Expectans (Il sesto senso dell’attesa)

di

Cosima Spinelli


Cosima Spinelli - Expectans (Il sesto senso dell’attesa)
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 114 - Euro 10,50
ISBN 978-88-6587-7197

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In copertina: «Beachfront breakfast» © aleutie – Fotolia.com


Prefazione

Il romanzo “Expectans – Il sesto senso dell’attesa”, di Cosima Spinelli, racconta il percorso esistenziale-sentimentale d’una donna, indiscussa protagonista della vicenda, che catapulta nelle zone più profonde dell’animo dalle quali scaturisce una lenta immersione nell’oceano emozionale che la pervade.
Tutto diventa stimolo di riflessione e ricerca, mai fermandosi alla superficiale apparenza, ma indagando il grande disegno della vita ed esaltando la ritrovata consapevolezza.
La protagonista del romanzo si chiama Teresa ed è una donna complessa e complicata; d’animo forte e, al contempo, fragile; capace di una visione originale e raffinata della vita, di sicuro, intensamente sentita nel profondo del suo cuore.
Nelle varie fasi del processo narrativo risulta completamente immersa nelle numerose riflessioni che invadono la sua mente ed il suo animo, fino ad anteporre ad ogni pensiero e al minimo gesto, la dominante considerazione comune: “Tutto ciò che appare come diverso, ci disturba e viene escluso”.
Infatti lei pensa sia difficile attuare veramente dei cambiamenti e riuscire ad accettarli può risultare ancor più difficile.
Seguendo la sua idea che siamo “asimmetrici” ed il nostro corpo è diviso in due parti “somiglianti, ma non identiche”, sottolinea che la dualità è innata e, per raggiungere l’Io completo, sia necessario conciliare le due parti, come a ricostruire, in un lento processo di riunificazione, l’integrità dell’Essere.
È proprio la presenza di questo dualismo che dimostra l’esistenza di una latente personalità più intima e assai diversa da quella che mettiamo in mostra nelle manifestazioni della vita.
Cosima Spinelli rende, nel miglior modo possibile, tale percezione della realtà e riesce, pagina dopo pagina, ad illuminare la substantia stessa d’una donna che combatte, con sincera passione, la visione del mondo che ci vede “stratificati nei giudizi e pregiudizi”, nelle false certezze e nelle convinzioni, creando un giacimento che occulta la portata reale del nostro vivere: ecco allora che ci dimentichiamo delle fragilità umane, degli inevitabili stati di sofferenza e della finitudine del nostro corpo.
In secondo luogo, Cosima Spinelli, inventa la figura simbolica di Mr Duty, che rappresenta la voce della coscienza della protagonista e che si incarna in un “acutissimo e giudizioso preservatore”, in definitiva, rappresenta la struttura complessa della personalità di Teresa, con la quale deve confrontarsi quotidianamente in una costante contrapposizione-compartecipazione: il suo compito è mantenere lo stato attuale delle cose e fare in modo che nulla cambi perché il cambiamento può essere “pericoloso”.
Lei è sempre pronta a combattere la “sua” battaglia: contrastare l’omologazione imperante, la propensione a creare compartimenti stagni ed incasellare nella giusta posizione ogni persona, per salvaguardare il senso di sicurezza che procura: eppure, nella sua mente, tali regole del gioco andrebbero sovvertite, completamente modificate.
Nella costante evoluzione meditativa si rende conto d’una semplice verità: ciò che ci tiene legati a questa forma di comportamento è il desiderio di accettazione degli altri e che, innanzi tutto, aneliamo essere amati.
Ecco spiegato il motivo per il quale Lei, con la magia delle parole, cerca di dare un “senso” alla vita ed al suo percorso esistenziale: sente le emozioni nel profondo del suo animo e tende a “svelare la verità”, grazie alle parole rivelatrici della sua scrittura.
Scrivere è il suo rifugio perché lei si sente una donna “sempre fuori tempo”: “ama quando non la amano e quando la amano lei non ama più”.
Nel fluire delle parole, nella dimensione riflessiva, rende limpidi i pensieri della mente, mentre passeggia in riva al mare, sempre ricercando la creatività e l’originalità d’una personale visione.
Lei non comprende “l’arte di saper aspettare” perché quando desidera qualcuno o qualcosa diventa irrequieta: lei “urla in silenzio”, ma la solitudine è una scelta volontaria.
Si rende conto che è difficile attuare cambiamenti in se stessi, arduo modificare il consueto teatrino che cerchiamo disperatamente di vivere, limitandoci a stare al nostro posto, prestabilito e codificato.
Lei crede nelle “verità opinabili” e non sopporta le persone inflessibili perché siamo “luce ed ombra”: e questo innato dualismo è la nostra salvezza, aiuta a non adeguarsi passivamente allo stato di fatto.
La protagonista, ad un certo punto, afferma: “Siamo immersi nel gioco delle convenzioni”, e tale considerazione diventa deflagrazione d’una verità: tra falsi sorrisi e maschere, infingimenti e camuffamenti, diamo sfoggio della nostra parte tirata a “lucido” e ben costruita, nascondendo la nostra “vera bellezza”, che risiede nella spontaneità, nell’accettazione di ciò che siamo veramente.
Dopo la storia d’amore con un attore famoso, che l’aveva aiutata a svelare le sue paure, ad “accettare se stessa e ad amarsi”, lei stava vivendo la serenità di “stare da sola”, di rintanarsi nella sua casa rifugio in riva al mare, il suo “amatissimo mare”, come a lasciarsi cullare mentre scriveva il suo romanzo anche se non aveva mai dimenticato quell’uomo dagli occhi azzurri.
Nel serrato ritmo narrativo di Cosima Spinelli il processo di analisi introspettiva trova infine il suo esito finale nell’incontro con Paul, un uomo dalla forte sensibilità, sorridente e curioso nei confronti della vita; un artista, un pittore assorbito dall’arte.
Proprio ora che stava volando in una nuova storia d’amore, l’affascinante attore ritorna sulla scena, figura del passato ancora presente nel suo cuore, ma lei scoprirà che il desiderio fisico nei suoi confronti è diventato solo desiderio di una “condivisione affettuosa” e scoprirà di essere “finalmente libera”.
Nella sua mente, dopo il delinearsi di una sorta di confronto a distanza tra i pretendenti, deciderà che l’attesa è ormai finita perché Paul è diventato una figura forte, presente, attuale e dominante nella sua mente.
Il suo cuore è pronto ad innamorarsi, ad abbandonarsi al flusso dirompente dell’amore, che diventa dolce approdo narrativo nella romantica e sensuale scrittura di Cosima Spinelli, sempre attenta a far emergere il dato fondamentale che intende esaltare e far risplendere: l’innamoramento, da parte di un uomo, dell’essenza genuina e meravigliosa di una donna, di una “creatura speciale”.

Massimo Barile


Expectans (Il sesto senso dell’attesa)


Capitolo primo

È più facile sconfiggere un atomo che un pregiudizio.

Albert Einstein


Siamo asimmetrici. Cosa c’è di strano. Il nostro corpo si divide in due parti, come se dal vertice della nostra testa partisse verso il basso una linea immaginaria che, similarmente ad una cartina geografica, delinea il corpo in due zone somiglianti, ma non identiche.
Seduta sull’erba con i piedi nudi, Teresa guardava le scarpe da ginnastica.
Per quale strano motivo, se abbiamo due piedi simili, ma leggermente diversi, dovremmo usare una coppia di scarpe precise, identiche e dello stesso numero?
Sapeva già che la sinistra avrebbe calzato stretto, ma, se fosse stato per lei, avrebbe voluto indossarne una per sorta, magari chissà, una rossa e una bianca, una trentotto e l’altra trentanove.
Già immaginava la rivolta delle scarpe e dei calzini, tutti in fila, da bravi soldatini. Finalmente non sarebbe stato obbligatorio più per nessuno il dover usare coppie di calzini e scarpe identiche.
Eccola qui, questa è Teresa, un Don Chisciotte in collant, pronta a combattere le sue battaglie contro i mulini a vento.
“Non lo si può fare”, le rivelò immediatamente la voce della sua coscienza, Mr. Duty, suo acutissimo e giudizioso preservatore.
Teresa pensò, già cercando un modo per convincerlo, che avrebbe potuto iniziare usando lacci di colore diverso sulle scarpe da jogging.
Ci si potrebbe abituare gradualmente alle diversità e al cambiamento, pensava tra sé e sé.
Tendiamo ad omologare tutto in classi e compartimenti stagni.
Tutto ciò che appare come diverso ci disturba e viene escluso, immediatamente giudicato non adeguato.
Si chiese qual era la soglia, il tratto sottile che divide la creatività, l’originalità quando trova espressione, dalla volgarità e dal brutto.
Qualcuno deve pur avere creato le regole del gioco, quindi, per quale motivo non dovrebbe essere possibile sovvertirle?
Pensò ad alcune opere provocatorie che aveva visto esposte alla mostra biennale di Venezia.
Ripensò al suo stupore per la forza della loro stranezza, ma di come poi, avendone compreso il messaggio implicito, avesse riconosciuto in loro il fine comunicativo e il loro acuto significato.
Già non pensava più alle scarpe, e nemmeno alle sculture, ma a quanto sia difficile operare o accettare cambiamenti nelle persone o, ancor di più, operare cambiamenti in noi stessi, modificare il proprio punto di vista.
Piccole scosse al nostro bel teatrino organizzato.
Teresa crede negli opposti, non sopporta le prese di posizione, né le persone inflessibili.
Crede nelle verità opinabili.
A lei piace l’idea che le nostre due parti del corpo non siano uguali, è convinta che questo dualismo, raffiguri la presenza di una nostra personalità più intima e chiaramente diversa da quella che manifestiamo apertamente; le piace anche pensare, che sia un po’ come avere una seconda possibilità.
Siamo unità di luce ed ombra. Vita e morte. Sì e no.
In noi c’è dualismo fin dall’inizio.
Per raggiungere un io completo dobbiamo conciliare le due parti, renderle apertamente manifeste in noi.
È anche convinta che, fino a quando negli uomini sarà presente questo dualismo, ci sarà possibilità di salvezza, la grandiosità della scelta.
Siamo opere d’arte un po’ bizzarre, che spesso non riescono ad esprimere il loro significato più vero.
Tutti meritiamo una seconda opportunità, ma siamo in pochi a coglierla.
E così, siamo asimmetrici, facciamo cose che, anche se non riteniamo intimamente giuste, per forza d’inerzia, le facciamo ugualmente, adeguandoci passivamente, perché così fan tutti, perché così si è sempre fatto.
Una parte di noi rimane fedele a se stessa, l’altra parte si adegua. Non sempre una parte ha la meglio sull’altra, spesso convivono in modo più o meno insofferente a seconda del livello di consapevolezza che abbiamo raggiunto.
Così inizia la convivenza interiore tra i vari inquilini che ospitiamo nel condominio della nostra struttura di personalità.
Mr. Duty è l’amministratore di condominio della struttura di personalità di Teresa e lei se lo raffigura come un omino fobico e nervoso, piuttosto ipocondriaco, uno che parla veloce e si lava spesso le mani, una specie di Woody Allen, con il senso dell’ironia.
Mr. Duty ha il compito di mantenere tutto com’è, secondo lui, qualsiasi cambiamento, potrebbe essere pericoloso o addirittura fatale. (Ora si sta gonfiando il petto, tronfio ed elegante, nel suo gilet scozzese con il cipollotto che pende dal taschino).
Non è facile ingannare Mr. Duty. Se si arrabbia, batte i piedi, gli viene una crisi isterica e poi, con una drammaticità alla Eleonora Duse, sviene.
È un omino piccolo e magro con gli occhiali, e per lenti ha due spessi fondi di bottiglie.
Molto sospettoso, annota tutto con calligrafia nervosa, su piccoli foglietti di carta che legge e rilegge per non rischiare errori, cattive interpretazioni o brutte figure.
Mr. Duty non si fida di niente e di nessuno, è convinto che questo sia l’unico modo per assicurarsi la sopravvivenza.
Occorre sempre gratificare ed ascoltare Mr. Duty, in fin dei conti, si impegna molto, affinché tutto resti al sicuro com’è.
Per Teresa, tutti vaghiamo per il mondo così, stratificati di giudizi, opinioni, false certezze e convinzioni, e ci capita spesso di dimenticare la fragilità della nostra condizione umana.
Non rammentiamo più quanto il nostro tempo sia prezioso, e la nostra parte asimmetrica è lì e ci guarda di sbieco.
Siamo sempre noi, con quella piccola ma sostanziale, consapevole o meno, diversità.
Equilibrare le due parti è un po’ come quando per curarti devi esporre apertamente la tua ferita.
Proprio così, ad essere visti nel proprio significato più autentico, si corre il rischio che ciò che andiamo a proporre, non sia necessariamente quello che gli altri cercano.
Si potrebbe fare la scoperta di non essere nemmeno come si vorrebbe essere, o come vorresti ti vedessero gli altri, oppure, cosa ancora più terrificante, si potrebbe anche scoprire di non piacersi affatto.
È per questo che preferiamo restare imbrigliati nella facile offerta, vendo-compro. Non parlo solo della nostra fisicità più o meno attraente, ma del nostro interagire con gli altri.
Siamo immersi nel gioco delle convenzioni, tra sorrisi finti, nel proporci e nell’usarci.
Ci muoviamo tutti attraverso la nostra bella parte lucida ed insapore, anestetizzando, oscurando le nostre ferite, confondendo il nostro autentico profumo, la nostra vera bellezza che dimora nella spontaneità, in quella totalità che unisce le nostre parti asimmetriche.
Per assurdo, malgrado quello che diamo a vedere, siamo tutti tesi indistintamente alla ricerca dell’altro, in quanto vorremmo essere visti ed amati profondamente, nel nostro essere autentico, nell’accettazione di quello che siamo per davvero; una tensione, un protenderci verso gli altri in una richiesta disperata ed assoluta, come quella di un bimbo che allunga le braccia verso la madre e che, nella sua purezza, interpreta il rifiuto ad essere preso in braccio, come un pericolo alla propria sopravvivenza.
Siamo bimbi disperati che si aggirano per il mondo.
Esporre l’altra parte equivale a manifestare quel bambino, in tutta la sua disperazione.
È qui che falliamo in gran parte.
È a quel punto che Teresa si rifugia nella magia dello scrivere.
Il tocco lieve della bacchetta, la penna, ed ecco che in una frase, può entrare il silenzio del mimo, tutta la sua verità espressa e non detta usando la voce.
Con la scrittura lei da senso al suo vivere; in una parola lei sente l’emozione vibrante delle lettere; scrivendo a lei pare di svelare la verità, attraverso la descrizione e cura del dettaglio, nel fluire delle parole, nello snocciolare la quotidianità che, sulla carta bianca, diviene straordinarietà.
Con la magia delle parole lei riesce a spostare i fiumi, illuminare i pensieri, e renderli limpidi e scorrevoli.
Attraverso la scrittura lei può accondiscendere alla magia, impolverarsi di polvere di fata e, restando salda nel suo significato più vero, presto o tardi, aggrappata stretta ad un aquilone, potrebbe volare.
“La vita vera però è un’altra cosa”, ribadì Mr. Duty, il suo asimmetrico inquilino, giudice integerrimo, protettore della sua mente. Il tempo rincorre tutti noi, tic-tac. Il coccodrillo arriva. Dobbiamo fare funzionare tutte le cose. (Dice lui, mostrando il suo buffo orologio a cipollotto).
Teresa reagisce come può.
È da questo che ha origine la sua insofferenza verso l’erudizione selettiva, l’arroganza accademica, il provincialismo ottuso ed il facile pettegolezzo.
Non parliamo poi, dell’attesa.
L’arte del saper aspettare a Teresa è incomprensibile.
Invidia nervosamente le persone che riescono a scoprire nell’attesa, il premio di apprezzare maggiormente la fonte del loro desiderio. Quando desidera, per lei non è così, lei diventa irrequieta nell’anima.
Il suo desiderio è talmente capriccioso, da convincerla a non desiderare più se deve prolungarne l’attesa.
In quel preciso momento il suo desiderare è necessità e mai più sarà per lei così intenso il piacere nel riuscire.
Arde e si rimescola torturandosi fino a che si placa esaurita, sia che l’abbia o meno ottenuta.
La fretta di vivere l’accompagna da mattina a sera, e non vuole più sprecare tempo a fare qualcosa che non le va; non ha più voglia di ascoltare persone che costruiscono le proprie certezze su strutture architettoniche più alte della Sagrada Familia.
Teresa vorrebbe, vuole, confrontarsi con anime gentili, con sorrisi compassionevoli e risate argentine, con lacrime di parole ed emozioni.
Quando si trova imbrigliata nella camicia di forza delle convenzioni o convinzioni, vorrebbe avere gambe migliori per scappare via, polmoni più grandi per riempirli di vento freddo.
È proprio allora che correrebbe a perdifiato e scompostamente, inciampando nei suoi stessi piedi fino a non poterne più.
È così che invece urla, urla in silenzio, incazzata di rabbia con se stessa, per non riuscire a rispettare la propria essenza, per non riuscire ad aspettare che le sue due parti raggiungano un sostanziale accordo.
Lei non è buona ad aspettare, ne è consapevole, ma sa anche che non esiste altra via percorribile.

[continua]


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