Bio Racconti Storie semplici di amore per la VITA

di

Cinzia Anedda


Cinzia Anedda - Bio Racconti Storie semplici di amore per la VITA
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 98 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6587-6251

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In copertina: «Silos» fotografia di Claudio Lepri


Questo libro presenta una serie di racconti, intitolati BIO perché parlano di VITA.
Ci sono i racconti autobiografici, episodi semplici che diventano straordinari perché vissuti intensamente e impreziositi da incontri ed esperienze. Ci sono le storie che narrano l’amore per la vita e l’impegno quotidiano per difenderla, e quelle che testimoniano come la nostra esistenza sia un mistero che ci riserva momenti ordinari e situazioni sorprendenti.
Tutti sono un’occasione per trasmettere un sentire comune a molti: l’amore per la vita, la presenza di Dio nello scorrere dei giorni, la speranza, la forza della preghiera, la potenza di uno sguardo che fa rinascere.

Introduzione

Quando ero bambina mi piaceva mettere su carta il resoconto giornaliero delle vacanze estive trascorse con i miei genitori e i miei fratelli. Conservo ancora quei semplici diari, cronache di viaggi remoti arricchite di disegni e narrazioni sulle usanze dei luoghi. Non pensate a chissà quali opere letterarie. Erano poco più che pensierini, come a quel tempo erano chiamati i temi nelle scuole elementari.
Poi alle scuole medie ci fu una svolta. L’insegnante di italiano dedicava un’ora a settimana a sviluppare il nostro senso critico e la capacità di giudizio con la lettura comparata dei quotidiani e, soprattutto, ci spronava a scrivere. Oggi sarebbe un Prof2.0 con tanto di blog e pagina Facebook. Nel 1975 avevamo a disposizione solo un quaderno che riempimmo di racconti, scritti da soli o a più mani, in cui noi stessi eravamo i protagonisti di improbabili avventure lette a voce alta in classe.
L’argomento non era importante. Fatte salve grammatica e sintassi, si poteva dare libero sfogo alla fantasia. Intrighi internazionali, storie d’amore, persino scopiazzature dai telefilm dell’epoca, in cui noi ragazzi ci sostituivamo al cast degli attori: l’importante era scrivere! Niente voti, solo puro piacere. Il riconoscimento più grande? Avere una parte nella storia scritta dal ragazzo più carino della classe.
Con me la cosa funzionò. Il piacere di mettere nero su bianco i fatti, i pensieri e le emozioni continuò anche negli anni del liceo e diede vita a una sorta di blog cartaceo con i post delle amiche più care. Un tesoro prezioso che conservo gelosamente.
Oggi, invece, i diari (sempre rigorosamente su carta) si sono fatti più seri e la condivisione avviene solo via e-mail con pochi amici fidati.
Come un diario, nel 2007, vide la luce il mio primo libro stampato: “La luce e la letizia”. Poco dopo, un’amica mi suggerì di partecipare a un Festival d’arti varie. Scrissi un racconto dal titolo “Amici per la vita” a partire da una vicenda realmente accaduta. Fu ben accolto e venne pubblicato nell’antologia del concorso.
Fu uno stimolo a continuare.
Questo libro presenta alcuni racconti che hanno partecipato a vari concorsi letterari, ottenendo riconoscimenti, e altri a cui sono particolarmente affezionata.
Li ho chiamati BIO perché parlano di VITA.
Ci sono i racconti autobiografici, le storie d’amore e quelle con un pizzico di mistero.
Tutti sono un’occasione per trasmettere ciò in cui credo: l’amore per la vita, la presenza di Dio nello scorrere dei giorni, la speranza, la forza della preghiera, la potenza di uno sguardo che fa rinascere.

Ringrazio i miei fidati critici letterari (mio marito Clau­dio, mia figlia Deborah, i miei amici Sandro, Enzo, Guido e Antonio) che hanno letto in anteprima le mie storie e mi hanno dato preziosi e sinceri suggerimenti. Nonostante ciò rimango l’unica responsabile di quanto raccontato.
Questa raccolta è dedicata a loro e a tutti quelli che hanno sostenuto la mia passione.
Grazie anche a tutte le persone che hanno condiviso un tratto di strada insieme a me. Se qualcuno si riconosce nelle vicende narrate, lo consideri un privilegio!


Bio Racconti Storie semplici di amore per la VITA


Fatti, personaggi e luoghi che appaiono in questo libro
sono di pura fantasia. Ogni riferimento a persone esistenti
o esistite e a fatti reali è da ritenersi puramente casuale.


Racconti autoBIOgrafici

Ogni vita umana è unica e irripetibile e come tale memorabile, da ricordare.
E dato che questo vale anche per la mia vita, ho deciso di raccontare alcuni episodi che ricordo con molto piacere. Brevi storie ordinarie che diventano straordinarie perché vissute intensamente e impreziosite da incontri ed esperienze che conservo ancora nel mio cuore.
Ricordi scolastici e lavorativi, vacanze indimenticabili, famiglia e amici, un pizzico di ironia et voilà, pronta la mia autobiografia… a puntate!
“Chi ben comincia” fa da cornice agli altri racconti di questa sezione, una serie di prime volte: il primo giorno di lavoro, la prima vacanza con Claudio, una delle prime trasferte all’estero. Sono storie che risalgono agli anni giovanili e che risentono dell’assenza di quelle preoccupazioni che sono tipiche dei genitori, cioè quelle con cui convivo adesso.
Per leggere le avventure più recenti, invece, avete due possibilità: aspettare pazientemente la prossima raccolta oppure seguirmi su Facebook.


Cascate di… imprevisti

Giugno 1991. Assunta da poco in una grande azienda di telecomunicazioni e subito spedita oltre oceano, in compagnia di cinque colleghi, a Columbus, Ohio. Obiettivo della trasferta: frequentare corsi di formazione e partecipare a riunioni di progettazione e test. Così, da lunedì a venerdì, realizzavamo la parte seria del nostro soggiorno americano. Sabato e domenica, invece, eravamo liberi di fare i turisti.
“Che ne dite se questo fine settimana andiamo alle Cascate del Niagara?”
La proposta di Laura piacque al gruppo. Partimmo di venerdì, nel tardo pomeriggio. Il programma prevedeva di fermarsi a dormire a Buffalo, vicino alla meta, e di utilizzare i due giorni successivi per le Cascate e la visita di Toronto, poco distante da lì.
Il viaggio fu alquanto noioso, nonostante le chiacchiere informali e l’autoradio sintonizzata su musica country anni ‘60. La nostra resistenza fu messa a dura prova da limiti di velocità molto bassi e strade rettilinee a sei corsie che tagliavano immensi campi di mais, con fattorie e villaggi Amish a fare da sporadico diversivo nel monotono panorama circostante. La vera sfida era non addormentarsi!
Dopo un tempo interminabile e almeno sei cambi alla guida – scusa buona per fare il punto con l’equipaggio dell’altra auto – arrivammo a Buffalo e iniziammo la ricerca di un albergo. Al primo tentativo ci offrirono le ultime due camere triple, ma essendo quattro donne e due uomini, rifiutammo. Mal ce ne incolse. Eppure noi ragazze avremmo saputo tenere a bada Alberto e Marco per una notte!
Ripartimmo. Gli altri numerosi tentativi in città diedero la medesima risposta: tutto occupato.
L’ennesimo rifiuto fu accompagnato anche da una spiegazione: a Buffalo, in quel weekend, c’era una fiera di non-so-bene-cosa, molto nota. Avremmo dovuto saperlo, secondo loro.
A quel punto, rassegnati di non trovare posto per dormire, ci fermammo a mangiare qualcosa.
Superate con fatica le recriminazioni su chi era colpevole di aver rifiutato le uniche stanze libere in tutta Buffalo, decidemmo di cercare posto fuori città.
Dopo cena rientrammo in autostrada e cominciammo a perlustrare le piccole cittadine in corrispondenza delle varie uscite. La stanchezza cominciava a farsi sentire e dopo un’ora di tentativi ci rendemmo conto di aver percorso la stessa strada almeno due volte. Anche il casellante ci aveva riconosciuto – eravamo gli unici in circolazione a quell’ora! – e si era sentito libero di prenderci in giro.
Pagammo nuovamente il pedaggio e, dopo qualche metro, Alberto fermò l’auto sulla corsia di emergenza. Ci guardammo in faccia e scoppiammo a ridere. La situazione era talmente incredibile che non si poteva far altro che prenderla con ironia.
“Ultimo tentativo” gli dissi indicando alcune luci lontane. “Altrimenti dormiamo in macchina.”
Le luci rivelarono la presenza di un motel, un edificio a un piano, lungo e stretto, su cui si aprivano una decina di porte. Sorgeva in un luogo che era quanto di più desolato potessimo immaginare, una sorta di deserto in cui rotolavano cespugli di arbusti ormai secchi. Se non fosse stato così buio, avremmo sicuramente visto il cowboy solitario protagonista dei film di Sergio Leone.
Parcheggiammo e ci guardammo intorno, perplessi. Nessuno ebbe il coraggio di rompere il silenzio.
Entrammo nella saletta che si vantava di essere la reception dell’albergo e chiedemmo tre stanze.
Purtroppo erano disponibili.
Il titolare, un uomo trasandato che aveva indugiato in pasti troppo calorici, prese le chiavi e ci accompagnò alle nostre camere.
Si fermò davanti alla numero 3, che avrei diviso con Laura, e infilò la chiave nella serratura. La porta di legno che doveva proteggerci per il resto della notte, mi fece venire in mente quella della capanna del porcellino Tommy. Qualunque lupo, al massimo con una spallata, l’avrebbe buttata giù.
Sopra la porta c’era una plafoniera che illuminava con fatica lo spazio circostante, ricoperta com’era da fitte ragnatele e da una gran quantità di falene e altri insetti non ben identificati.
L’uomo aprì la porta e accese la luce all’interno. In quell’istante tutto il bestiario, che si stava scaldando al calore della lampada esterna, ci precedette in camera e andò a distribuirsi sulle pareti e sui mobili.
La porta si richiuse alle nostre spalle, accompagnata dalla buonanotte dei colleghi a cui sarebbe toccata sorte analoga.

[continua]


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