Myosotis

di

Diego Capitano


Diego Capitano - Myosotis
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
15x21 - pp. 80 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-8255

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In copertina e all’interno illustrazioni dell’autore


PRESENTAZIONE
dell’autore

Nel difficile percorso della vita, la memoria radiosa del poeta diventa parola.
Parola di cose lontane e di cose moderne, con giusta misura e giusta nuance, radicate nell’humus della sapienza, si trasformano come per magia in uno splendore chiamato: “POESIA”.
Segni granitici, indelebili di vicende umane tribolate del quotidiano vivere, che spesso indietro ci riportano nel passato, affinché divenga saggezza l’esperienza degli anziani trascorsi, pronta a confrontarsi e a dirigere i nostri passi incerti, verso quell’ignoto cammino che ci trasferisce al futuro.
È qui, che sorge per l’autore, in un presente arido e inquinato: “La luce della memoria”, dolcemente ricamata dai bei ricordi, ameni e contrastanti dall’inganno degli anni.
Tutto ciò che rimane del vissuto, assomigliano a levigate perle trafitte nel lungo talvolta severo, rosario della vita.
Ma l’arte, la genialità e la creatività, non possono né soccombere, né estinguersi, nessuno può spegnere quindi, la fertilità dell’intelletto ad un artista né il faro della sua memoria.
L’autore qui, accende per tutti il suo ingegno e lo trascrive in oceani di storie e di cose vere, autentiche che si stagliano come vette nell’anima, pronte ad essere esplorate.
In Myosotis, così in me, vive l’amore vero, universale, riflesso sulla vita di tutte le cose e sulla morte, parole forti irremovibili a volte semplici e dolci, toccano il cuore nel lettore rubandogli briciole d’emozioni.
Liriche che si liberano dall’anima e dal cuore, onuste di sacri valori e sani princìpi umani, sgorgate da un animo sensibile, per sensibilizzare ancora il genere umano che nei secoli con le guerre e la violenza, qualsiasi essa sia, ha continuato e continua a calpestare la dignità dell’uomo e le proprie virtù.
Il poeta non condivide l’ignoranza nell’uomo, e in questa raccolta poetica lo si nota alquanto; il male che rende abominevoli e perdenti, lui lo condanna, e lotta a suo modo cantando le sue odi, affinché il bene e il giusto vincano contro ogni forma di male e di ingiusto.
Per questo ed altri motivi intollerabili, l’autore diviene proferitore d’umanità, e ci trascina con la sua poesia in mille emozioni, elogiando i grandi del passato, inneggiandoli come statue megalitiche e immortali, facendo rivivere nel cuore ogni bellezza del creato, e inducendo a pensare seriosi: “Tutto ciò che prima è stato, e che il tempo pian piano ha consumato”.

Diego Capitano


Myosotis


NOI… POETI RACALMUTESI!

Come Chagall, vorrei cogliere questa terra
dentro l’immobile occhio del bue.

La poesia è la prova della vita.
se la tua vita arde, la poesia è la cenere.

Anelo all’eternità, perché lì troverò i miei
quadri non dipinti, e le mie poesie non
scritte.

Leonardo Sciascia


MYOSOTIS

Godetevi la vita baldanzosa gioventù…
poiché nessun piacere v’è dopo la morte!
Ad ogni umano è concessa una sola pazzia all’anno
per poi con proponimento d’animo non peccare più.
Pure io ho cercato d’alleviare in me il dolore dell’anima
a spron battuto… riponendo un po’ l’amaro tormento
di tutti i problemi dell’esistenza… del quotidiano andare.
Non soffocate ragazzi i moti esplosivi di gioia del vostro
essere… affinché non gemino travolti in petto i cuori…
sarete voi a risanare gli errori e gli orrori del mondo:
“CAMBIATE!” ma tutti con gli stessi diritti.
Non badate più alle metropolitane leggende che tanto
ci hanno intrappolati in questa grande palude di sabbie
mobili e di miserie… dettate da ipocriti arroganti di
politici incollati su dubbi scranni.
Abbattete le mitiche mura di Abila e Calpe d’Ercole che
segnato hanno un tempo limiti alla terra… per non potere
varcare oltre i confini del mondo… oltre l’eredità di tutti.
Solo così rinasceremo! Senza mai giustificare o perdonare
i profanatori del nostro pianeta… i tanti furbi ciarlatani.
E gli avidi: Coloro che hanno vissuto nel male per arricchirsi…
senza mai pensare un minuto a chi di povertà muore.
Spunteranno qui in questi campi aridi… fiori belli e aulenti
di Myosotis ad espandere nei prati incolti del mondo il
profumo indelebile del “NON TI SCORDAR Dl ME!”


LA FOLLE STORIA
DELLA POETESSA DEI NAVIGLI

(ad Alda Merini)

Nascevi Il ’31 col primo giorno di primavera quando
il tuo vagito ruppe il silenzio superbo della notte
nelle coccolanti e amorose braccia materne.
Bambina dalla isolata infanzia amante d’un pianoforte
amico… incontravi ignara le tue prime oscurità nei gai
pensieri… prigione e tormento nell’anima in un orrido
luogo dalle rinchiuse menti malate.
Come farfalle silenziose volavano dal tuo cuore amari
versi di dolore… priva di libertà… priva di umana pietà.
Viva pena solitaria… colomba dalle spezzate ali…
pura anima scavata e corrosa da atroci pensieri infiniti.
Vincesti per un po’ tuoi mali: scuri vessilli nel cervello…
e trovasti il padre delle tue creature… il plauso fausto
della gente ma mai declinò in te l’altra ostile metà.
Due menti in una… due ragioni diverse dissestavano
il senno… l’equilibrio di un’identità perduta che t’addusse
all’ossessione… se vera pazzia fu.
Meteora dal cielo piovuta… luminoso astro di cultura…
seminavi sui nitidi fogli… croci di parole e fiori d’una realtà
amata e odiata… arida ogni stillata lacrima mutavasi in
prece: Dura… nuda… ma non pregavi.
Alienazione che diede a te come Atena lungimirante saggezza
amore per la vita.
Bisognosa di solo poesia… di sentimenti buoni… di parole
simili a bianche rose che sbocciavano dentro e ti ridestavano
nuova nella pelle ricca di emozioni… senza più disagi.
Poetessa di sventura come me… priva di fisiognomica ma con
la dolcezza e la verità come volto… grido straziante che l’amore
canta doglioso della misera gente e si lascia mai soffocare.
Altare vuoto onusto di suppliche silenti… occhi imperlati di
madre e di donna abbandonata nella cattiveria degli uomini…
a non vivere condannata ma ad esistere dietro le sbarre delle
ambiguità mentali… dietro la porta d’una casa dispersa nella
disperazione divina… nel labirinto stregato degli squilibri.
Addio Alda!… Mistero nel mistero intrappolata nel sacrificio
delle tue parole… ove la tua ragione con virtuoso calamo la follía
nel delirio vinse… ardito desiderio di vera libertà cercata tanto
nell’eremo carcere della tua confusa anima.
Sai! Non esistono poeti senza un briciolo di stranezza…
Addio amica… folle poetessa dei navigli!…

postata sul blog “Regalpetra Libera”


CANTICO ALLA DONNA

A te canto o donna!…
Setosa chioma vagabonda di misteriose e mitiche frivolezze…
di tempeste ornata d’aulenti fiori dipinti… carezzata dal dolce
lambire del vento.
Figlia prediletta di fulgide stelle vetuste… millenarie… da sempre
posta dall’uomo sui merlettati ricami dell’universo.
A te canto o donna!…
Aurato sole nascente in anime solitarie… nitida tenda tessuta
dalle piccole ali delle allodole al flebile chiarore
d’una mezza luna.
Ammaliante giumenta sfrenata… condottiera della dorata biga
d’Apollo… fra mille batuffoli rugiadosi di nubifere giogaie… ai confini invisibili del cielo.
A te canto o donna!…
Rubiconde le tue melliflue guance d’avvenenti profumi di rose rosa…
che baci stillarono primordiali dalle sanguigne labbra di Adamo.
Preziose perle orientali… gl’ingannevoli specchi: piccioni
viaggiatori
di dolci messaggi d’amore… o languidi tormenti in cuori
innamorati…
nelle lunghe attese deliranti pronti a cogliere uniche delizie…
nel recondito tuo giardino di fragole e miele.
Canto per te!… Leggiadra gazzella su campi prodighi
ove scricchiolano
rogge foglie sotto i tuoi ansimanti salti di brama.
Con archi e frecce di Cupido: su fremiti animali infierisci tu
coi sapori
della tua pelle… frastornare negli albi freschi giacigli di
pronube notti in veglie smaniose…
catturare in te lupa romana con le più belle galeotte
lune… candide gemme ignude… di nuova vita.


ADAGIO

Un sorso di fresca brina bevo per allenire un po’
l’arsura delle vampe del cuore…
e si disseta alquanto quest’anima in secca…
sempre più arida.
Di notte prima dell’albore un calice ne ho raccolto…
ricurvo visto ho dalle atre ore lacrimare l’immenso
su madidi petali di rose quasi dischiuse… pallide…
ora drizzate al cielo al primo lumeggiare del sole…
quel cielo che è sempre vuoto per chi non crede.
Rorido e stanco i passi alzo in cammino adagio
immerso a indorati campi di pane pralinati
di rossi papaveri ondeggiare sotto l’anelito blando
di mattutina brezza.
Da qui torno dove tra gli umani vige l’orrore…
qua liberi lascio i pensieri più dolci e le nostalgie
da questo ulivo e questo melograno a quell’azzurro
profondo d’eterno silenzio…
Là dove sprizza l’acquario e i carri girano fra milioni
di stelle tra uno sbuffo e l’altro dell’alato Pegaso.
Quand’io da questa vecchia terra rimosso comparire
rivedo al mio rientro da lontano le grame mura rancide
del mio patibolare ostello… lacrimevole nello schianto.
Nel dolore disperato vado in quella mia prigione
simile intanato alla mala e oscura Muda di Conte Ugolino
ad attendere cruda e lenta morte… Mia Luce! Mio Dio!
Accendimi ti prego! il buio in cielo al mio salire… Adagio.


I FIGLI DEL FUOCO

In questo silenzio montano spezzato dai temuti rombi
del gran vulcano… miro da più giù dalla stretta mulattiera
scolpita tra feltri e ginestre dell’aulento parco dai caldi
vapori assorti… il secolare ilice bruno di Carrinu che maestoso
s’espande coi lunghi rami ragnateluti disnodarsi al vento
leggeri nell’indole pacata dei lecci quieti.
Intorno nere rocce s’ergono irte… cuspidi ogivali che ornano
il redimito monte Mungibeddu regalando sogni d’un lunare
paesaggio da conoscere e da amare con i figli del fuoco.
D’un rosso chiaro la vampa s’impenna dalla aperta bocca
al di sopra delle virenti valli ai confini con le stelle… rischiara
l’etere scuro e profondo e nel lento scivolare dalla pietrosa
montagna… intaglia e solca vetuste viscere dal tempo richiuse.
Da più lontano come stormi spiccano il volo dalla mia mente
i pensieri verso fumiganti nubi con pie note dall’anima muta.
Tutto s’abbellisce e abbaglia nel vigoroso esplodere dei lapilli…
quasi da somigliare alla tempestosa e vermiglia giovinezza.
Avverso il tempo ingoia la vita ed invecchia ogni cuore nella
rabbia quando il corpo avvampa al triste pensiero delle buie
sepolture… ove l’anima di colpo la carne abbandona.
Non ora!… Che caldi soli e spumose acque marine temprano
la mia piccola fronte intrisa di mille profondi segreti dagli occhi
riflessi e dal palpito distratto del cuore.
Stravolto lo sguardo ammira stupefatto dietro questa fumida
cortina di lavico vapore… le tante bellezze di questa mia terra
tra i profumi d’ambrosia bohemien in viaggio su strade ruvide
di basalto… circoli di siculi fanciulli si dissetano nel languido
chiassoso ruscello del vicino borgo.
Naiadi greche appaiono dall’azzurre acque sorridenti a marinai
etnici semignudi… giocosi in tiepidi bagni nei delubri antichi…
ma tutto è visione che m’invade… la storia che mi assale
in questa fantastica realtà.
Scorgo i campi ove la forte tramontana scuote gli alberi…
le verzure
e le spase messi di frumento… scalpitano sciolte giumente coi
puledri là sul ciglio della strada e dietro un armento belante…
un cane e il pastore che li adduce al vicino riparo.
In paese canti imenei accompagnano la nuova sposa al primo
talamo nuziale in canti e balli siciliani… e il pianto della madre
adusta in viso ma felice nell’animo ancora bacia l’adorata figlia.
Milo e Zafferana sono in festa ed io vi sono… naturali fuochi
pirotecnici dalla cima del mitico vulcano risvegliano i dormienti
alati e la valle antica… scomposte file di veliti volontari
s’arroccano
sui plaustri dipinti di pupi siciliani già carichi di frutti dorati…
di fiaschi di vino… di taralli e mandorle al miele e fichidindia.
Nell’aria l’intenso profumo di zàgara d’arance e cento bimbi in pazze
corse mentre ilari mordicchiano il gustoso pane nero d’irmanu.


PASSE-PARTOUT…

Nella continua distruzione dei valori e delle virtù
chinato mi ridesto propinque ad una stantia… rorida
inferriata di ruggine corrosa… ossidata dal suo cancro.
Sopra lucide rotaie rivedo rubicondo il tuo bel viso
e lunula la bocca nel suo prolabio… venare sublime
l’adunco immenso… nell’immensità.
I tuoi languidi occhi mirando… ricredo qui all’amore…
e depongo una pietra sulla vita immersa nei dubbi più
strani di errati ardori… di mani sbagliate e ambigue
che adesso proclive sotterro tra questi binari senza
più uscite.
Quando lontano sopra gli alti palazzi… dalla viva pupilla
fulgida del cielo… sale cerea la luna per gl’irti monti
fin su le traviate nuvole d’ovatta a far da ruffiana agli
amanti e ai giovani innamorati.
Tutto rinasce nel riarso cuore e s’irriga d’un esiguo rivolo
d’amore: questa anima mai vista.
Argentea l’aria… bucolica… seppur “Sine Cura” si pregna
in questi lunghi attimi al buio legati dalla fresca sera e dalla
scarmigliata tramontana… d’un dolce olezzo di un raro fiore
umano.
Bruno il sericeo crine sull’eburneo viso… dolce incantavami…
avvicinai passi cauti sulla serafica sua ombra e come edera
sull’edera s’avvinsero le anime rivestite dalla nostra pelle.
Intagliate da michelangiolesche mani le metafisiche figure
di due inscindibili amanti… s’incastonarono nell’etere
agli antipodi della terra… lassù!… Senza remore… nel lucido
cromatico passe-partout della notte… come rubino sulla
luminescente fronte della luna… come satellite riscoperto
nell’immensità del nostro firmamento.


[continua]


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