Inseguendo Zagara

di

Dario Paolo D’Antoni


Dario Paolo D’Antoni - Inseguendo Zagara
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 64 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-9207

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In copertina: «Zagara» acquarello di Gemma Formaglio


PREFAZIONE

di Alessandro Di Pauli
filosofo e drammaturgo

Non avevo letto ancora nulla di Julio Cortázar, anzi non lo conoscevo affatto. Avevo 22 anni e sbirciavo, con la calma di chi non ha in tasca abbastanza soldi per comprarsi un libro, gli infiniti titoli della Libreria Central di Barcelona.
Ricordo ancora un dorsetto nero con il titolo bianco, scritto con un font che pareva strillare: “La vuelta del dìa en 80 mundos”. Ammirazione e invidia: immediate. Probabilmente uno dei titoli più belli per uno dei libri più incomprensibili che abbia mai letto fino ad oggi.
Mi è venuto in mente questo aneddoto perché nel momento in cui sto scrivendo l’introduzione a questa raccolta di poesie, c’è ancora un certo grado d’incertezza riguardo al titolo.
Le opzioni che l’autore sta valutando sono fondamentalmente quattro. Tutte molto valide ed evocative. Ma non parlerò di nessuna di esse. Parlerò invece di quest’altro titolo, che non è certamente tra i candidati, ma che per me racchiude la sensazione dominante che ho avuto leggendo le poesie di Dario Paolo D’Antoni raccolte in una pubblicazione che non s’intitolerà mai: “Il giro della poesia in 50 mondi”.

“Aeroporto, a Istanbul, caldo, gente, afa.”

Cinque versi come cinque pennellate. Le prime due creano il contesto, mentre le tre seguenti definiscono l’atmosfera dominante. In un’economia di parole a metà strada tra il linguaggio drammaturgico e l’essenziale architettura di un haiku. Non sono mai stato ad Istanbul, ma se dovessi fare scalo, tra giugno e settembre, ad Atatürk sospetto che potrei essere travolto dalle intense folate di caldo-gente-afa.

“Antica ed infinita, la Cina, avvolge il mondo, con il suo sudario, di pochi padroni, e molti schiavi.”

Il banchetto del check-in svanisce, i pallidi e sudaticci turisti che compongono con i loro completi di lino stropicciato la flaccida fila per l’imbarco si trasformano in dignitosi e dinoccolati operai in attesa di timbrare il proprio cartellino dopo un’infinita giornata di lavoro. Giornata infinita come la loro stanchezza, come la loro pazienza, come la Cina. La coda avanza lentamente. I lavoratori sono talmente stanchi che non hanno la forza di lamentarsi. O forse sono solo educati. O forse è una questione culturale. Finalmente l’ultimo operaio inserisce il suo cartellino nella macchina obliteratrice.

“Cammino silenzioso, nel bosco. Fitte chiome, rallentano il pensiero, nel buio meridiano.”

Il suono stridente della timbratrice si trasforma nel richiamo di un uccello selvatico. La selva di macchinari prende le sembianze di una fitta vegetazione, talmente densa da creare una vera e propria penombra nel sottobosco. I rami trattengono la luce del sole, sono talmente fitti che i pensieri rimangono intrappolati nella densa trama come un pallone calciato da un imprudente bambino. Camminiamo quasi fluttuando, sospesi da ogni forma di giudizio. I passi sono puro battito. Il pulsare dell’esistenza. Il ritmo dell’Essere.

“Sfumando il fumo dello scontato sigaro, mi guardava, perplesso, il filosofo ruffiano.”

In un gioco di specchi e di identità mi riconosco come comparsa, come elemento del paesaggio in questo poetico peregrinare. È la poesia che si muove per il globo, e noi siamo gli spettatori. È la poesia, come una forza vitale che visita e poi abbandona, vivifica e poi svuota, i luoghi e i popoli che quotidianamente interpretano la loro farsa o tragedia. È la poesia che ha già realizzato l’imbarco per il prossimo volo, che ha già disfatto le valigie ed è uscita dalla camera d’albergo e che da poco ha lasciato le sue orme sulla battigia.

“Nell’orizzonte del mare, mi smarrisco, nell’orizzonte del mare, io rinasco.”

Questa lettura è un “giro della poesia in 50 mondi”. Tutto quello che dobbiamo fare è goderci il tramonto. Far tacere il pensiero e lasciar parlare l’incedere delle onde. Camminare, un verso dopo l’altro. Senza mai fermarci. Non so che titolo avrà questa silloge. Vi auguro comunque un buon viaggio!


Inseguendo Zagara


ACQUA
(mi sono perso all’orizzonte del mare)

Nell’orizzonte del mare
mi smarrisco
nell’orizzonte del mare
io rinasco.
L’onda conserva l’infinito della storia
nel perpetuo del suo movimento.
Cielo basso
nel vano desiderio d’unione
concede il sacrificio di una goccia, che
effimera si fonde ancora
e di nuovo
nell’infinito dell’acqua.
Mare che assorbe il rumore
e che rilascia l’ardore.
È all’orizzonte del mare
che mi sono perso
è all’orizzonte del mare
che sono rinato.


ARIA
(natura di attimi)

Io sono nel vento.
Nella sua origine remota ed indefinita
nel suo viaggio d’incertezza senza spazio e senza tempo.
Vento che non nasce
ma cresce senza un destino.
Natura di attimi o di eternità,
vento che irrompe discontinuo
o che accarezza,
che allontana e che avvicina.
Vento che soffia repentino
nel suo volo senza la ragione
di un’esistenza che, improvvisa, è privata di origine e di destinazione.
Ospite eternamente disponibile.
Vento che cammina in una parentesi
o in un’eternità.
Temperamento di un vortice, di un’onda
che cresce o si spezza, che spera senza perché.
Io, vivo nel vento.


ATTESA

Aeroporto
a Istanbul
caldo
gente
afa.
C’è poca aria
in aeroporto
a Istanbul.
Passeggeri colorati
pavimenti grigi
equipaggi blu
come le valigie
che aspettano.


ATTESA E PRESENTE

Freme l’attesa,
l’impazienza si nasconde nella quotidiana routine.
Ricordi e speranze si mescolano
indefiniti e implacabili.
Il presente inibisce il pensiero del futuro
indefinito.
Quando succederà
sarà di nuovo presente
ancora e implacabile.
Il futuro?


AUTUNNO

Con le foglie che crepitano
parlo in silenzio
osando sul loro tappeto d’autunno
pervaso dai profumati colori
di questa stagione
sospesa tra le altre.
Fusti d’alberi
respirano placidi
in paziente riposo
e nell’attesa di rinascere
guardano senza gelosia
ciò che hanno custodito.


BACANAL

Di settuagesima la domenica
chiama a inizio la gran festa
su le maschere
e che la parata prenda corsa.
Guarda là:
c’è Dionisio, c’è Saturno
oibò, chi vedo, pure Iside,
non più obblighi né gerarchie
solo scherzo e dissolutezza.
Ma chi è quel Mamurio
quel caprone in processione?
In nave Luna e Sole se ne vanno a Babilonia
venga pure il caos ma poscia l’ordine.
Un istante eterno
e poi morale capovolta
ah, che purificazione necessaria!
Guarda un po’: lo schiavo è padrone e il padrone indi lo serve,
però bruciare il re c’ha viaggiato sui trionfi
che umiliazione
che licenza irriverente,
qui si torna a quel tempo di confusione
di porte aperte tra Arlecchini e gran dottori.
Guarda là:
c’è pure Matazone, gran giullare,
com’è bella questa festa che ti mostra come sei.
Forza dunque un ultimo banchetto
carnem levare
poi ceneri e astinenza.
Oilà, gran caprone, allora, ci si vede.


CHADOR

Sono nel nero
protetta e nascosta
schiava e libera
pochi centimetri
per osservare
e subire
giudizi e pregiudizi
gabbia maledetta
impenetrabile confine
tra profanazione e fanatismo
forse tradizione.
Voglio fuggire
dal mio nero mondo
ma la libertà dei colori
mi fa paura.


CIREBON EXPRESS

Il tempo passa
come il treno che va
tra generazioni
di contadini di Cirebon
tra aratri arcaici
fonte di sopravvivenza.
Va sospinto
da sparuti contadini colorati
immersi nella fertile palude.
Cappello di paglia
che non ripara
dalla fatica millenaria.


CONCIATORE DI MARRAKESH

Che coraggio c’hanno
i mal conciati conciatori
sotto il cielo celeste
della concia di Marrakesh.
Uomini, mezzi uomini
che conciano le sconce pelli
nella conceria che lì c’è.
Certo un concerto ancestrale
di bronci concisi
di gesti precisi.
In ciabatte marciano
col cesto marcio
pesto di cento colori
di puzze e di odori.
Cessa il casto contrasto
dei colori dei cenci
gettati nei cesti
e pestati coi denti.
Certo non mento
per cento soldi
odoro ma son contento.


DANZO NELL’EFFIMERO

Danzo
nello spazio del mio tempo,
nell’effimera dimensione
disegnata dai miei piedi.
Io danzo
cercando l’equilibrio di un momento,
osservando il mio volo senza fine.
Io danzo
inseguendo la mia musica
come un’ispirazione infinita
che mi guida e che mi eleva.
Danzo
sopra di me,
respirando l’energia che cerco,
all’orizzonte del mondo,
danzando dentro di me.


[continua]

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