Basta niente e niente basta

di

Christian Caldato


Christian Caldato - Basta niente e niente basta
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 58 - Euro 8,50
ISBN 9791259511737

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In copertina: immagine di Christian Caldato


Regole universali e saggezza popolare si incontrano in un’osteria e danno vita ad uno scambio tra complessità di ragionamento e quotidianità.
“Fu quella la prima volta che amai l’osteria. Me ne stavo abbarbicato su quel pavimento sconnesso, circondato da voci di persone che non conoscevo, tra quattro mura piene di quadri impolverati dei quali non riuscivo a capire nemmeno il significato (spiegatemi voi cosa diamine ci fa una cornice scura, con la scritta Charles in oro appesa subito sopra la porta di uscita), completamente dentro alle discussioni sgangherate della gente, con la convinzione che vi fosse un tesoro nascosto.”
Il risultato è un concentrato di pensieri che non siamo abituati ad utilizzare, ma che riescono a farci vedere il mondo in modo diverso.
“Ora che puzzo di alcool e vengo considerato un reietto, la società mi lascia pensare senza avere aspettative. E allora torno qui, dove posso fare, sbagliare, e non adeguarmi ai canoni che ho accettato nella più completa inconsapevolezza ma che oggi semplicemente mi sono reso conto che non mi piacciono. E non mi fanno stare bene. E allora torno qui a pensare che basta niente. E niente basta.”


Basta niente e niente basta


p> “Non tutto è un gioco. Ma quanto è bello
portare il gioco dappertutto?”

Ken Adams


CAPITOLO 1

Ora chiudi gli occhi e prova ad immaginare. Sei in un luogo silenzioso, seduto al tavolo. Di colpo qualcosa cade. A quel punto le persone mostrano chi sono. C’è chi sobbalza per la paura. C’è chi si sente colpevole e cerca attorno a sé un oggetto fuori posto, anche se il rumore l’ha percepito lontano anni luce. C’è chi cerca con gli occhi giudicanti l’oggetto caduto per poter folgorare visivamente la persona goffa. E c’è chi incurante delle conseguenze, cerca di capire dal rumore quale oggetto possa essere caduto. Io sono quello lì. No, non immaginatevi un asperger in stile “Rain Man”. Semplicemente mi piace l’idea di carpire un dettaglio, che ad altri può sfuggire, può non interessare, per il semplice gusto di poter postulare una mia personalissima interpretazione del futuro. A volte le informazioni non sono sufficienti, e si sbaglia. Ma qui non si tratta di indovinare. Qui si tratta di giocare.
Sono un oste, oggi. Lo so. L’oste, per come lo intendo io, dovrebbe essersi estinto con l’avvento dell’era moderna e della velocità (e della pulizia) ed essere diventato una figura mitica che non ha più un suo posto nel mondo (tipo il dodo, per capirci). Ma per qualche motivo c’è una parte della ruota di questo mondo che sembra girare meno velocemente. E io sono riuscito ad insinuarmi in quella fessura. Non lo so se è percezione o fisica. E soprattutto non so quanto potrà durare. Ma per ora funziona. E tanto basta. Un oste non pensa mai troppo in là nel tempo.
Sono un oste. Oggi lo so. Ma non mi è sempre stato chiaro. Il mio percorso è iniziato molto tempo fa, senza rendermi conto che fosse l’inizio di qualcosa. È iniziato quando ancora non sapevo cosa avrei voluto fare della mia vita (non che adesso lo sappia, ma è più facile ammetterlo per un tempo più lontano). Ed è successo nella mia prima settimana di lavoro da cameriere. Ero completamente ubriaco e maleodorante. L’odore non era mio (o meglio non solo), ma me lo ero ritrovato addosso. Questo è ciò che succede quando si punta lo sguardo in alto alla ricerca del pacchetto di sigarette nascoste da Pablo il cuoco, e non si nota il sacco di immondizia che si intrufola tra le gambe. Certo, il fatto che fossero le quattro di mattina, che avessi appena finito un turno di dieci ore e che avessi svuotato una bottiglia di Laphroaig (il mio primo amore), non possono considerarsi fattori secondari. Ma era soprattutto la voglia di sigarette a trascinarmi in giro per il locale chiuso, come fossi un burattino mosso da un apprendista cieco (mi succede sempre così con le voglie. Mi portano a spasso. E io abbocco, volentieri, facendo finta di avere il broncio).
Ma come avrei imparato negli anni a venire, il mondo raramente segue un filo logico, e quella volta decise di non sorprendermi. Nella caduta colpii involontariamente lo scaffale, e mi ritrovai in mano fondi di caffè, scorze di lime e un pacchetto di Camel blu. Solo quest’ultimo era caduto provvisoriamente dal cielo. Il resto evidentemente era il costo da pagare per potermi togliere le voglie. Avevo già tutto in testa. Era la mia prima sbronza con i nuovi colleghi e volevo mettermi in mostra. Nonostante si fosse aggiunto l’olezzo dell’immondizia al mio ciondolare, me ne tornai trionfante per aver trovato le sigarette. Mi sentivo a mio modo il re del mondo. Avevo tutto quello che desideravo in quell’istante: alcool, sigarette, e persone sconosciute interessanti con le quali condividere tutto ciò che mi veniva in mente senza il minimo freno. E nella convinzione di poter sembrare interessante rimasi. Perché al mio arrivo c’era già chi mi aveva egregiamente rubato la scena. Pablo, il cuoco. Altro che burattinaio cieco.
“Come cazzo puoi anche solo pensare che l’odio sia il contrario dell’amore? Si odia sempre per qualcosa. Puoi dire lo stesso dell’amore?”
Quelle parole mi si conficcarono nella testa con una tale violenza che ancora oggi quando le ripeto mentalmente, è rimasto appiccicato l’accento spagnolo. La cadenza, la dizione, tutto. Queste parole non potranno mai avere altro padrone nella mia testa. Odio Pablo.
“Prova a pensarci. Quando ti innamori è tutto un vortice. C’è un impulso che ti spinge a fare qualsiasi cosa pur di ottenere le attenzioni della tua amata. Non sai perché. È così, e basta. Se la amassi per un motivo potresti arrivare anche a controllare l’amore. Se controllassi il motivo potresti davvero convincerti di poter rimanere innamorato per sempre. E invece non funziona così (per fortuna). Non c’è un motivo per cui si ama. Ma con l’odio? Prova a pensare ad una persona che odi. Sempre, se approfondisci, e dico sempre, finisci per capire che non odi quella persona. Odi quello che rappresenta, quello che fa, e quindi in un secondo momento odi la persona. Ma questo significa che se controlli ciò che rappresenta, quello che fa, puoi controllare l’odio. Questo ti dimostra che amore e odio stanno su due livelli completamente diversi. Se fossero uno opposto all’altro, come un continuum che unisce un inizio e una fine, avrebbero quantomeno le stesse regole. Le stesse strutture. E questa cosa è più importante di quanto credi. Prova a pensare a tutte le volte che ti sei resa conto di amare e odiare contemporaneamente una persona. E di sentirti sbagliata per questo. Non eri tu ad essere sbagliata. Era sbagliata la convinzione che potesse essere ammessa solo una delle due opzioni.”
Rimasi in piedi, con la bocca semiaperta e il pacchetto di sigarette in mano. Pietrificato. Feci la figura del perfetto imbecille. Certo il lime misto caffè non aiutava. Ma non emisi una parola. Non una conferma (non serviva, comunque quello stronzo aveva già tutti gli occhi languidi addosso), non una critica (a volte le faccio, anche se non ce ne sarebbe bisogno, ma solo per il gusto di alimentare la discussione). Niente. Silenzio. E la cosa più incredibile è che mi passò perfino la voglia di fumare.
Fu quella la prima volta che amai l’osteria. Me ne stavo abbarbicato su quel pavimento sconnesso, circondato da voci di persone che non conoscevo, tra quattro mura piene di quadri impolverati dei quali non riuscivo a capire nemmeno il significato (spiegatemi voi cosa diamine ci fa una cornice scura, con la scritta Charles in oro appesa subito sopra la porta di uscita), completamente dentro alle discussioni sgangherate della gente, con la convinzione che vi fosse un tesoro nascosto. E capii che quando qualcuno apre il forziere, si distinguono immediatamente due categorie di persone. C’è chi subito risponde, cercando di spostare la conversazione ad un livello più semplice, in genere facendo ironia. Sono quelle persone che non hanno intenzione (e a volte i mezzi) per sostenere quel tipo di conversazione. Certo sembrano un po’ perle ai porci, però d’altro canto se si decide di fare questo tipo di arringa di fronte ad un pubblico ubriaco, non si può certo pretendere un contesto da premio Nobel. Li chiameremo “miscredenti”. E poi ci sono le persone che si fermano a pensare. Immagazzinano tutto. Accettano a testa alta di essere travolti. Spesso stanno zitti, perché serve tempo per esprimere un’opinione su un concetto che scardina vent’anni di convinzioni. Ma quando ti capita (e accade di rado) di incontrare qualcuno che con una frase ti cambia l’intera visione di pensieri che avevi considerato fondamenta, beh è giusto rendergli omaggio. E il mio modo di rendere omaggio, è pietrificarmi e rimanere con la faccia da ebete, ad incassare, cercando di trovare nuove caselle per codificare il mio mondo.
Mentre Pablo limonava la biondina.

[continua]


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