono. È un libro duro, che propone al lettore di ogni età delle riflessioni: la solitudine di Piero, il suo essere uomo, il crescere in fretta, rendono il protagonista un soggetto capace di azioni imprevedibili perché la sua mente è proiettata al futuro per poter migliorare se stesso e contagiare gli altri.
Cari lettori, osservate attentamente il personaggio e scoprirete il suo cambiamento sia nel modo di pensare che di vestire. La maglietta, simbolo di libertà e perché no, anche di quell’essere bambino, verrà gradualmente usata sempre di meno. Piero si vestirà come un adulto per nascondere quel segno dai vari significati, nel tentativo di occultare le cicatrici di una ferita che gli procurerà una sofferenza nell’animo tanto grande da farlo maturare a vista d’occhio. Il ragazzo cambia senza accorgersene. Matura giorno per giorno, mantenendo la sua serenità. Rispetto ad Henry personaggio burrascoso e incompreso, Piero viene capito e amato dal primo momento. Commette qualche errore, ma il suo impegno è molto apprezzato. Scrive articoli contro la mafia, facendo nomi e rischiando di persona. Quando ho scritto questo libro nell’estate del 2009 avevo voglia di narrare una storia che potesse piacere. Non immaginatevi Piero come Depp o Pitt. È un ragazzo alto, capelli neri e corti, volto magrolino, carnagione chiara, due occhi espressivi. Molto paziente e questo lo renderà sicuramente più bello di Henry. Ma tra Henry e Piero c’è sempre una cosa in comune: gli ideali. Henry giudica pesantemente una nazione andandoci poi ad abitare; Piero è costretto ad allontanarsi dalla sua terra per poi ritornare e recuperarne gli aspetti positivi. Come al solito parlo di viaggi. Ma questi, altro non sono che la metafora di quel mutamento interiore. Sia Henry che Piero viaggiano. Ma in maniera diversa. Piero non è un pretenzioso. Anzi. Ricorda a grandi linee Fanny Price di Mansfield Park. Ma c’è una differenza: Fanny osserva solamente, è un’eroina austeniana poco attiva; Piero osserva e ragiona, cerca anche in altri ambienti di far passare alcuni messaggi. Credo che L’Età della Denuncia sia un romanzo che dovrebbe essere analizzato non solo dal punto di vista psicologico. Il personaggio non è semplice come viene rappresentato. È senz’altro complesso e il lettore man mano ne scoprirà le caratteristiche. Clara invece è la rappresentazione di quell’animo femminile; ricca di grandi valori in un’epoca dove se non rinunci non diventi forte. È Penelope in alcuni tratti mentre aspetta il suo Ulisse. Sicuramente colpirà il lettore per quella pazienza così dolce e discreta. Sa di essere amata anche se Piero non lo dice e raramente fa effusioni amorose. Clara capisce che Piero è diventato adulto prima degli altri, perché le circostanze e le sofferenze l’hanno fatto crescere su tutti i livelli. Clara sorride ma soffre in silenzio per non far pesare quella carenza affettiva e d’altro canto Piero ha un self-control che lo rende superiore rispetto a certi ragazzi. Piero insegna, sì la grammatica ma anche quei valori della vita che oramai solo pochi riescono ancora a sentire il bisogno di trasmettere.
È un personaggio semplice, timido e modesto. È per questo che piacerà, spero, soprattutto a un pubblico femminile. D’altro canto il pubblico maschile può cogliere alcuni aspetti che spesso tralasciamo. La forza di combattere per un ideale, il coraggio di saper amare anche a distanza, apprezzare la propria terra di origine e chi ne ha più ne metta.
Dedico questo libro ai miei genitori, a Carla, agli amici, ai giovani di Cesano Boscone che con la loro pazienza mi sono stati vicini e mi dimostrano tanto affetto e amicizia. Agli amici di Palermo, Bagheria, Messina e Catania. A Letizia. Questo libro è nato in estate con il sole cocente e la gioia di vivere. Dedico questo libro a Libera, associazione di cui ho molta stima. A Mariarosa Scaramuzza Vidoni, Alberto Cadioli e Irene Piazzoni, docenti universitari meravigliosi. E infine dedico questo libro a chi ha coraggio. A chi sa denunciare i mali di questa società.
Grazie ancora
Ciao

Domenico Del Coco


L’età della denuncia - romanzo in tre parti


Parte I

1.

Secondo me si può creare un personaggio soltanto dopo aver studiato i comportamenti delle persone nei minimi particolari tanto da essere in grado di cogliere al volo il significato di ogni gesto, di ogni spostamento e quindi prevedere il cambiamento. Non mi sento ancora pronto per inventare storie e quindi preferisco raccontare sfogliando l’album dei ricordi personali che mi piace esporre in un mosaico dove alcuni aspetti della realtà vengono esaltati tanto da raggiungere i limiti del fantastico. Consiglio ai miei cari lettori di scorrere queste pagine credendo a ciò che leggono. Per quanto sia strano in ognuno di noi c’è del vero e c’è del falso. Un autore è sempre più bravo se scrivendo rende l’idea di ciò che vuole dire, facendolo passare per un “ipotetico” reale. Più scorre il tempo e più mi convinco che l’uomo stia perdendo il senso della ragione che i nostri antenati ci hanno trasmesso con tanta pazienza. Possiamo affermare che l’uomo è predisposto a raggiungere una sua maturità che riteniamo acquisita con la maggiore età. Ciò non sempre accade. Vi sono persone che, pur essendo maggiorenni, sono mature solo fisicamente, mentre sotto il profilo psicologico sono ancora bambini che stentano a crescere. Invece vi sono ragazzi che hanno appena raggiunto la soglia dei vent’anni e sono molto maturi nei loro comportamenti. Comunque le virtù l’uomo le scopre e le conquista col sacrificio. E quella che leggerete è la storia di un giovane che s’accorge che la vita non sempre dà e non sempre va nel verso giusto ma…
Quella mattina d’inverno rigido dell’anno 1981 a Palermo c’era una strana sensazione. Una famiglia molto dedita al lavoro sentiva la necessità di avere un figlio. Marito e moglie, dopo diversi anni di attesa trascorsi tra colloqui con assistenti sociali e psicologi, accolsero il loro bambino. Apparentemente sembrava italiano ma arrivava da una terra vicina e confinante; era ribelle e pronto a sfidare chiunque. Non si sarebbe mai detto che a distanza di vent’anni circa le cose sarebbero cambiate. Sicuramente Piero avrebbe fatto progressi, ma per gli altri era un bambino sin troppo vivace per la sua età. Il padre, avvocato civilista, voleva che il figlio giocasse a calcio, ma a Piero non piaceva rincorrere il pallone, né tantomeno vedere le partite o tifare per una grande squadra. Nino, appunto il papà di Piero, era una persona sportiva. A volte eccessivamente. Al sabato andava al parco con la smania di farsi le corse e giocare a calcio. E in casa la tuta era all’ordine del giorno. Non parliamo poi della maglietta rosa-nero che si era acquistato. Che nessuno la toccasse altrimenti scattava l’Iliade. La madre insegnava Lettere nelle scuole medie e le diventava naturale mettere in mano al suo bambino libri scolastici, fiabe, enciclopedie. Caterina, la madre di Piero era una donna alta, magra, capelli neri e occhi azzurri. La voce era alta mentre parlava e aveva molto l’aria da professoressa. Senza neanche troppi sforzi Piero a quattro anni leggeva tutto ciò che gli girava intorno. Numeri dei bus, cartelloni pubblicitari, annunci funebri e anche giornaletti rosa di signore anziane che andava qualche volta a trovare insieme alla nonna. La madre mai più immaginava che suo figlio si sarebbe dedicato con tanta passione alla scrittura. Piero trascorse l’infanzia e l’adolescenza senza troppi entusiasmi, ma con tanti stimoli e attenzioni da parte dei suoi genitori. Festeggiò con poca convinzione il diciottesimo compleanno. Gli amici per farlo contento gli regalarono libri di Yoshimoto, Pennac, classici di tutti i tipi e qualche soldino da mettere in banca. Dagli scout si fece una festa a sorpresa ben riuscita, considerato che Piero non aveva molto spirito organizzativo.
Il ragazzo aveva bisogno dei suoi spazi. Sì gli scout con le loro attività strutturate aiutano a crescere, ma a Piero quell’ambiente cominciava a stargli stretto. A volte sentiva al telegiornale notizie di ragazzi uccisi perché erano entrati in clan mafiosi e avevano iniziato ad ammazzare alla luce del sole nell’indifferenza più totale dei passanti. Alle riunioni scout Piero, all’età di undici anni, domandava ai capi cosa stesse succedendo nella sua città. La risposta del capo, come quella del prete era univoca: “devi farti gli affari tuoi e comunque non c’è niente di grave”.
Arrivato all’età di diciannove anni, conseguì il diploma di scuola superiore in un Istituto per il turismo e decise di iscriversi all’Università. Sebbene la madre non fosse tanto propensa perché voleva che il figlio andasse al lavoro, il padre invece intuì che il ragazzo voleva avere una solida base culturale. Ma Palermo era una città che gli stava stretta e quindi Piero decise di andare a studiare a Milano.
Così fece le sue valigie e insieme al papà andarono in quel caos di vita milanese. Piero non immaginava che Milano fosse una città un po’ razzista.
S’iscrisse alla facoltà di Lingue sapendo che la Letteratura Spagnola e quella inglese lo affascinavano. Gli anni passarono in fretta anche perché il ragazzo studiava e lavorava; quel poco che riusciva a guadagnare lo utilizzava per pagarsi le tasse universitarie. Partecipò anche a stage proficui in case editrici di un certo pregio che arricchirono il suo curriculum vitae.
A Milano la vita è frenetica e il lavoro si trova. Per pagarsi gli studi fece di tutto: lavorò nelle cooperative sociali, nelle edicole dei supermercati e in altri posti. Era anche impegnato nel sociale: nelle vicinanze di Milano insegnava italiano agli stranieri in una scuola serale gestita dalla Parrocchia.
Finiti finalmente gli studi, ritornò nella sua Palermo a festeggiare la Laurea. Ci fu una grande festa. Piero non capiva inizialmente cosa stesse succedendo. Sì va bene, la Laurea è un bel traguardo, ma tutto quel can-can lo rendeva scemo. Così la mamma si avvicinò al figlio e gli fece vedere un pacchettino rettangolare. Era il suo libro. L’aveva acquistato una casa editrice piccola che decise di pubblicarlo. Tra gli ospiti illustri vi era un signore, Girolamo, poco più che quarantenne con sua moglie Lorena. Dopo le dovute presentazioni, Girolamo con modi molto garbati si rivolse a Piero.

– Pìè, ascolta ho letto il libro e Lorena ne è rimasta più che contenta. Che ne dici di presentarlo a Radio One? Te la ricordi come radio? Oppure adesso apprezzi le network milanesi?
– Sì va bene. Non ho esperienze di interviste e dico la verità vorrei che Il Cammino di Henry1 non si divulgasse troppo.
– Perché? Hai parlato della Sicilia in maniera divina. Hai affrontato temi di un certo livello. Come mai ti nascondi agli occhi di tutti? Guarda che anch’io scrivo poesie e non ho paura di leggerle in pubblico. Ci mettiamo tanta passione e non dobbiamo essere sprecati. Picciotto ti aspettiamo per l’intervista. Il responsabile di Radio One Marcantonio sa come contattarti.
– Va bene signor Girolamo.
– Ahi ahi ahi. Girolamo grazie. Bravo picciotto.


1 Romanzo che realmente esiste scritto dallo stesso autore.


2.

Per quanto in una città e soprattutto nelle vicinanze a volte non si trovi ciò che desideri, Piero cercò di darsi da fare. Palermo non è Milano. Nino, vedeva che il figlio cercava un lavoro serio e stabile, ma le proposte non erano allettanti. Call-center, guardiano notturno, inventari. Ma quando meno te l’aspetti, ti si presenta una proposta di lavoro serio. L’intervista fatta per il libro appena scritto suscitò un interesse collettivo. Un giornalista locale, vedendo il giovane sulla spiaggia di Aspra che stava scrivendo qualcosa, si fermò e iniziò a parlargli.

– Ciao sono Tiziano, scrivo per il giornale Palermo Libera. Ho letto il tuo libro e mi piace il tuo modo di scrivere. Volevo proporti un reportage sui giovani e la mafia. Cosa ne pensi? Ti assumerei con un contratto a tempo indeterminato e se il lavoro andrà alla grande ti offrirei la possibilità di lavorare per la televisione locale di Aspra. Teleaspra. Tieni il biglietto da visita. Cosa stai scrivendo?
– Mmmm. Niente. Poesie sulla legalità. Ma non credo di pubblicarle. Scrivere è una rottura e sinceramente Il Cammino di Henry è un romanzo che non mi dice più nulla. Ti chiamo fra una settimana ci devo pensare. Ok?
– Sentiti libero. Non devi farti problemi. Poi lo capirai. Ciao Piè.

Il ragazzo proseguì con l’I-pod alle orecchie. Piero guardò il biglietto da visita e scoprì che il cognome di Tiziano era identico a quello di Girolamo. Arrivato a casa si fece una doccia calda anche se a marzo già faceva caldo e si lavò i capelli ripetutamente. Poi si mise il pigiama e chiamò.

– Cucì sono Girolamo chi cerchi?
– Ho sbagliato numero, scusami Girolamo cercavo un certo Tiziano.
– Mio figlio. Te lo passo. Stasera vuoi venire a trovarci? Facciamo musica all’aperto. Dai ti aspettiamo per le 21 e trenta.
– Sì va bene. Grazie.

Tiziano prese la cornetta e iniziò a parlare.

– Piè allora hai già deciso?
– Sì. Accetto.
– Domani a mezzogiorno fatti trovare in redazione. Stasera divertiamoci. Ok?
– Sì ok. A dopo.

La notizia piacque a Nino e Caterina. Piero invece non voleva far trapelare molto i suoi sentimenti. Non era mai stato aperto e se parlava era perché c’erano argomenti interessanti. I balli li trovava noiosi e infatti ogni volta che qualcuno o qualcuna proponeva di andare in discoteca, lui aveva sempre una scusa. Si cambiò e andò a trovare i suoi amici.
Arrivò Tiziano davanti alla porta.

– Cucì entra. C’è baldoria e sai perché? Perché il nostro giornale è letto anche su internet.
– Bello.
– Che lingua lunga che hai. Sei di molte parole?
– No.
– L’avevo intuito. Comunque non è un problema entra. Questa è la tua festa.

Piero entrò timidamente in giardino. Poco dopo il signor Girolamo lo presentò ad un gruppo ristretto di colleghi quando una ragazza si voltò e disse alle altre ad alta voce:

– Comari guardate là. C’è l’autore del Cammino di Henry.
– Mamma che bieddu.
– Sì lo voglio una notte per me.
– Appena? Io lo voglio per sempre con me.
– Mamma che bonazzo.
– Sì ma lo vedi come è impacciato.
– Ma è lui?
– Ma sì che è lui. Lo riconosco dalla foto. Forse i capelli un po’ corti e il fatto che sia dimagrito.
– Sì ma che bel pezzo di scheletro.
Andiamo da lui.

Tiziano stava mettendo in contatto Piero con una sua amica molto semplice ma al contempo elegante e colta quando Liliana si avvicinò al microfono a voce alta:

– Ragazze c’è Piero, il bonazzo, l’autore del Cammino di Henry.

Le compagne si voltarono e corsero dietro a lui. Piero era in difficoltà e Girolamo si accorse che la situazione stava prendendo una brutta piega. Il giovane era arrossito e iniziò a sudare tanto. Il padrone di casa si avvicinò alle ragazze e disse in maniera educata:

– È timido, lasciatelo in pace. Se ha voglia parla, ma non potete assillarlo.
– Ma è un bonazzo.
– Sì va bene. Ma è anche uno che non si sente; non mettetelo a disagio; se continuate così lo mando via.
– Mamma che gnocco!
– Mamma! È troppo bono!

Piero si sentì in imbarazzo tanto che gli cadde il portafoglio nel mentre prendeva il fazzoletto per asciugarsi il sudore. Quindi decise di andare a casa correndo. Al rientro verso le dieci e trenta mise i genitori in un certo disagio.

– Non ti sei trovato bene?
– No. Alcune ragazze mi assalivano.
– Sempre timido vero Piè? – disse la mamma.
– Non è quello. Per un libro non posso uscire di casa che mi assalgono. Vado a letto. Ciao.
– Buona notte, a domani.

Appena fu a letto, arrivò qualche minuto dopo Tiziano.

– Signor Nino? Suo figlio ha perso il portafoglio. Ci dispiace che alcune persone l’abbiano messo in difficoltà.
– Entra, nessun problema.

Tiziano bevve una limonata fresca con ghiaccio e parlò una mezzoretta con i genitori di Piero. Ma lui intanto stava già dormendo.

[continua]

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