Oltre l'orizzonte - Racconti tra sogno e realtà

di

Daniela Ori


Daniela Ori - Oltre l'orizzonte - Racconti tra sogno e realtà
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 280 - Euro 15,00
ISBN 978-88-6037-7739

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In copertina: «Sfida», cm 70 × 80, olio su tela, 2007 opera di Maurizio Delvecchio foto di Daniela Ori


Il libro contiene opere di: Daniela OriGabriele SorrentinoManuela Fiorini


RINGRAZIAMENTI

Ringrazio Dio per il dono della scrittura e ringrazio me stessa per il coraggio, che mi consente di sognare e di progettare la realizzazione dei miei sogni. Grazie ai miei genitori e a tutte le persone che ho incontrato nel viaggio della vita fino a questo tempo, perché tutti mi hanno fatto comprendere che la vita è un’altalena di luci e oscurità, di gioia e dolore, che è entusiasmante raccontare e descrivere comunque. Un pensiero speciale a Carlo Alberto, a cui dedico con affetto infinito questo libro. Grazie agli amici Gabriele e Manuela, che hanno condiviso con me questo ultimo delirio creativo. Un ringraziamento sincero all’amico pittore Maurizio Delvecchio, che dona colori alle idee dell’anima. In particolare la mia gratitudine va a mia cugina Claudia Ori, sostenitrice di questo nuovo evento letterario. Un pensiero d’affetto e di riconoscimento a Marco Grulli, creatore del mio sito web e a tutti gli amici di Linking Informatica per il loro prezioso e costante aiuto. Ancora ringrazio Claudio e Luca Migliori, scopritori dell’ara della matrona romana di Mutina, che ha ispirato il mio racconto “Vetilia, un nome scolpito nella storia”; la loro sponsorizzazione valorizza un evento e un successo lavorativo, rendendo onore alla letteratura e alla storia.

Daniela Ori


Prefazione

La presente raccolta degli autori Daniela Ori, Gabriele Sorrentino e Manuela Fiorini, raccoglie alcuni racconti eterogenei che spaziano da atmosfere prettamente legate al genere noir, alla rivisitazione dalle classiche caratteristiche horror, all’ambientazione di narrazioni che nascono e si plasmano su vicende storiche, alle visioni oniriche fino alla fantascienza che riportano ad una continua espansione d’una creatività proteiforme.
Il filo conduttore sotterraneo è quel muoversi sulla linea di confine tra il mondo reale e materiale ed una propensione alle molteplici possibilità di visioni irreali, fantastiche e misteriose, in una costante ripresa del sovra umano.
Un autentico viaggio di scoperta nelle dimensioni dell’animo umano che porta con sé le contraddizioni, i dissidi interiori, le inquietudini e le sue fragilità: una percezione più sottile di ciò che viene visto con gli occhi e sentito nel profondo dell’animo, nelle variazioni dell’esistenza oltre la concezione comune.
Gli interrogativi sono numerosi, le domande altrettanto e le risposte non sempre sono avvertibili in prima battuta ma occorre scandagliare, fino in fondo, le più labili mutazioni, i più semplici segni che contraddistinguono la conoscenza ortodossa.
Tale processo di superamento dei limiti conoscitivi viene portato avanti e viene alimentato di continuo allo scopo di rappresentare le antinomie del mondo, le difficili condizioni della limitante finitudine dell’Uomo che conosce i suoi limiti ma non si capacita di rimanere incatenato ad essi.
Tutto il mare magnum delle possibili evidenze, riscontrabile nelle vicende narrative, viene racchiuso all’interno dei racconti che, in varie forme, esplicano la loro forza e deflagrano con la loro energia propulsiva in avvincenti storie che compongono tale raccolta.
Ecco allora che nei racconti luminosi ed ammalianti di Daniela Ori, vengono in superficie, quasi estrapolati dall’immaterialità, la figura d’un uomo che è convinto esista una porta segreta che conduce ad una dimensione ignota, proprio lui che è nato lo stesso giorno in cui si sentì un urlo straziante nel castello di San Leo, il castello di Cagliostro ed ora, in quello stesso giorno, torna alla ricerca della porta segreta quasi perdendosi in una dimensione irreale ed evanescente. Poi storie di fantasmi e arcane presenze in castelli e una lettera nascosta in un affresco, segnali onirici e segni che riportano a luoghi pervasi di mistero.
In un altro racconto, emerge la figura di Egloge Vetilia, una donna giunta come schiava a Roma e poi liberata da Lucio Valerio, un decurione di Mutina, che si era innamorato di lei e aveva fatto ogni cosa per poterla sposare: proprio per questo motivo, lei aveva voluto erigere un’ara grandiosa che ricordasse per sempre il suo amore per il marito ed il figlio ed ora quell’opera monumentale era venuta alla luce come a voler rappresentare il simbolo dell’amore eterno che risorge sempre dalla polvere del tempo. E ancora, la figura d’una donna con una forte sensibilità, che scrive poesie per esprimere se stessa, per liberarsi dalle costrizioni quotidiane, che non è compresa dall’uomo che è al suo fianco ma un magico incontro con un’altra donna “magica” cambierà ogni prospettiva.
Nei racconti di Gabriele Sorrentino, allo stesso modo, vengono recuperate le risorse inesauribili del mistero grazie ad una profonda capacità di costruzione narrativa ed emergono così le leggende della Baia del Mattatoio, ricordi di epoche lontane con le reminiscenze di spettri della Torre del Mattatoio “che si nutrivano di anime umane”, riti satanici ed ancestrali, incubi da lenire o ancora, in un altro racconto, uno strano negozio aperto “dal tramonto all’alba” che vende curiosità e regali ed una splendida donna imprigionata in una sorta di maleficio che la rende così bella solo per un giorno all’anno, il giorno del suo compleanno mentre per il resto dei giorni è ormai una donna molto vecchia: una ninfa proveniente dal gineceo dove dimoravano le Naiadi capace di far perdere la cognizione del tempo e dello spazio.
E poi ancora, nei racconti di Manuela Fiorini, la sensibilità femminile diventa profondamente ricettiva come nella vicenda di due ragazzi Max e Luna che diventano viaggiatori fantastici con una irreale agenzia Dreams Tour grazie alla loro fantasia e alla loro capacità di inventare storie fantasiose: lei scriverà le storie e lui le illustrerà. E poi con il racconto, decisamente interessante, de “Il Guardiano della Cattedrale” con la protagonista Micol, una restauratrice appassionata al suo lavoro, che durante il restauro del Duomo di Modena, scopre l’esistenza di un “angelo” che sembra emanare una forza propria, un’energia misteriosa seppure con una espressione di estrema sofferenza L’Angelo come simbolico guardiano dal volto straziato che sembra chiedere aiuto e chiamarla come già era successo ad un frate che aveva sentito la stessa voce dell’angelo prima di lei. Proprio come le antiche leggende che affermavano che ad ogni cattedrale veniva assegnato un custode quasi a riportare in vita la magia dell’antico Egitto che consisteva nell’incanalare le energie della natura ad esseri soprannaturali e ancora centauri e messaggeri degli dei, riferimenti mitologici, incubi notturni, alchimie letterarie e rivisitazioni di ancestrali leggende.
Nei racconti di questa seducente raccolta si possono ritrovare le numerose fascinazioni ed alchimie che accompagnano l’essere umano da sempre: nulla è così vicino alla verità come quando viene nascosto nel suo significato più recondito, nulla è così chiaro come quando abbandoniamo le gabbie mentali e lasciamo che il nostro istinto ci guidi nei meandri dell’avventura umana.
Il distacco dalla realtà e la conseguente prospettiva dell’infinito che fa percepire la solitudine, conducono all’abbandono della propria esistenza per elevarla ad un’avventura ultraterrena.
Nel tuffo indistinto che accompagna in una dimensione irreale forse possiamo ritrovare più concretezza di quanto pensiamo: un abisso artificioso, un’entità indistinta, una porta segreta per un mondo parallelo, un ritorno di figure mitologiche, il continuo esplicarsi di eventi che hanno parvenza magica, l’inevitabile dissolversi di pseudo certezze della nostra mente, le visioni che diventano incantesimi da “vivere” e la dilatazione di ancestrali paure mai sopite, mai dimenticate.

Massimo Barile


Presentazione degli autori

L’orizzonte è un luogo lontano, magico, fantastico, che nessuno può mai raggiungere, perché muta ogni volta che si cambia il punto di osservazione. Descrivere cosa c’è “Oltre l’orizzonte” è come un viaggio verso l’illusione di raggiungere qualcosa di inafferrabile, che è consentito solo alla narrativa. Ciò che non si coglie nella realtà, lo si vive con la fantasia. E così si scoprono dimensioni del vivere e dell’animo umano, che sono precluse ad una visione tradizionale delle cose. È questo il cammino che abbiamo cercato di percorrere con queste nostre storie.
Questo libro raccoglie racconti differenti tra loro. Alcuni hanno tratti squisitamente noir, altri sono a sfondo storico, qualcuno si può genericamente definire horror, qualcun altro si fonda sull’arguzia e l’ironia; un altro, infine, può tranquillamente vestire la casacca della fantascienza. Che cosa, dunque, li accomuna? Tutti i racconti si muovono sul labile confine tra la dimensione reale e quella soprannaturale; dimensioni che, in un continuo gioco di specchi, si guardano, si fondono e si confondono. Queste distorsioni della realtà sono l’artificio narrativo, che ci ha permesso di affrontare temi diversissimi come l’amore, il diverso, il delirio di onnipotenza della scienza, il coraggio. Sono, insomma, la maschera dietro la quale abbiamo tentato di rappresentare il mondo, come noi lo percepiamo.
Siamo partiti da esperienze umane e professionali assai diverse, uniti dalla passione di scrivere, non solo per noi stessi, ma anche per condividere il nostro mondo interiore, fatto di sogni, speranze, fantasie, creatività ed amicizia.
Questa passione per la scrittura ci prende e ci avvolge, come un velo leggero, trasparente e impalpabile ma, al tempo stesso, resistente. Attraverso la magia della penna, esso ci conduce in una dimensione senza tempo, dove il tempo non lo sentiamo più, perché la frenesia di scrivere ci coinvolge e ci avvolge, fino a che liberiamo quelle parole, quelle frasi, quelle storie che, fino a poco prima, erano solo un’intuizione.
È proprio allora che gli orizzonti si superano, i sogni si colorano di sfumature sempre più intense e le parole incarnano voci segrete e speranze.
Il risultato è questo libro. Pagine scritte con passione da chi desidera confrontarsi col mondo che lo circonda. Pagine dove la vita reale si intreccia con il ricordo ancestrale dei miti e dove le immagini dei personaggi della storia escono dalle pagine dei volumi letti e sfogliati, o dai dipinti ammirati, per sussurrarci segreti e confidenze. E, a fare da sfondo, sul quale si muovono i personaggi, immaginati, eppure reali, la nostra città, Modena, ma non solo, che diventa un teatro senza più contorni o confini, uno spazio aperto alla mente e che, a sua volta, conduce il lettore nella dimensione della fantasia e del sogno.
Anche nella scelta del dipinto, che abbiamo voluto nell’immagine di copertina, è racchiuso il segreto del nostro viaggio letterario. “Sfida”, opera del pittore Maurizio Delvecchio, rappresenta il dualismo della vita, il reale e l’irreale, il vero e il sogno, la quotidianità e la fantasia, in una danza che disegna il continuo desiderio di far emergere qualcosa, oltre quello che si vede, come una sfida, come nella vita.
Abbiamo sognato tanto, scrivendo queste storie. Speriamo di far sognare anche tutti coloro che vorranno leggerle.

Daniela Ori
Gabriele Sorrentino
Manuela Fiorini

Modena, marzo 2009


Oltre l'orizzonte - Racconti tra sogno e realtà


A Carlo Alberto Pederzoli


Noi siamo le voci dei venti erranti
che vanno lamentandosi in cerca di riposo e mai lo trovano.
Ascolta! Così com’è il vento, così è la vita dei mortali:
un pianto, un sospiro, un singulto, una tempesta,
una battaglia.

The Deva’s Song, di Sir Edwin Arnold (1832-1904)


1

SOLMIRO E LA FORMULA DELL’ALCHIMISTA

di Daniela Ori

“Ti ho cercata per tutto il giorno, si può sapere dove ti eri nascosta?”. Domandò Francesco, con fare inquisitorio. Era raro che Stefania si assentasse dall’ufficio così, all’improvviso, senza dirgli nulla. Gli aveva lasciato una bella gatta da pelare, una pratica spinosa che, decisamente, lui avrebbe evitato volentieri di doversi sobbarcare. Inserì una moneta nella macchinetta del caffè e ordinò due espressi. Il primo lo diede a Stefania, guardandola in tralice.
“Perdonami”. Disse lei, abbassando il capo come per scusarsi, ma trattenendo a stento una risata.
“Perché, diavolo, stai ridendo?”. Si stizzì lui, ingurgitando d’un fiato il suo caffè fumante.
“Ho scoperto dove va Solmiro, quando sparisce”. Rispose lei, prendendo il bicchierino di plastica e mescolando il caffè allo zucchero, con grazia.
“Davvero?”. La rabbia si sciolse in Francesco che non poté trattenere un sogghigno. “Ha un’amante?”. Domandò speranzoso. Angela dell’Ufficio Contabile faceva la corte al bel Solmiro da anni e Francesco, con cattiveria tipicamente maschile, sperava di poter dare un bel dispiacere a quell’odiosa collega, così poco avvenente, che gli faceva sempre un sacco di storie per i rimborsi delle trasferte.
“No”. Stefania scosse la testa con decisione.
“Di cosa state parlando?”. Claudio dell’Ufficio Pensioni si insinuò nella conversazione, mentre ordinava una bevanda al gusto di the al limone.
“Di Arrigo Solmiro”. Rispose Francesco, osservando con disgusto il colore del liquido che scendeva, ribollendo, nel bicchierino, che nulla aveva a che vedere con un vero the.
“Del collega dell’Ufficio Controllo Qualità? Il chimico?”. Si informò Claudio.
“Proprio lui. Quel matto”. Ammise Francesco.
“Davvero è pazzo?”. Ribatté Claudio, con gli occhi sbarrati dalla curiosità.
“Così dicono, ma non è vero”. Affermò Stefania, gettando il bicchierino vuoto nel cestino.
“Secondo me è un pazzo”. Rispose Francesco, con ostinazione.
“Allora è matto, o no?”. Claudio stava per perdere la pazienza, in mezzo a questa disputa sulla follia, o meno, del collega.
“Secondo me no, o forse sì”. Disse Stefania, con aria malandrina. “L’ho visto a teatro una sera. Proprio un mese fa. Era travestito da attore, alto, sguardo altero, piglio asburgico”. Stefania si erse tutta, imitando la figura descritta, con una smorfia della bocca.
“Piglio as … che?”. Domandò Francesco perplesso. Quella ragazza era proprio strana con le sue descrizioni.
“Ma sì … hai presente gli attori dei film storici, sì, piglio asburgico … uno che ha l’aspetto … un po’ prussiano, un po’ austriaco, come quei personaggi che vedi nei musei, da Milano in su però”.
“E allora? Che faceva?”. Domandò ancora Francesco.
“Era se stesso”. Chiarì Stefania.
“Sarebbe a dire?”. Si informò Claudio, inserendo ancora la chiavetta nella macchina del caffè, per prendere una bottiglietta di acqua minerale.
“Recitava!”. Rispose Stefania, salendo su una sedia, come a simulare un attore sul palcoscenico.
“Ma se recitava … fingeva … cioè … impersonava qualcuno”. Sentenziò Claudio.
“Giusto”. Rincarò la dose Francesco.
“Eh no, è qui che vi sbagliate. Noi tutti siamo attori in quel grande teatro che è la vita, magari davanti alla gente indossiamo una maschera, ma poi ci sono momenti in cui la togliamo e ne indossiamo un’altra. Per questo, Solmiro, ogni tanto, prende le ferie e sparisce all’improvviso”.
Le assenze del chimico erano sempre state fonti irrefrenabili di illazioni, tra i colleghi della Novatronons, un’azienda dell’area emiliano-romagnola, all’avanguardia nella verifica e nel controllo della qualità dei prodotti dell’industria alimentare.
“Certo. È ovvio che ha un’amante”. Affermò Claudio, alzando la testa convinto.
“E invece no. Ieri l’ho seguito e ho scoperto che non è questo il motivo delle sue fughe”.
“Non ci posso credere. Lo hai seguito”. Rise Claudio, divertito.
“Sì. Avevo scommesso una cena con Lidia della Segreteria che non aveva un’amante. Ho vinto e nella mia fotocamera ho le prove!”.
“Raccontaci!”. Dissero in coro Francesco e Claudio, fremendo dalla voglia di conoscere i dettagli.
“Questa volta aveva presentato la sua richiesta di ferie, una settimana fa, puntuale come un orologio”. Stefania, alla Novatronons, si occupava della gestione del personale, quindi sapeva tutto di ferie, malattie, permessi, assenze dei dipendenti dell’azienda.
“Allora ho chiesto le ferie anch’io e sono andata ad attenderlo, nei pressi di casa sua. Solmiro conosce la mia auto, così ho preso in prestito quella di mio fratello. Ho indossato un giubbotto verde, decisamente orrendo, e un berretto scuro con la visiera, per nascondere i capelli. Non mi ha scoperta e non ha sospettato nulla”.
“Dove è andato?”.
“Ha imboccato l’A1 a Modena Sud, poi l’A14. E io, mimetizzata, sempre dietro. All’altezza di Imola, lo stavo perdendo. Un TIR si era messo in mezzo e ho rischiato di non accorgermi che si stava fermando a fare benzina. Per fortuna, ha quell’Alfa rossa così datata e ammaccata che … non passa inosservata di certo!”.
“Poi cosa hai fatto?”.
“Mi sono fermata anch’io, a debita distanza, quindi ho ripreso a seguirlo. Siamo usciti a Rimini nord. Sulla Provinciale Marecchia ho rischiato di perderlo spesso, guidano come pazzi da quelle parti, ma la sorte mi è stata favorevole. Siamo arrivati a San Leo, proprio sotto al castello”.
“San Leo?”. Domandò Claudio, aggrottando la fronte.
“Al castello di San Leo”. Sospirò Francesco. “A fare che?”.
“Ma tu la conosci la storia di quella fortezza … hai idea di cosa sia mai successo là dentro?”. Disse Claudio, fissandolo dritto negli occhi.
Nascondendo l’imbarazzo, Francesco balbettò una risposta: “No, non ne ho idea … non ci sono mai stato”.
“Ah! Devi andarci!”. Lo esortò Claudio. “La fortezza si erge sopra un lastrone di roccia che sembra un’onda di pietra. Ha il piglio della nobildonna altezzosa, dominando la valle con le sue torri tonde e le mura potenti. Le sue antiche pietre sono state abitate sin dai tempi più remoti, dai Romani e anche prima di loro”.
“Hai ragione”. Confermò Stefania. “I secoli hanno visto passare le storie di migliaia di uomini e donne e, in particolare, di uno di questi: l’alchimista”.
“E chi è questo alchimista?”. Domandò Francesco, in un filo di voce.
“Giuseppe Balsamo, il Conte di Cagliostro! Come fai a non conoscerlo?! Fu massone e alchimista, fondò un ordine massonico – religioso, pensa che cercò anche di farlo riconoscere dal Papa!”. Intervenne Claudio che aveva conosciuto la storia di Cagliostro, quando aveva accompagnato il figlio alla gita scolastica proprio a San Leo e nella valle della Marecchia e aveva ascoltato bene la narrazione della guida turistica.
“E cosa predicava?”. Anche Francesco sembrava appassionarsi a questa storia.
“Un miscuglio di alchimia e massoneria. Cercava le solite cose, la pietra filosofale, il modo di tramutare il metallo in oro…”. Ribatté Stefania che, da sempre, nutriva un curioso interesse per l’esoterismo, la magia, la stregoneria…
“È vero, l’ho visto anch’io a Voyager, in TV, nel servizio di quel giornalista famoso … giusto un mese fa … mi sembrava tutta una montatura…”. Ammise Francesco, splancando gli occhi per accentuare una smorfia.
“Si dice che Cagliostro fosse soprattutto alla ricerca della … Parola Segreta. Pare fosse una parola in grado di aprire una … porta…”. Aggiunse Claudio, tenendo una mano sul mento e camminando in cerchio per la stanza, con fare misterioso.
“Tutto questo cosa c’entra con Solmiro?”. Sbottò Francesco, avvilito.
Stefania gli si avvicinò con fare da cospiratrice. “Anch’io me lo sono domandata. L’ho seguito sin dentro al castello, poi… l’ho perso”.
“Come è successo?”. Domandò Francesco, sfinito, lasciandosi cadere su una sedia.
“Nel cortile interno, ad un tratto, mi ha avvicinata un’anziana turista inglese, per domandarmi un’informazione. Quando me ne sono liberata, Solmiro era sparito”.
“E tu cosa hai fatto?”. La incalzò Claudio.
“Ho cominciato a correre per le stanze del castello, finché non ho rinunciato. Allora sono uscita piuttosto demoralizzata e… solo allora, ad un tratto, l’ho rivisto. Stava risalendo in auto, perfettamente a suo agio, ma aveva qualche cosa di … diverso”.
“Come??”. Domandò ancora Francesco, in preda ad un attacco di insofferenza.
“Non so. Era più una sensazione, che una certezza. Poi, avvicinandomi bene, ho visto che i suoi occhi sembravano più affossati, gli zigomi più pronunciati, il naso più affilato. Sembrava che ogni aspetto della sua persona fosse più definito, più netto, più completo…”.
“E lui ti ha vista?”. Le sussurrò all’orecchio Claudio, quasi vergognandosi.
“Certo. Mi ha sorriso, mi ha rivolto un saluto e poi mi ha fatto cenno di salire sulla sua auto”.
“E tu?”.
“Un po’ titubante, ho accettato l’invito. Quando me lo sono trovata vicina, ho avvertito una sensazione inquietante… mi è sembrato che il suo sguardo avesse una luce e una profondità che non avevo mai notato. Qualcosa di simile allo sguardo che aveva a teatro quella sera in cui lo vidi recitare, sì come quello, o… forse no… era uno sguardo più intenso, sì… molto più marcato. Non so proprio come spiegarmi meglio”.
“Allora? Cosa ti ha detto?”. La incalzò Claudio, prendendole le mani.
“Mi ha chiesto se lo avessi seguito. Io mi sentivo davvero imbarazzata e anche un po’ spaventata. Però gli dissi la verità. A quel punto non potevo farci nulla. Gli raccontai che tutti, in azienda, morivamo dalla curiosità di capire perché lui, ogni anno, sempre lo stesso giorno di settembre, il 24 per la precisione, sistematicamente spariva dall’ufficio, dalla città …”.
“E lui te lo ha raccontato?”. Francesco sembrava sempre più sconvolto.
“Sì, me lo ha rivelato”. Rispose Stefania, alzando lo sguardo al cielo.
“Scusatemi, però… ma tutto questo cosa c’entra con Cagliostro?!”. Domandò Claudio, aggrottando la fronte, come per cercare di mettere a fuoco un collegamento.
“Dovete sapere – proseguì Stefania – che il 13 aprile 1791, Giuseppe Balsamo venne imprigionato a San Leo, condannato al carcere a vita come eretico. L’11 settembre del medesimo anno venne trasferito nella peggior cella della rocca, detta Il Pozzetto. Era priva di porta e i detenuti vi venivano calati da una botola del soffitto; era una bara di pietra di dieci metri quadrati, munita di una finestrella appena più larga di una feritoia, con una triplice serie di sbarre, da cui si poteva vedere a stento un fazzoletto di cielo. Dopo quattro anni di agonia, Cagliostro morì, era il 26 agosto 1795. Dicono che il suo spettro aleggi ancora tra le mura del castello, lo si sente quasi gridare, dicono che si oda un lamento leggero, lo si avverte distintamente una sola volta all’anno, la notte del 24 settembre…”.
“Ma che successe quella notte?”. Francesco cominciava a sentirsi a disagio. Il viso allungato di Solmiro, il naso adunco, lo sguardo penetrante, gli turbinavano nella mente e il suo aspetto non era di certo rassicurante.
“Secondo una leggenda, Cagliostro, mentre agonizzava nel Pozzetto, ormai in preda alla pazzia, scoprì la Parola Segreta, la formula per aprire la Porta del Mondo Arcano. La rivelazione venne a lui durante il delirio, mentre la follia lo consumava e la sua mente nuda era esposta al nulla della sua solitudine, senza difese. Undici mesi dopo sarebbe morto…”.
“Cosa scoprì?”. Esclamò Francesco, non riuscendo più a trattenere l’ansia.
Stefania si portò le mani sugli occhi, come per concentrarsi e il pensiero dei ricordi prese voce. “Solmiro mi ha raccontato che tutti, dopo la morte di Cagliostro, cercarono tanto, setacciando gli archivi, studiando indizi e intervistando tutti… Nulla, non è stato trovato nulla. Io, però, credo…”.
“Cosa credi?”. Domandò Claudio, sollecitandola.
“Solmiro è convinto che ci sia una porta che conduce in una dimensione ignota a molti e ha quasi parsuaso anche me. Chi non comprende – così mi ha raccontato – la chiama follia, ma non è così, bisogna crederci. Come quando sogni… ti sembra tutto vero, ma è un sogno. E invece magari è vero, sei stato nella dimensione del sogno, ti sembra irreale, ma è più vero di quanto tu possa immaginare. C’è una strada alternativa, una strada ignota, sconosciuta, un percorso ciclico che unisce tutti gli elementi dell’esistenza, come un grande serpente che si morde la coda”.
“Ouroboros!”. Esclamò Francesco trionfante.
“È proprio il nome che mi ha detto Solmiro”. Confermò Stefania. “Tu sai cosa significhi questo termine?”.
“Sì, sì, lo so. Con questo simbolo, l’immaginario pagano volle rappresentare il perpetuo moto del mondo, l’unità del Tutto che si dispiega nella molteplicità delle trasformazioni cicliche, per tornare poi sempre in se stessa. L’ho letto su un libro”. Precisò Francesco, con l’espressione di chi la sa lunga. Finalmente aveva detto una cosa che gli altri ignoravano.
“Sono pressappoco le parole che ha usato lui. Solmiro mi ha confidato di avere scoperto la porta che conduce all’Ouroboros, ma non ha saputo, o voluto, spiegarmi come. Mi ha solo rivelato che la stava cercando da anni, da quando uno strano vecchio gli aveva raccontato la storia. Un uomo anziano – mi ha detto – che non ha più rivisto e che aveva qualche cosa di strano. Insomma un uomo che aveva sembianze che neppure parevano umane…”. Stefania sospirò, poi proseguì la narrazione. “Da alcune mezze parole, mi sono fatta l’idea che Solmiro abbia vissuto tutto questo come in un sogno, che sia entrato dentro il sogno, o… forse, in lui, è emerso il ricordo di un’esperienza vissuta in un’altra vita…”.
“Un’altra vita? Come è possibile?”. Rispose Claudio scettico.
“Sogno e realtà, una danza perenne, come salire su una bilancia, che pende una volta di qua, un’altra di là. Il ciclo delle stagioni, il giorno che viene dopo la notte, il sole che sorge quando la luna va a riposare, l’autunno che arriva dopo l’estate. E i giorni che si susseguono, uno dopo l’altro”.
“Tu pensi che lui sia… Cagliostro!”. Si scandalizzò Francesco.
“Forse non proprio Cagliostro, ma qualcuno, la cui essenza è venuta a contatto con quella del conte Balsamo, mentre entrambi ricercavano l’Ouroboros. Solmiro è un attore e bravo anche! Gli attori recitano sul palco, mettendosi maschere che, però, permettono loro di togliersi quella finta, che la società impone. In più Solmiro è un chimico, un “alchimista”, come Cagliostro… e so che ha studiato ad Urbino, vicino a San Leo. Proprio mentre era ad Urbino, infatti, ha incontrato il vecchio. Almeno così mi ha raccontato”. Puntualizzò Stefania, sempre con quella fastidiosa aria da docente in cattedra.
“Mi sembra tutto molto assurdo”. Borbottò Claudio.
Una volta tornata da San Leo, Stefania era andata subito in biblioteca, assieme ad un amico studioso di Storia, con lo scopo preciso di scartabellare libri e monografie sulla vita del grande Alchimista e per cercare di capirne di più…
“Pensate che, dalle carte e dai documenti, rinvenuti dagli storici, è emerso che la notte del 24 settembre del 1795 un urlo disumano inondò gli spazi del castello e il boato venne udito per tutto il territorio di San Leo. Come se quella notte, a circa un mese di distanza dalla morte dell’alchimista, lui stesso fosse tornato al castello, da chissà quale… porta… E ancora oggi, ogni 24 settembre, qualcuno fa sentire la sua presenza nella notte. Come se, ogni anno, in quella data, qualcuno, o qualcosa di misterioso, si materializzasse, nel buio del silenzio, tra le mura del castello, da sempre, per sempre… Come a dimostrare che il tempo non esiste e gli spazi si accorciano e si dilatano, senza confini”.
“Ogni 24 settembre, quindi, Solmiro parte alla ricerca di quella porta. Allora è proprio pazzo!”. Sentenziò Francesco.
“E tu, Stefania, lo sei ancora di più, perché gli credi”. Confermò Claudio.
“A proposito, sapevate che Solmiro è nato il 24 settembre?”. Domandò lei, fingendo un’aria da innocente.
“Coincidenze”. Pontificò Claudio, volgendole le spalle come per disgusto. Non era per nulla d’accordo con quelle fantasie di reincarnazioni, sogni, dimensioni irreali, contatti tra i mondi e altre fesserie… alle quali, invece, la collega Stefania, pareva interessarsi molto…
“Non direi, guarda un po’ questa foto…”. La ragazza estrasse la fotocamera dalla borsetta e sul display mostrò un’istantanea di Solmiro che la salutava dalla sua auto rossa. Ingrandendo l’immagine, si vedeva chiaramente un alone chiaro dietro al chimico, una sorta di luminescenza che lo circondava, rendendolo sfolgorante.
“Non è un fotomontaggio”. Sentenziò lei. “Se volete, vi mando la foto e potete accertarvene anche voi”.
“Cosa vorresti dire?”. Le domandò Francesco, incapace di ogni ulteriore commento.
“Solmiro ha trovato la porta e mi si è mostrato per salutarci tutti. Non è rientrato da San Leo con me. Quando sono scesa dalla sua auto e ho scattato questa foto, ho sentito come un grande freddo avvolgermi. Dentro l’auto mi sentivo bene, a mio agio, in pace con me stessa. Appena fuori, però, ho improvvisamente avvertito un senso di sofferenza, anche se non ne capivo il perché. Poi mi sono voltata per salutarlo, ma non c’erano più né lui, né l’auto. Spariti”.
“Pensi che… abbia scoperto la porta segreta di Cagliostro, quindi”.
“Certo, Francesco! Credo che Solmiro abbia trovato la famosa porta e che, avendo capito che lo avevo seguito, mi abbia voluto affidare il suo saluto. Oggi, infatti, non è in ufficio e non credo che ci sarà domani. Non credo tornerà. Ma non dimenticherò mai più il suo volto. Sembrava completo, perfetto, felice”.
“Sarebbe bello che tornasse con la formula della felicità, che da millenni ogni alchimista cerca”. Sospirò Francesco, con lo sguardo rivolto oltre la finestra.
“Quella che annulla le sofferenze e fa vedere le cose come stanno, senza distinzioni di ruoli, al di là delle epoche, oltre gli spazi e i secoli”. Annuì Claudio.
“Ma… c’è una formula?”. Domandò Francesco perplesso.
“Certo, ma se Solmiro ne viene a conoscenza, non la diffonde di sicuro… Altrimenti tutti diventano felici e… pazzi come lui”. Con questa frase, Stefania salutò i colleghi, si infilò il suo elegante soprabito chiaro, sistemandosi i bellissimi capelli castani con le mani. Poi indossò gli occhiali da sole e uscì dall’ufficio, con un passo veloce, ma armonioso.
Claudio e Francesco notarono in lei uno sguardo nuovo, insolito. I due uomini si guardarono negli occhi e il medesimo pensiero attraversò, nello stesso istante, le loro menti.
Stefania non sembrava più la stessa, la ragazza appariva cambiata: quella strana esperienza l’aveva mutata, in modo evidente! Sembrava felice, o forse… era diventata… pazza pure lei.
“Possibile che abbia avuto la fortuna di conoscere la formula?” Pensò a voce alta Francesco.
“Impossibile, ci avrebbe detto qualcosa…”. Gli rispose Claudio, canzonandolo.
Francesco uscì, a sua volta, dall’ufficio, sempre meno convinto e con lo sguardo dubbioso. Poi tornò sui suoi passi. “A proposito… domani non verrò al lavoro, mi prendo un giorno di ferie!”. Disse a Claudio, che lo osservava oltre il corridoio.
“Così, su due piedi… ma cosa devi fare domani?”. Gli urlò il collega.
“Ho voglia di fare una gita, me ne andrò a… San Leo!”.

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