Racconto premiato di Damiano Fina

Con questo racconto è risultato 1° classificato – Sezione narrativa alla XIII Edizione del Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2009


Questa la motivazione della Giuria: «Nel racconto “Fredda terra e musica del cuore”, Damiano Fina esplora tutto ciò che gli occhi “cercano” nelle zone d’ombra, nel silenzio lacerante, alla ricerca d’una risposta che fa sempre fatica ad arrivare e, infine, nella sofferenza del corpo d’un uomo “rinchiuso fra le pareti, condannato a vivere in un incubo infinito”. Il sentimento che si risveglia diventa un “urlo”, un “gemito di liberazione” e la mente ricerca una impercettibile, quasi invisibile, fessura nell’odiata parete che divide. Ecco allora che le labili memorie ritornano in una esplosione che deflagra al momento dovuto, in un tempo in cui le parole sembrano ancora “miraggi”.
Si può essere catturati dalle emozioni e, allo stesso modo, dai sogni: la tristezza e la felicità vanno di pari passo e colano dagli occhi e “si fondono nell’immaginazione”. Si può viaggiare verso luoghi lontani e non allontanarsi dal proprio giardino: annientando le limitazioni e le costrizioni. Damiano Fina oltrepassa la soglia d’una visione legata puramente al materiale e la innalza ad una dimensione spirituale». Massimo Barile


Fredda terra e musica del cuore

«Impossibilità di sentimenti, solitudine, cecità; ricordami quanto 
era dolce il profumo dei prati in fiore, quando chiassosamente i girasoli si stagliavano sull’azzurro del cielo».
Nel profondo della terra, oscure e gelide stanze soffocavano innocenti anime, prigioniere delle loro stesse effimere esistenze.
Anche se la luce aveva apparentemente dimenticato quelle desolate vite, in una cella sembravano miracolosamente germogliare tenere boccioli.
Labili memorie o solamente desolate nostalgie si stavano risvegliando dopo essere state stroncate, percosse, straziate, dilaniate da dense consuetudini…
Tutto cominciò quando i tempio sembravano ancora fantasie, quando le parole altrui sembravano ancora miraggi, quando tutto esisteva soltanto fra quelle tetre pareti…
Il nostro protagonista, mentre viveva dimenticato, udì improvvisamente un lieve e dolce canto… sembrava un sogno ma presto destò la sua curiosità.
Dopo quella che era stata giudicata un’eternità gli occhi trovarono il coraggio di riaprirsi e cercare; ma quella breve ombra di fiducia, che cominciava a tingere i pensieri, subito si infranse nell’aspra realtà: nessuno rispose. L’oscurità rimaneva immobile contro la certezza di aver udito una risposta di speranza.
Da quell’istante il silenzio non era mai stato così lacerante, i pensieri e il corpo non erano mai stati così sofferenti. La clessidra, lenta e insopportabile, proprio quando gli occhi stavano per richiudersi, si immobilizzò e la melodia riprese a respirare.
Questa volta non voleva perderla ancora, non poteva permetterselo, si alzò malfermo, riusciva malapena a trascinarsi ma raccolse tutte le sue forze, avvicinandosi alla parete dalla quale il suono sembrava giungere più forte e chiaro. Era certo dell’esistenza di ciò che sentiva ma ora la sua anima cozzava contro una più dura consapevolezza: non avrebbe mai potuto constatarne la fonte.
Rinchiuso fra quelle pareti, era incarcerato e condannato a vivere in quell’incubo infinito.
Da allora le ore di silenzio percuotevano come pesanti martellate il corpo e, quando erano spezzate dal soave canto, si tramutavano in carezze di sollievo.
Sembravano tornate a fluire le stagioni e si era risvegliato in lui un sentimento sempre più ingente, quasi come urlo, come gemito di liberazione…
Le due voci iniziarono malinconiche e flebilmente dolci ad unirsi solcando i silenzi oscuri della terra; sfiorandosi, rispondendosi, sembravano abbracciarsi.
Ogni volta che i cantanti erano costretti ad ammutolirsi per la fatica, i loro corpi cercavano disperatamente di abbattere quel muro che, opprimente, impediva il desiderio di sentire sulla pelle quelle carezze tanto anelate. Ma la terra dura e fredda non cedeva mai, nemmeno sporca di lacrime e sangue si incrinava.
Fra le menti unanimi ricorreva lo stesso pensiero.
Troppe note, troppe lacrime, troppo silenzio. Quei corpi stremati guardavan lo stesso muro sempre più consapevoli della loro ineliminabile lontananza.
Attimo dopo attimo toccavano con la mano lo stesso punto ma sembrava che fossero sempre più separati, come da un freddo inverno. Anche all’ultimo sospiro cercarono all’unisono di creare almeno una minuscola fessura sull’odiata parete.
Nulla.
Sprofondati in una bianca luce ormai si guardano e, finalmente assieme, volano leggeri come candide farfalle.
Si narra che, nelle notti nevose come questa, fra le nuvole sorgano le eco delle loro voci.
Ascolta.
«Mi catturi fra emozioni di miele e limone, mi leghi fra catene di desiderio sfiorandomi, senza gravità, in una bolla senza ossigeno.
E adesso dove sei? Dimmi cosa fai, cosa scorgi con quello sguardo che cattura i miei sogni.
Vorrei diventare il tuo cielo, potrei essere sabbia fra le dita, vento tra i capelli, brividi sulla pelle.
Regalami un sorriso, regalami un tiepido pomeriggio primaverile, regalami una carezza.
Ti scorgo dietro alla serratura di una porta di cui tu hai la chiave.
Tristezza e felicità colano dagli occhi fondendosi nell’immaginazione di una dorata emozione.
Vorrei passeggiare, mano nella mano, verso l’orizzonte della vita, potrei portarti in braccio fino alla fine del mondo e trovare il coraggio di oltrepassarlo.
Potrei spezzare le mie ali ed essere ancora in grado di volare, potrei sorvolare il mio ed il tuo mondo considerandoli nostri, legati dalla magia di una semplice nota.
Vorrei svegliarmi fra le tue calde braccia ed addormentarmi nel tuo profumo.
Potresti dipingere il mio cuore, potrei descrivere ogni tuo movimento, potresti cantare il nostro incontrarci, potrei scolpire il nostro ridere.
Ti amerò raccontandoti di noi nel respiro di una conchiglia, ti amerò ricordandoti dei paesaggi che i nostri occhi assaggeranno, ti amerò accompagnandoti fra le verità che, come onde, lambiremo.
Ti amerò sussurrandoti l’eternità con cui bruceremo, ti amerò sospingendoti verso i confini dei sogni, ti amerò finché non affogheremo nel lago delle nostre trepidazioni.
Potremo scioglierci in un bacio, diventare cenere, sarei il tuo fiore, sarei le tue stelle, danzerei con la tua ombra, tu giocheresti con la mia.
Come rose ci pungeremo con le nostre spine, come galassie ci abbaglieremo della nostra stessa luce.
Similmente a questo istante, sarò accanto a te così come mi vedi: nelle nudità del sentimento, nella sincerità dello sguardo, nella limpidezza dell’acqua di sorgente.
Ci lasceremo cullare nel fluire delle stagioni, rimarremo scintille di gioia, mi confonderei fra le tue impronte sulla spiaggia.
Ora mi sento scivolare negli abissi di questo oceano ma già il vento mi porta via, lasciando a queste parole la consistenza di una lacrima.
Almeno… sprofonderemo assieme?».
Sono felici, anche se le dita delle mani, quando provano ad intrecciarsi, si sfuggono come aria.

«Sangue di arte cola fra instabilità di ciò che ci circonda, defluendo quasi totalmente ignorato.
C’è chi, ricercando la perfezione, viaggia verso luoghi lontani, chi non si allontana dal suo giardino chiedendo risposta ai grandi maestri; mentre l’essenza si cela nelle stesse note che quelle ricerche suonano.
Pochi comprendono il senso di quella musica, preoccupandosi del tempo.
I giorni volano lontano e i colori sembrano sbiadire.
Ma quelle sono solo illusioni che si sforzano di apparire realtà quando non concepiscono altro se non la menzogna.
Ho nausea di quelle futili preoccupazioni, di quei banali argomenti.
Ormai, sputando inchiostro, vomito esistenza.
Ho bisogno di scatenarmi, ho bisogno di distruggere i pesi del silenzio, ho bisogno di straziare le barriere che imprigionano queste parole. Voglio spezzare i muri che mi limitano in un cassetto.
Troppo spesso, in questa società, non siamo in grado di vedere la verità lontano da ciò che scorre sotto ai nostri occhi.
Gridiamo, urliamo alla nostra rinascita macchiando persino le conchiglie di vecchio sospiro, soffocandone il pianto.
La musica di queste parole è sanguinolenta in una disperazione affogata di ricordi, le speranze sono stroncate da stridii di corde.
Arde un campo di grano bruciando un cielo corrotto di smog e il fumo toglie l’aria alle farfalle.
Si accasciano montagne rattrappite, tutto si raccoglie nelle nostre mani, otteniamo la nostra nuova pelle, sovrani di storpi fiumi.
Troviamo il coraggio di commuoverci della storia di due innamorati mentre, fra le vetrine colorate delle metropoli, ridiamo sguaiati della vittoria su ciò che ci circonda e con gli occhi dilatati ammiriamo la follia che abbiamo creato».


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