Il cigno di Cherbourg

di

Davide Gorga


Davide Gorga - Il cigno di Cherbourg
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 220 - Euro 14,00
ISBN 88-8356-518-5

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Presentazione

Fantasy metropolitano. Giovani fieri, coraggiosi e indomiti lottano contro il Male della città – una potente organizzazione criminale che traffica in stupefacenti – a cavallo di splendidi stalloni bianchi ma anche di moto di grossa cilindrata, usano come armi spade dall’elsa di cristallo ma anche computer dotati della più sofisticata tecnologia, conversano tra loro con un vocabolario degno della migliore tradizione cortese senza disdegnare, tuttavia, incursioni nel lessico della più moderna finanza.
Tutto questo è il fantasy metropolitano narrato da Davide Gorga: paesaggi scintillanti, squarci di sole che illuminano sottoboschi bui e folti, convegni segreti cui si accede con parole d’ordine meravigliosamente misteriose e musicali, combattimenti corpo a corpo secondo i rituali di antiche arti marziali orientali e leggiadre citazioni in langue d’oc. E, soprattutto, l’eterno scontro tra Bene e Male, nel quale entrambi sfoderano le armi classiche: amore, amicizia e onore da un lato; tradimento, sfruttamento e oppressione dall’altro. Chi vincerà questa volta?

Olivia Trioschi


Introduzione

Nel Medio Evo, i routiers erano briganti di strada pronti a vendersi come capitani di guerra, insieme alle loro bande, al primo offerente. Il più celebre fra questi fu senz’altro Etienne de Vignolles, detto “La Hire”, il brigante che si unì a Giovanna d’Arco e che cambiò vita dopo l’incontro con lei.

Questa è una storia di routiers, briganti che, come La Hire, rimasto nella fantasia popolare quale invincibile uomo d’armi, hanno messo la loro spada al servizio di una causa perduta in partenza.
A meno di un miracolo.

È con l’atteggiamento di bambini stupiti di fronte ai racconti di questi routiers che dobbiamo iniziare a scorrere questa storia.

L’Autore


Il cigno di Cherbourg


PARTE PRIMA
1

“Era ora che arrivassi, Genève.”
La ragazza, non alta, il cui viso sottile era puntellato di efelidi, aveva piazzato il suo motorino male in arnese ai margini del parco urbano su cui sorgeva in lontananza un bar dalle vetrate chiare. Non appena si era tolta il casco, nascondendolo presto sotto la sella ed assicurando la stessa, si era incamminata verso di esso, lo sguardo basso e rassegnato.
Il vento grigio dell’autunno passava tra i rami, scuotendoli e riempiendo il prato, che ancora conservava traccia del suo bel verde, di un castano pallido, presagio di un inverno imminente. Al suono di quella voce, il volto spento della ragazza si era illuminato, ed un morso di aria più gelida le aveva serrato la schiena come una cascatella frizzante di energia. Volgendo lo sguardo da quella parte, aveva notato la silhouette alta, slanciata, dal viso affilato, i lunghi capelli di giaietto che erano scompigliati dalle ventate frequenti come un turbine di ebano lucente, i vestiti blu notte che lasciavano scoperte le maniche all’altezza del gomito, rivelando un bel colore grigio chiaro…
“Michelle!” scoppiò a dire la ragazza, come chi ritrovi un sopravvissuto dopo un incidente; “Sei veramente tu?” e le corse incontro, senza badare agli sguardi che nel frattempo si erano levati verso quella voce squillante. Corse verso di lei e l’abbracciò, affondando il suo viso nelle vesti morbide e fredde dell’altra ed aspirandone il chiaro profumo da quant’era che non lo sentiva? e quando rivolse lo sguardo verso il volto benevolente dell’amica, si accorse che il suo era rigato di lacrime, che cadevano al suolo come una pioggia leggera donandole sollievo e una pace che non ricordava più da tempo.
L’altra le passò una mano tra i capelli, scostando quelli che si erano affollati sulla fronte della giovane, e la guardò con un’aria ironica, ma talmente presente e viva, viva nella sua interiorità che il mondo era scomparso dallo spazio che le circondava. Ed ora Michelle la guardava con uno strano sorriso, malinconico, ironico, vivo.
Genève le disse “Sei cambiata…” e solo in quel momento si accorse di stare singhiozzando; “Quanto tempo è passato?” le chiese, senza lasciarla; “Otto anni.”, le rispose tranquilla Michelle, “Ma vedo che non hai perso l’abitudine di fare tardi”, ed il sorriso che le scoccò con gli occhi sembrò più velato di ironia del solito.
Genève si sciolse dall’abbraccio dell’amica, risollevandosi e poggiando una mano sul legno ruvido della staccionata che circondava il prato. Una nuova raffica di vento le scompigliò i capelli corti, quando Michelle rimaneva immobile mentre i suoi le turbinavano come una tempesta di luci tanto erano splendenti. Poi riprese, con l’aria di chi è in grado di ricordare lontano: “Sei cambiata”, e quindi, senza stare ad aspettare risposte, continuò “Tutto cambia”, mentre un raggio di sole faceva finalmente capolino tra la spessa coltre di nubi.
“Se sono cambiata?”, domandò Michelle; “Certo che lo sono”, e si atteggiò di nuovo ad uno di quei sorrisi che Genève non aveva mai conosciuto, “ma non è sanza cagion l’andare al cupo, non trovi?”. Genève la guardò con occhi smarriti; “Non preoccuparti. Volevo solo dire che a volte si è costretti a percorrere delle vie che non ci si aspetta e che non si vorrebbe. Ma per il resto, sono sempre la stessa” continuò la giovane più alta; “Bene, mi offri un caffé o staremo qui fino al prossimo inverno?”; Genève rise ancora e la trasse via con sé prendendola sottobraccio mentre l’altra si irrigidiva al contatto fisico; e sotto la sua giacca a vento rossa il suo petto si sollevò in una risata sottovoce, perché, almeno in quello, Michelle davvero non era cambiata.

Il fumo delle due tazze di caffé saliva specchiandosi nelle vetrate che davano sul parco, e, per quella mattina, il mondo intorno a loro, con gli studenti che facevano rumore nell’accalcarsi al bancone, non esisteva. Genève sorrise; “Allora, cos’hai fatto in questo tempo?”
“Molte cose…”, rispose Michelle, “E non tutte propriamente piacevoli, ma non sono certo venuta sin qui per parlare di me.” concluse con il suo tono tipico. Quindi a sua volta: “E tu? Ti stai laureando?” mentre appoggiava le labbra pallide al bordo della tazzina, senza cessare di guardarla con i suoi occhi neri; Genève arrossì violentemente; “No, veramente, non ancora… Sai, non è così semplice, e non parlo delle materie di studio…”
Michelle risollevò il capo ed appoggiò la tazza sul tavolo marrone; le rivolse mezzo sorriso: “Sì, capisco cosa intendi.” Ed allora a Genève parve chiaro quanto la sua amica fosse cambiata: la guardò in viso, ma come Michelle le aveva spesso detto, a volte le persone è possibile vederle in trasparenza, osservandone l’anima come si osserva un sasso sul fondo di un ruscello; sì, una saggezza antica e profonda l’aveva coperta, come un manto scuro illuminato solo dalla luce della luna, una veste che avrebbe potuto essere terrificante, se solo chi la indossava avesse voluto; come quella di un eremita o di un monaco di ordini da tempo dimenticati, ma al suo interno, quanta luce! – abbagliava l’anima con il suo candore, scintillava di vita come un raggio di sole che squarci le nubi.

Michelle inclinò il capo in avanti, nascondendo quasi il viso tra i capelli, ma i suoi occhi risplendevano chiari in quella coltre di oscurità. “È proprio così”, pensò tra sé Genève, “È veramente come il suo corpo candido come la neve avvolto in quei vestiti scuri.”
“Hai più rivisto François?” le chiese d’improvviso l’altra; Genève sussultò. Erano passati così tanti anni, così tanti…
“No, credo che si sia sposato; o almeno dicevano così”, rispose deglutendo a fatica. Michelle assentì. Quindi si alzò con calma e si appressò al bancone per pagare la consumazione.
Per Genève fu come svegliarsi da un sogno. Ora il fumo, il rumore, il quotidiano lasciarsi morire erano tutti affianco a lei, e non c’era nulla di diverso dalle altre mattine, in cui solamente la solitudine di un giorno di sole sembrava ancora far respirare il cielo di vita, mentre la routine si svolgeva come al solito nell’edificio ipocritamente pulito.
Quando furono uscite, si diressero verso il bordo del parco:
“Mi sei mancata.” disse Genève.
“Anche tu. E non sai quanto.”, rispose Michelle; quindi, aspirando il vento quasi a volerne assorbire la luce che iniziava ad indorare un autunno – il più bell’autunno che a Genève sembrasse di ricordare da chissà quanto tempo – riprese “Ma non si può essere in due luoghi contemporaneamente. Ed io avevo molto da fare.”
Genève assentì in silenzio; quindi riprese con timore: “E adesso? Sparirai di nuovo? Tornerai a Cherbourg?”.
“No.” rispose con piglio severo Michelle; “Resterò qui. Ho preso un appartamento in affitto.”, poi, mentre Genève sentiva già rinascere la speranza, aggiunse noncurante: “Che ne diresti di vivere con me?”, ed allora la ragazza bruna scoppiò in lacrime e l’abbracciò con forza, mentre il vento rinfrescava ed il sole si alzava splendido su di un paesaggio d’incanto.

Le due giovani si incamminarono a fianco del prato, sinché Genève, che aveva recuperato su indicazione della compagna il suo casco, non si fermò di soprassalto indicando una motocicletta di grossa cilindrata ferma sul cavalletto laterale: “Michelle, ma quella è...” . Michelle sorrise: “Sì. È la moto del nostro primo viaggio insieme”; e senza fermarsi, estrasse le chiavi dai vestiti e, raccolti i capelli sotto la giacca, si infilò il casco e montò in sella facendo rombare il motore; le sue mani candide non portavano guanti, e la sua visiera era aperta al canto invernale del vento sul viso; Genève indossò a sua volta il casco e montò in sella, mentre l’aria che era morta si faceva in ogni istante più pungente e viva, viva come non mai; quindi, attraverso il casco, domandò senza alcuna logica: “Senti, Michelle, cosa volevi dire con quella frase che non piace a nessuno camminare al buio…?”; “Ma non fate letteratura italiana?” chiese Michelle, fredda; “Certo che no! Che ce ne facciamo?”.
Michelle sospirò, ma a Genève sembrò di vederla sorridere mentre voltava la moto; quindi accelerò bruscamente, e la giovane le si dovette aggrappare con forza alla vita.
“Per tenersi c‘è il maniglione posteriore”- replicò secca Michelle. E Genève a quelle parole tornò improvvisamente ad essere bambina, come se tanti anni le fossero scivolati via dalle spalle; come se il mondo si ammantasse di una luce nuova mentre lo attraversavano nel vento limpido. Ed allora rise, una risata limpida, di cuore, che sembrava lo sgorgare di un ruscello di gioia a lungo represso. Erano di nuovo in viaggio.


2

La casa di Michelle era in riva al mare, ampia, quasi lussuosa, e dall’esterno provenivano strida di gabbiani e un fresco odore che rinvigoriva e purificava. Alto, il sole si specchiava nella distesa d’acqua senza confini, e Genève lo guardò incantata. “Ci vivrei in eterno!” esclamò, tuffandosi su un divano nel salone all’americana che si apriva sulla cucina, e ricordandosi d’improvviso che la famiglia di Michelle era immensamente ricca.
“Te lo pagano i tuoi genitori l’affitto?” domandò con una voce ben più chiara di quanto non fosse stata in quella grigia alba d’autunno di non molti minuti prima, e dalla quale tuttavia sembrava passata un’eternità; “No, a dire il vero, questa è casa mia; anzi, ho già iniziato le pratiche per comprarla.” rispose Michelle avvicinandosi alla cucina.
“Sono i tuoi genitori che ti hanno dato i soldi?” le chiese abbastanza stupita Genève.
“No. Sono soldi miei. Certi lavori si pagano bene.”
Queste parole ricordarono a Genève lo strano cambiamento dell’amica, ma scacciò dalla mente quel pensiero e tutto quanto le ricordava. Erano di nuovo insieme dopo otto lunghi anni, trascorsi lenti come secoli d’inquisizione, e non voleva rovinare niente di quei momenti;
“Posso dare un’occhiata alla casa?” chiese allora.
“Sì, certo, ma non mettere in disordine i miei libri.”
“D’accordo! Per una volta non combinerò guai!” rispose allegra l’altra.
Genève si alzò con un’energia che non sentiva più in corpo da un’eternità e spalancò la prima porta che le si parò davanti. In effetti, la prima cosa che si notava sulla sinistra, entrando, era una magnifica libreria in legno pregiato, cui Genève non avrebbe saputo dare un nome, nella quale erano affiancati in bell’ordine centinaia di libri, la maggior parte dei quali sconosciuti a Genève che si mise a scorrerli con crescente curiosità, quando si accorse che alcune erano preziose edizioni in lingua straniera, dall’Italiano all’Inglese; in una prima fila Genève lesse i titoli della Critica della Ragion Pura, delle Meditazioni Metafisiche di Cartesio, dei Dialoghi di Platone, e si chiese quanto tempo Michelle avesse dedicato e dedicasse tuttora, ne era certa alla lettura, e sorrise fra sé; quindi passò ad esaminare altri volumi vedendo i nomi di Berkeley, Cassirer, Poincaré, e molti altri. Un secondo gruppo era formato da testi di cui riusciva a stento a decifrare il titolo, nonostante fossero in Francese; ma recavano tutti le immagini del Buddha; sullo stesso ripiano stavano altri trattati religiosi che anche Genève conosceva, e terminavano con una bella Bibbia.
Al di sotto, Rimbaud, Baudelaire, Chateaubriand e tutti i grandi della letteratura francese che non erano un mistero neanche per Genève, ma che erano accostati ad altri più esotici come la Commedia in Italiano e un’edizione che Genève giudicò piuttosto rara di Paradise Lost, in lingua originale. Sul ripiano più alto, la ragazza vide Tolkien, almeno otto volumi, e poi Ende, M.R. James e G. Wallace West. E poi una immensità di altri libri che la giovane non esaminò più a lungo. Si voltò per esaminare il resto della stanza; il muro opposto era coperto da un mobile di legno dalla bella tonalità calda e chiara, ed in fondo, a fianco della finestra dalla quale entrava a fiotti la luce, l’unico segno di modernità, un computer sistemato su una scrivania di fronte al quale non seppe resistere, per cui si avvicinò e lo accese; ma con suo sommo disappunto, si accorse che tutto ciò che riusciva a far comparire era una schermata nera con caratteri bianchi. La guardò per un certo tempo, quindi schioccò le dita; “Ho capito!” esclamò a voce alta, quindi digitò un paio di comandi alla tastiera.
“Ma quante volte devo dirti che l’elaboratore di testi non si avvia dalla richiesta comandi a meno che non sia specificato il suo percorso nelle variabili d’ambiente?” – esclamò Michelle che era sopraggiunta senza il minimo rumore alle sue spalle. Genève la guardò con espressione interrogativa, quindi si voltò verso lo schermo e vide che il suo tentativo in effetti era fallito. Con aria di disappunto chiese: “Ma che cosa lo tieni a fare questo pezzo d’antiquariato?”
Michelle sospirò: “Questo pezzo d’antiquariato, come lo chiami tu, lo uso per lavorare. E quanto alla domanda che non mi fai,” soggiunse ancora guardando l’amica obliquamente; “preferisco un computer che gira a otto megahertz e fa viaggiare il cervello a mille, piuttosto che uno che viaggia a mille megahertz e fa viaggiare il cervello a otto.” Quindi, spense il computer con disinvoltura e disse: “Coraggio, ti mostro il resto della casa”.
Genève la seguì, e Michelle le mostrò una stanza già arredata le cui grandi finestre a scorrimento senza tende si illuminavano della chiara luce del giorno ormai avanzato che spioveva su un morbido letto, un armadio ampio ed un tavolo massiccio con due sedie di legno. Genève aspirò la chiara luce, quindi si sedette al tavolo, e tornò alla realtà, ed il suo viso perse parte della freschezza che aveva riacquistato.
Michelle si sedette di fronte a lei, in silenzio.
Era un cigno.
I suoi abiti scuri sembravano scintillare di luce propria.
“Sei proprio cambiata.” le disse Genève; “E anch’io”.
“Cosa intendi?”; chiese di rimando la giovane corvina. Genève appoggiò le braccia sul tavolo, e nascose il viso fra di esse. Trascorse qualche tempo. Poi, Michelle la sentì singhiozzare. “Non ce l’ho fatta, Michelle, non sono come te. Non ce l’ho fatta!”. L’altra non disse niente, e lasciò che Genève le prendesse una mano tra le sue; “È tutto così difficile, Michelle!”, continuò come parlando a sé stessa; “Così difficile! Non puoi rimanere bambina per sempre, lo capisci, no? E allora, cresci! Cresci, ti dicono gli altri, ma quando cresci ti accorgi che tutto quello per cui valeva la pena vivere non c‘è più. Non c‘è più un affetto sincero, una giornata di sole, un’amicizia vera, non c‘è più niente se non seguire gli altri verso il nulla. La casa, i soldi, il lavoro che non c‘è, i ragazzi che lavorano in banca, la posizione… e tutto quello per cui vivevi sparisce… Come sei sparita tu!”
Michelle ascoltava in silenzio. “Avrei voluto morire, Michelle! Lo avrei voluto davvero, mille volte, perché non è possibile vivere così, non si è esseri umani, si è bestie, peggio delle bestie!!!” e Genève cominciò a singhiozzare così forte che non riuscì più a parlare, e le sue lacrime come un lago lucente bagnarono il tavolo di legno caldo come veleno che dovesse fuoriuscire da un corpo per guarirlo.
Ma quello che Michelle vedeva era altro; vedeva l’anima di Genève che tornava a rivivere dopo la morte del mondo.
Infine Genève si trasse su sui gomiti, e con il volto rosso e le guance rigate di lacrime che continuavano a scendere incessanti, si levò in piedi e ricadde sulle ginocchia a fianco di Michelle, afferrandole le gambe e singhiozzando come un bambino nelle braccia della madre; ma questa volta Michelle non l’allontanò, ed iniziò a carezzarle dolcemente i capelli ed il viso, mentre tutta una vita di morte scivolava via dall’anima di Genève per non tornare mai più.


3

C’erano altre stanze nella casa. Con stupore di Genève, una era arredata quasi come una palestra, e lì lei e Michelle passarono la sera.
Si sedettero sul morbido tappeto che la ragazza aveva imparato chiamarsi tatami, e parlarono a lungo, del loro passato, della loro amicizia, del loro futuro.
E Genève vide che Michelle era davvero cambiata, poiché nonostante il suo viso e il suo atteggiamento fossero sempre freddi e severi, ora rideva di più, e parlava più a lungo, ma allo stesso tempo si era fatta più riservata su ciò che riguardava sé e la sua vita, in particolare per quegli ultimi lunghissimi otto anni in cui le due giovani erano state lontane. Erano stati anni in cui Genève aveva pensato di mai più rivederla, in questa vita. E forse era stato questo uno dei motivi del suo scivolare sempre più in basso, sempre più in basso, sempre di più. Ma ora Michelle era lì, di fronte a lei, vestita di lunghi abiti neri che la facevano sembrare il Dunois, pensò Genève, e non se ne sarebbe più andata.
Per la prima volta, in quella fredda palestra, Genève si sentì rivivere. La guardò negli occhi:
“Promettimi che non te ne andrai più.” le disse con quella voce da bambina che la prima volta l’aveva conquistata, e Michelle rispose: “Questo non posso farlo, ma se me ne andrò, e se tu lo vorrai, verrai con me”. Quindi si alzò, e cominciò ad eseguire strani movimenti che a Genève ricordavano esotiche pratiche orientali, sino ad aumentare il ritmo ad un punto tale che i lunghi capelli che aveva riunito in una coda ondeggiavano furiosamente, quasi scossi da un vento di tempesta, mentre Michelle colpiva il vuoto con tanta violenza da far sembrare che l’aria stessa ne restasse ferita. Infine disse: “Bene, per stasera, ho finito. Andiamo?”; Genève assentì, e l’accompagnò in bagno, dove Michelle si preparò a fare una doccia. Mentre la guardava con le braccia incrociate, la ragazza notò che l’amica aveva una profonda cicatrice sul ginocchio destro; “E quello cos‘è?” le chiese, indicandogliela.
“Questa? Sono stata operata, cinque anni fa, mi ero rotta una gamba e dovettero inserirmi una protesi di ferro che portai per mesi.”, quindi, vedendo il volto sorpreso dell’amica, domandò “Che c‘è di strano? Ogni lavoro ha i suoi inconvenienti.”
“Cinque anni fa…” mormorò Genève “cioè tre anni dopo che te n’eri andata… Michelle, dov’eri cinque anni fa?” chiese con tono improvvisamente duro Genève.
“A Parigi, perché?” fu la risposta pronta di Michelle, mentre si infilava sotto il getto d’acqua tiepida. Genève rimase un attimo interdetta, ma poi scosse il capo ed allontanò i tristi pensieri. Da sotto la doccia, Michelle la sentì ridere come una bambina. Ed in quel momento, anche il suo animo fu più sollevato.

Infine, Michelle chiuse l’acqua e si asciugò con un asciugamano di spugna; quindi si rivestì con un pigiama lungo ed accompagnò Genève nella sua stanza. La ragazza la seguì docilmente, e quando anch’essa si fu preparata per la notte, le due giovani si guardarono negli occhi: “Per sempre”, disse Genève guardando i meravigliosi occhi di Michelle, ben più alta di lei, porgendole una mano. Michelle sorrise, limpida e serena, e stringendo la mano di Genève tra le sue rispose a sua volta “Per sempre”.


4

La mattina dardeggiava serena la casa di Michelle. Genève, al telefono, stava spiegando con una certa agitazione ai suoi genitori la sua nuova sistemazione, e la sua voce era un misto di suoni allegri e risate scroscianti, quando ribatteva a un’obiezione vivace. Michelle si era alzata presto ed era seduta in biblioteca, con un libro in mano; poteva sentire l’energia dell’amica come qualcosa di tangibile. Fuori, il sole colpiva forte e limpido la casa ed il mare tranquillo al di là delle vetrate.
Quando infine Genève mise giù il ricevitore, si affacciò con il suo sorriso in biblioteca; “Bene, e adesso che si fa?”
“Tanto per cominciare, direi che dovremmo portare le tue cose qui.” rispose l’altra senza sollevare lo sguardo dal libro; Genève guardò il pigiama che ancora indossava e cui aveva ripiegato abbondantemente le maniche e i pantaloni blu scuri: “Che succede? Non hai più voglia di prestarmi pigiami?” quindi, senza attendere la risposta dell’altra, si allontanò parlando a voce alta “E va bene, stai tranquilla! Almeno i vestiti li porto!”.
Genève uscì in strada, la strada del mare che aveva tanto detestato in quei lunghi anni, ed aspirò la brezza pulita e fresca come non aveva più saputo fare; ogni cosa pareva scintillare nuova e viva sotto quel sole. Infine prese l’autobus, e canticchiò allegramente durante tutto il tragitto sino al suo appartamento una camera in affitto come tutti gli studenti e non vide né sentì nulla delle chiacchiere e delle miserie quotidiane di cui oramai era abituata ad essere testimone nella vita di ogni giorno.
Entrata in casa, sistemò le valigie sempre canticchiando, e fece presto ritorno. Michelle non si era mossa. Genève non la disturbò e prese a sistemare le sue poche cose; dopo qualche tempo vociò: “Michelle, non è che almeno per oggi potresti prestarmi qualcosa? Non avevo fatto il bucato e… Be’ lo sai come sono, no?”
Michelle rispose sorridendo: “Sì, lo so. Va’ in camera mia. I miei vestiti sono nell’armadio. Puoi prendere ciò che vuoi.”
Genève attraversò la casa ed entrò quasi con timore nella camera di Michelle; nell’ampio armadio trovavano posto ogni genere di vestiti, quasi tutti blu notte o grigi, constatò; alla fine, si decise per un ampio completo di cotone azzurro e, spogliatasi dei suoi abiti, lo indossò, appoggiandosi all’armadio, mentre la luce pioveva dorata nella camera. Il cotone fresco sulla pelle riscaldata appena dal sole invernale, le ventate che si rincorrevano frequenti, il mare racchiuso in un golfo di luce e la mano poggiata sul legno robusto, e dietro di lei la consapevolezza di boschi che terminavano fra i vicoli della città.
Genève sentì una pace guerriera assalirle l’animo; vide alberi dagli alti fusti cui non sapeva dare un nome e che pure le erano familiari, ed agli ampi abiti di cotone sentì la mancanza di una cintura e di qualcosa che lentamente prendeva forma nella sua mente, una lama argentea nel sole di una primavera lontana…
Genève si riscosse al tocco leggero di Michelle, che la scrutava con i suoi occhi profondi;
“Che ti succede?”
“Non è niente, solo che… No, deve essere stato un sogno!” concluse Genève terminando di vestire gli ampi abiti che l’amica le aveva prestato. Gli occhi di Michelle si socchiusero, quindi pronunciò una sola parola: “kenjutsu”.
Genève trasalì come se una fiammata l’avesse percorsa al solo suono.
“Stavi ricordando, Genève.” disse Michelle.
“Ricordando?” le fece eco l’altra; “Sì, ma che cosa?” chiese più a sé stessa che all’amica;
“Un giorno lo scoprirai.” concluse Michelle, sibillina. Poi, la giovane alta si allontanò, lasciando Genève immersa nei suoi dubbi.

Infine, Genève ritornò da lei; quando le fu davanti, l’altra alzò i suoi occhi di cristallo, trasparenti e vivi eppure ora venati di saggezza, e senza una parola si alzò e andò nell’ampio salone, sedendosi al tavolo, imitata dall’amica.
Genève capì. Era arrivato il momento cui non aveva voluto pensare. Aveva ritrovato la vita, ed in quella giornata benedetta non voleva risvegliare i fantasmi di un tempo; non avrebbe voluto mai, avrebbe desiderato continuare a vivere così per l’eternità, di nuovo bambina insieme a Michelle.
Ma non era possibile.

Fu Michelle ad iniziare il discorso.
“Com‘è successo?”, le chiese, senza altre spiegazioni, ed il suo sguardo era freddo come un vento del nord che spazzi le pianure.
“Non si sa con certezza. Camminava per la strada. Forse…”
“La verità, Genève”, riprese implacabile l’altra.
Genève deglutì a forza, abbassò il capo e riprese con voce spezzata; “È successo tutto in un attimo. Un colpo solo, alla testa. Io ero a fianco a lei. Mi sono voltata e non c’era più. L’ho cercata, Michelle, mi credi? La stavo cercando quando ho inciampato nel suo corpo e c’era sangue ovunque, mio Dio, quanto sangue…” Qualcosa di lucente bagnò il tavolo innanzi a lei. Genève stava piangendo. Michelle rimase impassibile; “Anne era lì, respirava ancora. Io ho cercato di aiutarla, ho cercato!”; la ragazza si fermò per controllare il tremito che la scuoteva; “Mi sono chinata su di lei, era immobile ma respirava… L’ho chiamata per nome, mio Dio l’ho chiamata… Poi più niente”.
Genève iniziò a piangere sommessamente, poi sempre più forte, e la nebbia di cenere che da quel giorno l’aveva avvolta sembrò tornare. Ma ad un certo punto sentì la presenza di Michelle vicino a lei. La giovane corvina le prese una mano, e da quel tocco parve affiorare una fiammata di luce; “Eri con lei”, le disse; “lo sei stata fino all’ultimo.”
Genève sentì un nodo nel cuore d’improvviso sciogliersi, e gridò con quanto fiato aveva: “Ero con lei, e non ho fatto niente. Niente!” abbracciando l’amica di slancio e nascondendo il viso ed i singhiozzi nelle sue vesti nere. Anche Michelle l’abbracciò, e ripeté, lontana: “Eri con lei…”; Genève assentì in silenzio, mentre i singhiozzi le scuotevano il corpo; quindi Michelle ripeté ancora; “Eri con lei. Lo sei stata fino all’ultimo.”, quindi, dopo una pausa, in cui soltanto il pianto di Genève screziava il chiarore del sole, aggiunse piano: “Grazie.”, e Genève comprese che tutte le sue colpe, tutto quello di cui credeva di dovere un giorno rendere conto, le veniva improvvisamente perdonato, come una benedizione nata dal cielo. Ed allora strinse forte il corpo snello di Michelle, e liberò tutte le sue lacrime in un pianto dirotto; ma ora era il pianto della liberazione e del perdono, ed ogni lacrima che riversava in grembo all’amica le restituiva qualcosa di sé, qualcosa che credeva di aver perduto per sempre e che invece era rimasto nascosto sino a quel momento in un angolo buio, mentre ora la luce inondava sempre più forte la stanza, con i suoi bagliori d’oro e d’innocenza, cantando nel vento del mare, sottile, chiara…

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