Al perenne sfavillar

di

Cristiano Comelli


Cristiano Comelli - Al perenne sfavillar
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 296 - Euro 15,50
ISBN 978-88-6587-6374

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In copertina: fotografia dell’autore


C’è un passato che si ha il dovere di chiamare presente. C’è un ieri che fonda le basi dello sviluppo del nostro domani. La storia degli uomini che hanno fatto grande il mondo è la storia di sogni nati a volte per caso e diventati realtà attraverso la matita dell’amore per l’umanità e, prima ancora, per la gioia di farle dono di qualcosa. Il perenne sfavillar dei loro nomi abbia per dimora i cuori di tutti noi come luce che diventa la nostra storia che abbraccia una storia eterna. E ci scopriremo noi stessi piccole, grandi case di eternità.


PREFAZIONE dell’autore

Le epoche storiche in cui hanno vissuto sono state le più diverse, così anche gli ambiti in cui hanno operato. Ma tutti hanno un fil rouge che li unisce: hanno amato il mondo, dando a esso loro stessi e grazie al loro talento qualcosa in più. Avrei potuto intitolare questa raccolta anche il “Libro dei grazie”, ma quel segno di gratitudine spero possa comparire implicito in ciascuna proposta. Che lascio al lettore definire con l’aggettivo di poetica o con quello, che personalmente prediligo, di rievocativa. Perché dire grazie non basta e sicuramente occorre fondare questo grazie sul ricordare, sia pure per sommi capi e in un modo particolare, ciò che questi personaggi hanno fatto per guadagnarselo. Tanto, tantissimo. Vi è chi ha donato qualcosa in più al mondo che non vi era in precedenza attraverso la magia della musica, chi lo ha fatto a colpi di pennello, chi elaborando un nuovo sistema filosofico che sapesse porsi a criterio interpretativo, magari non esaustivo ma certamente utile, del disordinato, non di rado assai complesso fluire dell’esistenza umana e di quanto la circonda. Vi è chi ha amato l’uomo suo simile aiutandolo nei suoi momenti di crisi e difficoltà. Insomma, ognuno ha dato secondo le proprie doti, non si è tenuto per sé i talenti di cui disponeva e li ha condivisi, facendone un’opera d’arte a vario titolo; perché le opere d’arte le si ottiene non necessariamente con i pennelli ma anche con le azioni del cuore. È il caso di chi, ad attenzione dei più bisognosi, ha fatto nascere opere religiose che, sorte in un determinato contesto, si sono poi diffuse rapidamente nel mondo intero. Niente nomi, qualcuno di voi già li intuisce ma comunque li troverete in resa di versi all’interno di questo volume. Due sono le molle che mi hanno spinto a scrivere questo libro: la prima è la curiosità, la seconda è la gratitudine, non in ordine di importanza ma coesistenti. La curiosità è quanto spinge una persona a conoscere di più del mondo in cui vive non fermandosi a una dimensione sincronica ovvero soltanto al proprio tempo ma estendendo lo sguardo a ciò che si è verificato prima di lui. Magari anche per capire, anzi, senz’altro per capire meglio le caratteristiche del tempo in cui vive. Non è puro esercizio d’ozio o concessione alla perdita di tempo infatti capire da dove si sia venuti per capire dove si stia andando. Anche in questo caso ci asteniamo dal fare nomi per non fare torto ad alcuno dei protagonisti che appunto compaiono lungo queste pagine, ma il discorso è generale. Diciamo che il prima fonda il dopo e non soltanto in senso cronologico. E poi vi è un elemento da non trascurare, ovvero che esistono alcune tematiche, o comunque alcune inclinazioni, che affondano le loro radici all’origine del tempo e si protrarranno fino al suo concludersi. Chi sia l’uomo, che cosa sia la sua essenza, perché egli è dotato della ragione a differenza delle altre specie animali, perché egli sia buono o cattivo, nasca o diventi tale, sono temi che conoscevano gli antichi Greci ma che conosciamo bene anche noi. La passione verso di essi è la stessa. Magari non sono le stesse risorse conoscitive su cui sia possibile contare per poter cercare almeno di abbozzare una risposta a questi complessi e spinosi temi. E non bisogna neppure pensare che la risposta sull’identità dell’uomo venga unicamente da complessi trattati filosofici o teologici. Chi è anche l’uomo? È l’amore per il suono e per il canto che gli sono serviti e sempre gli serviranno per esprimere la propria tensione verso l’armonia così come le sue contraddizioni esistenziali, di scoprire il velo sugli aspetti della vita da magnificare così come su quelli che intende maledire. Chi è ancora l’uomo? È il colore multiforme di un’anima che trova estensione in mille colori su una tela. È l’idea di identità da conferire a una materia grezza, pensiamo appunto allo scultore. Tutto è, in qualunque ambito ci si impieghi, un dare forma alla vita per spiegare sempre meglio la vita. Forme che si rinnovano nella loro struttura, ma che rimandano sempre a un concetto fondamentale: il senso dell’esistenza, ammesso che vi sia. E comunque, se vi è come sono propenso a credere, quello che questi prodigi della natura e della creazione divina hanno saputo fare e che lo hanno saputo liberare dalla tagliola di dargli un nome univoco. Cosa è il senso della vita? Tutto. O nulla. Ma se qualcosa è stata creata proprio nel nome del senso della vita non si può in alcun modo parlare di nulla. Magari il concetto di senso della vita che qualche creatore nel suo ambito ha messo a fuoco appunto attraverso la propria azione e il proprio pensiero è servito ad altri per individuare il loro senso della vita. Una buona poesia, un buon libro possono rivelarci un nuovo senso del vivere o magari consentirci di focalizzare quel senso che già abbiamo individuato dentro di noi. È un incontro, mai scontro, tra sensi del vivere che si compenetrano, si arricchiscono, si aiutano a comprendersi. Di ognuno di essi vi è un estremo bisogno. Vi è bisogno di chi scopre la teoria della relatività così come di chi ti sa tradurre il fascino della realtà in un suono, in una fantasia di forme e colori. Vi è bisogno dell’elaborazione di un pensiero filosofico così come dell’appassionato agire e parlare di un uomo politico illuminato. Nulla si perde mai dell’attività umana se non ci si consente di farlo perdere. Non solo il mondo, dopo ogni creazione non è più lo stesso ma non lo siamo più neppure noi. I sensi della vita si chiamano l’uno con l’altro, spesso l’uno fornisce all’altro ali per volare in modo possente. È come un gioco di specchi in cui un senso si riflette nell’altro, tutti hanno bisogno l’uno dell’altro. Non esiste, quindi, una gerarchia di sensi della vita, ma soltanto una diversità di scelte di campo con un denominatore comune: il bene al di là del proprio io dell’io universale. Quale io? Qui entreremmo nel filosofico, e non è questo un trattato dedicato all’io ma un insieme di dediche, oserei affermare, fraterne. Nessuno di questi grandi uomini di cui ho modestamente cercato di tratteggiare la figura in versi sapeva con precisione dove sarebbero andati a finire i suoi sforzi; cioè non sapeva a quali uomini sarebbero stati destinati. Potenzialmente a tutti. Si intende, se l’ottica è di cercare di donare qualcosa al mondo per farlo crescere in bellezza e varietà. Sapeva forse Dante Alighieri quanti avrebbero letto la sua Divina Commedia? O Pirelli quanti si sarebbero serviti delle gomme uscite dalle sue fabbriche? O John Lennon quanta gente avrebbe ascoltato le sue canzoni? Certamente no. Ma è poi oltrechè naturale anche provvidenziale che sia così. Forse l’individuazione precisa delle persone a cui tali opere erano destinate, intendendo il vocabolo opere in senso estremamente indefinito e quindi onnicomprensivo, si sarebbe avuto un che di utilitaristico. E invece il non sapere a chi fossero destinati i prodigi della creazione di queste grandi persone ha garantito due fondamentali conquiste: primo, la potenziale universalità spaziale dei benefici di tali creazioni, secondo, la potenziale universalità temporale. Parliamo di persone vissute ovviamente in un determinato contesto temporale e che di questo carcere temporale in cui si trovavano a operare si resero ben conto, ma che seppero proiettarsi fuori dal tempo con la forza del loro atto creativo; usando, in senso nobile, il tempo per poi liberarsene, usandolo come muro su cui sostenersi per poi demolirlo o andarvi oltre. E fare andare oltre chi ha goduto delle loro creazioni. Con una consapevolezza: che per poter amare davvero l’umanità nella sua dimensione universale occorre di forza circoscrivere il campo a uno o pochi ambiti in cui si debba operare. Vi fu chi, se volete privilegiato da Dio o, per chi non crede, dalla bizzarria demiurgica della natura, ebbe la possibilità di contribuire al bene e allo sviluppo del mondo in più ambiti, e vorrei pensare in questo momento a Leonardo Da Vinci, e chi invece seppe specializzarsi in un ambito soltanto ma molto bene, diremmo oggi diventando un’eccellenza del suo settore. E non vale operare una distinzione che in fin dei conti risulterebbe totalmente oziosa tra attività teorica e pratica, tra sapere teorico e sapere di taglio maggiormente pragmatico e operativo. Ambedue costituiscono sapere, ambedue creare. Il mondo è cresciuto sia per i versi danteschi sia per l’avvento della produzione delle gomme. Ed è cresciuto anche per la capacità di dare al palato gusti nuovi. Chi mi farà l’onore di scorrere queste pagine scoprirà cammin facendo di che cosa, per meglio dire, di chi io stia parlando. Il fatto che per volere bene all’interezza del mondo ci si debba attenere, con eccezioni assai rare, a una sola vera inclinazione che la natura ci ha donato, può essere soltanto a prima vista paradossale. L’uomo che, contro la propria vocazione, pretenda di specializzarsi in tutto non è un eroe, rischia anzi di diventare patetico. Anzi, di più, spesso rischia di farsi davvero del male smarrendo la sua reale vocazione. Ma per fortuna nessuno di coloro che ho scelto di proporvi incorse in un tale errore. Ecco, queste persone, che alla fine furono come noi amanti della vita e del mondo (pur se qualcuno scelse poi di congedarsene anzitempo con il suicidio) assecondarono la loro natura, non ne pretesero una differente e si mossero su quel solco che era stato per loro tracciato per dare al mondo qualcosa che prima non aveva e che senza di loro magari neppure avrebbe avuto o avrebbe posseduto in modo differente. Quando si dice che la natura debba fare il suo corso, si deve anche ammettere che l’uomo debba fare il suo corso. Qualcuno magari si chiederà: ma se un pittore, uno scultore, un poeta hanno dato qualcosa di nuovo al mondo, un magistrato, invece, che avrà dato mai di nuovo? Si è limitato ad applicare la legge da buon uomo di Stato. Badate che contesterei decisamente tale affermazione a chi me la proponesse. I magistrati, che troverete in questo volume rappresentati in maniera copiosa, non diedero al mondo, è vero, nuove poesie o nuovi quadri piuttosto che nuove opere liriche; ma contribuirono a illuminarci sempre di più sulla strada della giustizia trasmettendocene progressivamente l’amore, l’importanza di agire per essa e nel nome di essa, atto che io giudico estremamente creativo. E così è sbagliato dire che chi diede al mondo un dolce nuovo sia da considerare di statura inferiore a chi gli diede un nuovo romanzo. Esiste infatti una necessità di assecondare lo spirito e una di assaporare i piaceri del palato. E che dire dei calciatori che ci hanno deliziato con i loro virtuosismi? La “Divina Commedia” di costoro, non voglia sembrare irriverente la comparazione, era il prodigio delle loro giocate. E sento già qualcuno che magari potrà affermare: ma questi giornalisti senza i calciatori o senza gli sportivi o senza qualche evento di cronaca non sarebbero mai stati nessuno. E io rispondo che sono gli eventi a condannarsi all’anonimato senza chi abbia la capacità di saperli immortalare con maestria. Il discorso non vale, evidentemente, solo per chi opera con la penna, giornalista o scrittore che possa essere, ma anche per pittori, scultori, musicisti. Tutti si è utili a tutti solo che lo si voglia e che si abbia il coraggio, anche il talento perché no, sicuramente la determinazione a voler individuare la propria strada maestra. Così ci si crea la condizione per uscire da se stessi attraverso il proprio atto creativo e oggettivarsi nel mondo, nel senso più nobile del termine. Certo, scorrendo queste pagine e arrivato alla fine, ma magari anche prima (basterà magari anche solo scorrere l’indice di chi ha avuto da parte mia una dedica) qualcuno concluderà: ma perché non si è ricordato di questo, o di quest’altro? Allora, diciamo che chi mi muoverà l’obiezione avrà ragione da vendere, ma non potrà rimproverarmi di una cosa: del fatto di essere una persona limitata, un semplice essere umano e di avere quindi fatto inevitabilmente risentire questa selezione della mia sensibilità verso certe persone e certi temi; in altri casi, e anche per questo abbiate un po’ di clemenza, persone che ben avrebbero meritato una dedica mi sono assolutamente sconosciute; poi ci sono le valutazioni soggettive, per così dire, sulla qualità di una persona oggetto di dedica. Di qualche personaggio che ho qui inserito magari vi domanderete: ma come, cosa avrà fatto di tanto importante per meritarsi fino a una dedica in versi? Ciascuno di coloro che troverete nella raccolta ha sicuramente aggiunto qualcosa al mondo, e fare una cernita, si ripete, non è stato per nulla facile. Vorrei dire due parole sull’approccio che ho usato per redigere questo libro con quanto contiene. Non si tratta certo di un’opera con finalità enciclopediche, chè esiste una miriade di siti Internet o di riviste specializzate attraverso cui è possibile documentarsi con dovizia di particolari sulle vite di chi è qui ricordato. Ho invece puntato su quella che definirei “resa affettiva”. È evidente che qualche dato biografico di base riguardante ciascuna persona mi sia anche servito perché non si può fare una dedica a qualcuno senza sapere almeno un minimo cosa abbia fatto. Di alcuni sapevo di più, su altri, lo confesso, attraverso un po’ di canali ho dovuto documentarmi maggiormente perché, pur conoscendo la loro rilevanza, poco o quasi nulla sapevo della ricchezza della loro biografia. Ma questo mi è servito solo come materiale per poterci poi innestare un omaggio affettivo. Già, affettivo, perché seppur nessuna di queste persone io abbia avuto modo di conoscere personalmente comunque mi sento legato a loro per quanto hanno fatto. A volte si hanno motivi per riservare maggiore gratitudine a chi non si è mai conosciuto di persona che non a chi si è conosciuto bene. La vicinanza affettiva a questi grandi personaggi ha sicuramente una pluralità di cause. Una l’abbiamo indicata ed è che hanno dato al mondo qualcosa che il mondo prima non aveva; o una grande invenzione o comunque un patrimonio di allegria e spensieratezza, o un grande dipinto o un momento di alta danza. L’altra è che queste nuove comparse di senso, possiamo definirle così, ci hanno fatto stare meglio, magari più fugacemente oppure in maniera più stabile. La terza è che magari hanno incarnato un’aspirazione che avevamo anche noi, e anziché frustrarci inutilmente per non essere stati al loro posto dobbiamo loro tributare omaggio per avercela fatta. Così funziona la vera solidarietà tra gli uomini, almeno mi pare. Nella scelta del materiale biografico, o meglio, degli aspetti che ritenevo maggiormente significativi, mi sarà anche accaduto di omettere qualcosa di oggettivamente importante sfuggito alla mia gerarchia di valutazione. Naturalmente me ne scuso qualora qualcuno tra i lettori che mi onoreranno di attenzione sia proprio un parente di uno dei rimembrati, ma altrettanto naturalmente affermo di avere compiuto questa scelta in assoluta buona fede. E poi, come detto, chi vorrà trovare maggiore materiale documentario scevro da qualunque intento artistico verseggiante, lo potrà fare attivandosi con mille canali differenti. Insomma, la biografia dei personaggi nella mia considerazione ha inteso essere un punto di partenza e non di arrivo. Se un po’ avrò contribuito non a farveli conoscere, ma a sviluppare in voi la voglia di conoscerli più da vicino ne sarò ovviamente contentissimo. Qualcuno potrà ancora dire: ma tutti coloro che qui hai ricordato sono morti e non ci sono vivi. All’obiezione potrei rispondere subito dicendo che comunque tali persone, con quanto hanno dato al mondo, si sono garantite l’immortalità. E comunque affermo anche che chi è ancora fisicamente in vita ha occasione per ampliare la propria biografia e per crearsi le condizioni per essere ricordato a lungo quando, gli auguro il più tardi possibile, non vi sarà più. E comunque è inesatto dire che i personaggi qui ricordati non divengano più. Nella percezione della gente, nella fruizione delle opere nel caso degli artisti, vi è sempre comunque un elemento di dinamismo sia di chi ammira sia di chi, non più vivente, continua a essere ammirato. Ciò che intendo dire è che l’apprezzare qualcuno per quanto è stato gli conferisce un’aura ancora maggiore e soprattutto l’opportunità di continuare a vivere nel tempo in un altro modo. Se io apprezzo a fondo il quadro di un autore è come se continuassi a fare vivere quell’autore con quell’apporto di pensiero; attraverso la mia analisi, la mia compartecipazione emotiva al dipinto io do all’autore un nuovo significato, una nuova luce, dunque continuo a farlo vivere. Beethoven acquisisce ancora maggiore vita con la fruizione dell’Inno alla gioia da parte di chi lo ascolta, Leonardo idem ammirando “La gioconda” piuttosto che “L’ultima cena”. Questo naturalmente soltanto per fare due esempi, ma se ne potrebbero fare a iosa. Tempo fa ebbi a dire a un mio interlocutore che l’opera d’arte ha un valore oggettivo dato dalla sua immagine o dal suo suono e da chi li ha realizzati e uno di aggiunta che gli è conferito da chi ne fruisce. A ben guardare, poi, essermi impreso in questo tentativo di “resa affettiva” come ho voluto chiamarlo ha inteso liberare l’apporto di questi personaggi ricordati dal momento puramente, per così dire, tecnico e professionale, individuando o comunque immaginando di individuare il sentimento che ispirò il loro agire e creare. A nessuno, spero, verrà in mente sul serio che un pittore, uno scultore, un musicista siano appagati soltanto dalla loro resa artistica, vi è qualcosa che li motiva alla creazione ex ante e che non ha nulla a che fare con l’aspetto tecnico-professionale, vale a dire il sentimento verso loro stessi e verso il mondo. Creare, sotto qualsiasi forma, è l’intento, voglio dire anzi l’esigenza insopprimibile dell’uomo di uscire da se stesso per farsi mondo, dono per il mondo. E in questa raccolta troverete chi questo ha scelto di fare nel modo più elevato. Come già detto, nel volume non si troveranno personaggi che pure sarebbero risultati meritevoli di essere ricordati nel modo più pieno. Scegliere chi mettere non è stato semplice e, si potrebbe dire, ha senz’altro generato una sia pur involontaria ingiustizia; proprio per questo, alla fine del libro, ho inteso lasciare alcune pagine bianche, perché magari alcuni di voi, con un pensiero, una poesia, una piccola riflessione, ci possano aggiungere chi io non ho inserito o non ho scelto di inserire. Si fa un gran parlare della mediocrità che, nei tempi attuali, caratterizzerebbe il genere umano.

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Al perenne sfavillar


A CLAUDIO ABBADO (direttore d’orchestra)

Vortice di note inquiete eppur sublimi
il comporsi lento fu dell’esistenza mia
bacchetta ch’ardente sempre scintillava
nei respiri d’orgogliosa, umile mano
e di rapir suoni all’aria e alla fantasia
celestiale missione recava cucita sul cuore.
Accogli, o divin teatro
le lacrime e l’impeto d’artista
d’un uomo che amar sa d’armonia
non vi è vita in chi comprendere non sa
che la musica è estensione di poesia.
Ebbro son di partiture incandescenti
ch’il tempo fender sanno e baciare
violino tanti anni son trascorsi
ma ancor riveli la profondità del mare.
“Claudio ricorda ogni brano è preghiera
mantello di emozioni che serberà una vita intera
un mondo celato da esplorare
o fonte di inespresso cui potersi abbeverare
Claudio gli orchestrali serbali nel cuore a uno a uno
chè il soffio di un musicista non esclude mai nessuno”.
Mi sono addormentato in un sorriso
di un concerto che spalanca il paradiso
ma sempre con voi mi troverete
ogni volta che un’orchestra gusterete.


A SANT’AGOSTINO (filosofo e scrittore)

Dio il tuo destino raggiunge
nella magia del presto
o nell’affannoso incamminarsi del tardi.
Coglier lo devi
nel gemente smarrimento del tuo sguardo
timore non ha
di entrare nella dimora traballante
dei fallimenti incatenati
al transeunte inventarsi della tua anima
al decomporsi
delle illusioni di bastare a se stessi;
l’uomo
non è che carcere a se stesso
tra un passato
che di cenere incomprimibile odora
e l’invadente ombra di un futuro,
che come cavallo color vento
percepire non lascia
la sua corsa verso te;
madre Monica
tu sola saper puoi
dove Dio dimorasse
prima che tu me ne desti
l’incontaminato,
etereo, avvolgente bacio
con le tue parole ricamate di fede.
Forse dimorava
nelle mie insolenti presunzioni di retore
quando il santo Vangelo
giocava a sfidare le mie debolezze
ma da esso mi ritraevo
dietro il sudiciume barbaro
di pere rubate per gioco.
Ora so, Signore,
che tutto mi inonda
perché ruscello sei di saggezza
che traluce tra i sorrisi
così umani e così divini
di Ambrogio, Simpliciano e Ponticiano.
Di vivere ho scelto
sull’onda di quel tenue filo di preghiera
che per me ricamasti
da Tagaste a Milano
Fui Agostino,
e sono ora in pagine fruscianti,
soldato senza tempo del parlare del divino.


A MICHELE ALBORETO (corridore automobilistico)

Rombo di inaddomesticabile coraggio
è questo cuor ch’a sorgente s’abbevera
d’un turbo indiavolato e alleato.
Lo so, pista che sfuggente qual biscia
verso nomi nuovi incessante fuggi
in cui poter incorniciare insidiosa
la dama capricciosa della velocità;
tu sola serbi il diamantino segreto
di curve che tagliar sanno il nostro sguardo
impaurito eppur monarca di paura
quando insaziabil urla il contachilometri
incontentabile come tenero bimbo
eppur di maschera talor ammantato
di potenziale assassino.
Echeggia sulla mia tuta
l’ancestral sole di circuiti roventi
pelle tremebonda eppur innamorata
dell’abbraccio seducente e rinfrescante
di bandiere a scacchi.
Arde oltre il perimetro
che vigliacco si evidenziò
al mio esistere per inventarmi corsa
la tua lucentezza sui miei giorni
impietosa inghiottì.
Cara Ferrari, estasi di sfide
che con divina lentezza si rivelarono
come poesia in quell’abitacolo
benedetto eppur inquieto
dove a onorarsi di condurti ebbe
il tuo Michele Alboreto.


A EMILIO ALESSANDRINI (magistrato)

Toga non vi sia mai
che non profumi della stoffa della verità
che pur se macchiata sia
da labbra di vigliacco sangue
sempre fiera e indomita scintillerà.
Giustizia non è né mai sia
esercizio di pietoso, vile equilibrismo
ma brandir la spada immacolata della propria coscienza
contro i soldati di piombo del terrorismo.
Serrar gli occhi mai non dovrà
quest’etica non scritta ma assai viva
della responsabilità
ch’al vento urlare possa non mera indignazione
ma lotta perché la legge trionfi
con la dolcezza morbida d’una religione.
Violenza non v’è
che da sinistra o destra soffi,
una sola violenza esiste
e a qual colore abbracciata sia
del vivere civile spezzar vuole la poesia.
Se un dì di me vi narreranno, bambini,
saper dovete, che fui Emilio Alessandrini,
non un superuomo, né uno degli eroi,
ma chi volle che il bene sempre trionfasse
proprio come voi.


A DANTE ALIGHIERI (uomo politico e poeta)

Firenze
di mediceo sfavillare diadema
che rinfrescante bacio cesellasti
sul mio disio di saper poetare.
Qual fu il sussurro di stella mattutina
ch’a me condusse a essere cantor
dell’uman travaglio e di ricerca umana
nella Commedia che chiamarsi suol Divina.
Amor di guelfo contr’a’ ghibellini
fruscio d’Arno e di fieri fiorentini
a dissertar ebbe anco la penna mia
dei due incandescenti soli, papato e monarchia;
niun potei amare come te, immortal giglio,
che pur un dì m’espellesti da’ tuoi petali,
rinnegandomi per figlio;
in cantiche volarono i miei pensieri alati,
da schiere degl’ignavi
a quelle dei beati.
Se mi sorprese il destin felice
fu per lo sguardo tuo, gentil Beatrice,
che d’onestà e amabil candore fosti prova
che celebrai nei versi della Vita Nuova.
con piglio indomito di verseggiatore
mai a smarrir ebbi il prisco fulgore
neppur quando il mio pereginar non fu più idillio
chè da Fiorenza ebbi l’infausto esilio.
Di vita il mio cammin più non tentenna
poi che sul sen tuo mi accogliesti, Ravenna,
ribollir di atavici confini
rigoglio di fasti bizantini
basalto di presente e di passato
culla illuminata d’esarcato.
Nel mio “Convivio” accolse vita mia,
pur gemme di tenera filosofia,
a te uom d’ogni tempo
scolpito lasciai in viso
il tuo inestirpabile dissidio
se esser inferno, purgatorio o Paradiso.


PER ILARIA ALPI (giornalista)

Bambina ancor che mi trovavo,
la penna ad amar presi e a corteggiare
ricordo quella notte e quel frammento di realtà
in cui trovai coraggio e le chiesi:
“insegnami il senso vero della libertà”.
Rifulge nella memoria quel giorno celestiale
del primo servizio che donai al telegiornale
l’emozione nella voce, la pienezza intarsiata nel cuore
ch’a raccontare tutto apprender dovevo
sulla gioia e sul dolore.
Mai vi potrò cesellare l’emozione
del fruscio fresco dei fogli dentro la mia redazione,
cara Rai nel tuo grembo mi accogliesti
e di saperti meritare sol desideravo
con la passione della giornalista vera
che anelavo a diventare.
Il vento disegnò un biglietto nel mio cielo
destinazione Somalia
con la missione di raccontare i dolori e le speranze della gente
mortificata da bande di sciacalli criminali
e dal sangue dei loro dollari da maledire
sono Ilaria e la mia voce possa diventare
la voce di chi laggiù non vuole più soffrire;
ma una mano invisibile che non riuscii a percepire
a me disse con lacerazione
“ciò che è un tuo grande desiderio,
nulla più resterà che un’illusione”
poi si dileguò senza darmi il tempo davvero di capire,
che ciò che chiamavo futuro era per me soltanto
l’odore acre e traditore del morire.
Miran assai bello fu lavorare insieme a te,
come me sapevi che c’era da rischiare,
in questo gioco color fascino e pericolo
che è la nostra professione di informare,
a te dico ora uomo di ciò che fu anche il mio mondo
regalami un tuo piccolo pensiero
quando il tuo sguardo si poserà sul mio
davanti alla mia lapide al cimitero,
ai miei colleghi giornalisti queste parole lascio,
“maledir mai non dovrete il vostro coraggio,
ma render la vostra identità
un inno alla ricerca della verità”.
Ilaria avevo nome
e la mia corsa troppo presto si è esaurita
fragile e indifesa come punta di matita
non dimenticatemi col cuore e con la mente
e allor non sarò morta veramente.


A SANT’AMBROGIO (vescovo e santo patrono di Milano)

Cuor mi fu donato di due braccia protese
al richiamo incessante del divino
e al costante operar di carità
nel giardino del consorzio umano
ch’i miei occhi e la mia età
a disegnar instancabili ebbero
nel fruscio di viaggio
che da Treviri a condurmi ebbe a Milano.
Fu il soffio misterioso ma rivelatore
d’un benefico destino
ch’a rendermi s’imprese
prima vescovo, innanzi patrono meneghino;
presto ebbi a comprender fratelli
che il peregrinar della mia storia
proseguito non sarebbe
nel pur seducente ruscello dell’avvocatura
ma tra gli abbracci dei messaggi
che Dio rese qual carezzevole sempiterna poesia,
scintillanti tra lo scorrer della Bibbia
e degli studi indefessi di teologia.
Una missione, uomo, a te lasciai e lascio in eredità
esser daga umile ma fiera
contro ogni spira di povertà,
chè la terra è bene per tutti,
e più non vi siano privilegi né ingiustizie,
e testimoni qual me siate in dirittura morale
del Padre e del suo amore universale.


AL GIUDICE GIORGIO AMBROSOLI (magistrato)

Fendo fiero
con l’orgoglio di fedeltà alla giustizia
questa dispettosa
talor lacerante nebbia di Milano.
Rimembrar sa
la caligine ch’a bandiera avvolge
un mondo economico
per universal felicità germogliato
e riscopertosi putrido.
L’amore per verità e onestà
una man nel buio mi tese
e daga indomabile a esser presi
per frantumare il rivoltante gioco
di scatole cinesi
di società in altre società incastrate
per umiliare impuniti il fisco;
eccovi, notti insonni trascorse
tra carte e carteggi
maresciallo Novembre
tu sol ora in vita serbi
quanto provai a compiere
prima che morte
donna ignobile traditrice
a stritolarmi avesse.
Adorata famiglia
il mio lavoro
modo fu per amarvi davvero.
Più non mi vedeste le scale salire
di via Morozzo della Rocca
in un frammento maledetto
balbettato dal destino
la mia vita targa ebbe di sangue.
Non restino di me,
Umberto
biblioteche in nome mio
o sale conferenze
sol il mio urlo silenzioso e maestoso
perché il mio sacrificio
alla dea della scintillante onestà
van non sia stato.


AD ARCHIMEDE (scienziato inventore)

D’indomabile ribollir ebbro
la scienza coccolo a guisa d’ancestrale dama
ch’ogni carezza che dispenso
tra falangi avide di verità
la risposta a un arcano sedimentata lascia.
Siracusa, diletta culla mia,
per difender la tua pelle
il destino vuol ch’un leone io sia,
così fu che per evitar a te
l’onta di giornate tetre
a inventar m’impresi macchine roventi
ch’in grado fossero di scagliar pietre.
Benedetti siano
l’estasi di quel bagno in quell’anonima tinozza,
ch’a me consegnarono, intonse ed eccitanti,
le verità ascose sui corpi galleggianti.
Pilastro d’amore, volli
in me ruggisca e sia
scoprir il velo fascinoso della geometria,
tra conoidi e sferoidi baloccarmi,
voci ben levigate d’astratta eppur real armonia.
Or il corpo di Archimede,
sotto una sfera in un cilindro inscritta regna,
di quella storia e passione appagato,
che lo disegnò e a tutt’oggi lo disegna.


A LOUIS ARMSTRONG (musicista trombettista e cantante)

Mano, sull’attenti
a te offro una ben lucidata tromba
in cono d’effervescente ombra sonora
di lasciarsi avvincere attende
dalla magia incastonata
tra le tue eburnee dita.
Oh yes,
invito a cena anche stasera
da indefinite forme di jazz
che di stanar la lucente compiutezza han desiderio.
My voice is fit
my trumpet is excited
diletta orchestra
un nuovo inesplorato io sottrassi
a un pentagramma complice
che accettar non vuole d’essere frenato
il corpo danzante
di questo ritmo
ben calibrato e indiavolato.
“What a wonderful world”
questo tremolio
invisibil eppur tanto presente
di pubblico avido assetato
di sonorità un po’ adulte e un po’ bambine
nel trillar della mia squillante vita
amico mio,
rimembri
scorse anche un italico treno
destinazione Sanremo.
“Mi va di cantare”
la tromba, fedele ancella
donna che l’età non sa tradire
tanto è pura, radiosa e bella;
se una nuvola scorgerai
scuoter la calma intarsiata del cielo
amico
è la tromba del vecchio Louis
che con l’ultimo strato di urano celiando va
perché scoperto ha
l’arcano dell’eterno suono.


AD ALBERTO ASCARI (corridore automobilistico)

Lingue di piste seducono
l’anima che di velocità superba luccica
a ogni curva l’estasi d’un brivido
con una monoposto cui null’altro si chiede
che di scolpirci sulla pelle tremebonda
la sua incontaminabile fedeltà.
padre Antonio,
come te un solo indominabile amor m’invase,
la magia d’un correre
sfidandosi a infrangere limiti
mano rovente su un cambio eccitato
da ebbrezze di giri sempre uguali
eppur sempre differenti;
Ferrari, Alfa Romeo, Maserati, Lancia
colori scalpitanti d’una medesima tela
determinazione a reinventarsi uomini
tra tentazioni di velenosi sorpassi
che a nettare di esaltazione eressi.
istanti furono d’un bene profondo.
Issarsi due anni sul tetto del mondo
Fangio, fratello Villoresi, amico Farina,
che di Formula Uno facemmo per sempre
la nostra al tempo schiava e anche regina.
Monza, conchiglia di Brianza,
più non mi vedesti far ritorno
in un corpo ancor vivo in quel maledetto giorno
quando si ribaltò l’automobile infedele
e in nuvola di fumo ebbi a dileguarmi.
Ma Ascari or è stella che nell’uran si invola,
tra circuiti di stelle, e con fiato che evade dalla gola,
fiero urla
“Alberto è figlio della velocità,
a essa ora avvinto per l’eternità”.


A ENZO BEARZOT (calciatore e allenatore)

Aiello,
dolce ineffabile diadema
che per me scelse
di ricamarsi culla
di intarsi onirici indomabili
rivelami, te ne supplico,
chi mai spiegarmi seppe
che la vita forma aveva
d’un pallone carezzato
da mille, bizzarre traiettorie.
Il calcio, lo so
inscalfibile, insidioso fascino possiede
di una muta e sorda montagna
il calciatore in fondo non è
ch’un cacciatore insaziabile di vette
innevate di gol e trofei.
Eccoti, panchina adorata
ti leggo in un sussurro di sguardo
ch’ora si è scorto più leggero
come donna inebriata dal primo amore
assistere sapesti
amorevole e paziente
alle mie prime, infuocate sfide
con i miei indiavolati schemi di gioco.
Rivedo sai
come mi sorridevi
quando alfiere dell’azzurro sogno
per mano prendevo i leoni
e a condurli mi imprendevo
tra i gauchos argentini
la vetta rimase lì
a soli tre gradini
Argentina, Olanda, Brasile
maggior fiato ebbero
per donar sangue alla salita.
E ricordi quattr’anni dopo
ci ritrovammo come sempre amanti
tra toreri e chitarre andaluse
la cima fu davvero nostra
i miei leoni smarrito non avevano il ruggito
vincendoti, Italia del mio respiro
imparasti forse ad amarti di più
tra le nuvole di fumo color cristallo
della pipa di nonno Sandro partigiano
che gaudioso ci seguì nell’avventura
e a insegnarci ebbe
che nessun campo, anche sol di calcio
rapirci deve il coraggio
e infonderci la paura.
In spicchi di cuore vi serbo:
Zoff, Collovati, Scirea, Gentile, Cabrini, Oriali, Bergomi, Tardelli, Conti, Graziani, Rossi, Baresi, Wierchowod, Antognoni, Dossena, Marini, Bordon, Causio, Massaro, Altobelli, Selvaggi, Galli.

[continua]


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