Opere di

Chiara Pellegrini


Con questo racconto è risultata 8^ classificata – Sezione narrativa alla IX Edizione del Premio di Scrittura Creativa dedicato a Lella Razza 2013


Lili Marleen motel

Ovunque si trovi, ogni mattina in cui apre gli occhi Lili Marleen si chiede come fosse prima, quando lei non c’ era, o semplicemente non c’ era perché stava dormendo. Poi, immagina come sarà la sua morte, come arriverà. Sarà dolorosa? Se ne accorgerà? Immagina i cuori e i volti delle persone che lo verranno a sapere, quella mattina o quella sera, i volti di quelli che la avevano amata, di quelli che la conoscevano soltanto, o magari la detestavano, anche senza un perché, o per uno dei tanti buoni motivi per odiarla. Nemmeno si è alzata dal letto che prova a immaginare come saranno tutte le notti e tutti i risvegli senza che lei possa più chiudere e aprire gli occhi sul mondo.
Così, molto semplicemente.
Tutto l’ infinito che è, non esisterà più. Dio, la musica. Quella… oh, mi seccherà proprio. Da… morire.
Una vertigine nauseabonda le attanaglia il cuore.
Non sopporta l’ idea di essere rinchiusa in una claustrofobica bara, molto sotto terra, cibo per disgustosi vermi. Anche finire crepitando in un forno non la entusiasma. Ma in fondo, pensa, se sei morto non puoi vivere quell’ orrore. E’ affascinata e spaventata dalla fragilità della macchina umana, come dalla sua resistenza. E’ incredibile come nonostante tutti i veleni che le si introducono, le droghe in genere, perpetui il suo magico moto di ingranaggi. E poi una inezia, e sei morto. In un essere umano sanissimo, può essere fatale anche soltanto un centesimo di secondo e pouf, è tutto finito. E’ spaventoso. Grottesco. Forse la nostra psiche è permeata dalla coscienza costante di questa realtà che viviamo o così ci pare di viverla, perché altrimenti in breve tempo saremmo tutti condotti alla pazzia. Sangue amaro per uno sterminio di cose senza importanza, o almeno di non vitale importanza. E’ per non pensare al resto.
Sta seduta fumando al tavolo della cucina. Tiene fra le dita una sigaretta, guardando il cielo ardesia al di là della finestra, nel silenzio dell’ appartamento vuoto. Le volute di fumo si sollevano sopra la testa mora, dissolvendosi verso il soffitto. E’ riuscita a dirgli addio. Un salvifico senso di sollievo. Quell’ uomo era entrato per caso nella sua vita, almeno fino a un certo punto. Sì. Fino a un certo punto. Certo lei non si rende conto, anzi, non vuole ammettere quella sua attitudine a voler rapire il maschio, per poi abbandonarlo a se stesso.
Ama, proprio così come in queste parole definisce, “far muovere una nazione intorno a me“.
Uomini che arrivano da ogni parte del Paese per incontrarla, che fanno centinaia di chilometri anche solo per un pomeriggio o una notte, o un’ ora con lei. La società autostradale le era debitrice.
Ma questo proprio non lo poteva più tenere con sé. La sensibilità estetica ed emotiva di Lili Marleen è quasi patologica. E non sopportava più di vederlo di fronte a sé. Non era solo il capriccio della cosa ottenuta che non voleva più. La faceva star male, guardarlo.
Bellissimi occhi verdi, ma hanno un’aria troppo sofferente. Non è questo a farle pena, sentimento antitetico all’ attrazione, quanto invece l’aura di mestizia. Uno sguardo sofferente può essere terribilmente affascinante, misterioso, nobile. Dignitoso. Questo le risultava perfino imbarazzante. Il suo cuore aveva certo un moto di comprensione, ma non bastava. Il volto dell’uomo aveva guance
curve e leggermente oblunghe, il suo naso non era abbastanza proporzionato; allora, lo preferisco sproporzionato in maniera a me congeniale. La sua peluria facciale troppo delicata, i pori della pelle troppo dilatati. C’ erano troppi “troppo“ dove non avrebbero dovuto stare.
I capelli portati senza la minima estetica, sebbene morbidi. Già da subito da una cosa aveva capito che non avrebbe funzionato (ma poi per un momento si è lasciata trasportare): le sue mani. Non sopporta di farsi toccare, vedere mani maschili brutte. Queste erano lievemente tozze, con le dita non troppo lunghe, ma la cosa peggiore erano le unghie, quelle di quel genere strette, incavate, che scompaiono nella carne della falangetta. Non puoi.
E poi non le sapeva neanche usare dentro al suo corpo, procurandole nervosismo misto a frustrazione. In compenso, aveva belle spalle e braccia, ben modellate, consistenti. Le piaceva toccarle, accarezzarle, stringerle. Il resto del suo corpo era piuttosto nella norma, solo un po’ tendente alla pinguedine, ma un accenno impercettibile quasi. Però, i suoi piedi erano terribili. E poi, cielo.. quelle orribili scarpe a punta!
Anche se fosse stato l’ Uomo Perfetto, Lili Marleen non avrebbe mai potuto avere un amore che portasse scarpe tanto spiacevoli. Tutto nato da una voce, che era sua ma poco aveva che fare col suo aspetto.
In breve tempo le si era legato a doppio nodo, gravoso, stancante. Il sesso. Ogni volta era umiliante. Le piaceva che il suo membro fosse ragionevolmente grosso, e, soprattutto, deliziosamente neutro. Sempre, anche dopo ore. Non dipende soltanto dall’ igiene personale, perché ci sono disgraziati che pur lavandosi molto, sono maleodoranti come un banco del pesce avariato, e non c’ è niente da fare. I migliori sono i circoncisi; l’ acqua e i liquidi non stagnano nel prepuzio, che genera odori tremendi. Lei era assolutamente clinica in questa selezione.
Comunque, quest’ uomo non riusciva ad avere un’ erezione decente con lei. Partiva benissimo ma si ammosciava subito, poi era un patema riuscire a fatica a scopare.
Accadeva perché Lili Marleen era per lui La Dea, ne restava soggiogato ma all’ estremo inverso. Creando sovrastrutture per essere meraviglioso per lei, perdeva l’ attimo; la frustrazione genera un circolo vizioso, infrangibile. Gli sorrideva sempre, era enormemente paziente, ma lo faceva solo per non arrecargli ulteriori danni psicologici a lungo termine, per quando avrebbe avuto altre donne. Mentre le ripeteva e giurava infinito amore, era lontana.
Fu chiaro in un giorno qualunque passato in un motel molto elegante e riservato, dalla tarda mattinata a metà pomeriggio. Un edificio anonimo in mezzo al niente però proprio parallelo alla strada principale di grande scorrimento. Dalle tende abbassate sui box che affacciavano direttamente alle porte delle stanze, si intravedevano gli pneumatici di parecchie vetture. Per entrare occorreva soltanto passare con la macchina davanti ad una guardiola tipo fast food ma oscurata, solo le mani dell’ uomo là dentro erano visibili. Con rapidi gesti prese loro i documenti e rilasciò la tessera chiave.
Si guardarono scopare nell’ enorme specchio barocco a parete. Lei finì sotto. Una goccia di sudore gli cadde dalla fronte centrandole esattamente la pupilla, spalancata su quelle di lui. Come se una onda fredda immobile le si riversasse dentro, dall’ occhio come da un imbuto. Non un minuto di più. Collerica, si alzò e in bagno si lavò ciò che di quel sudore maledetto le era restato addosso.
Lo obbligò con poche dure parole a lasciare la camera.
Se ne andò. Insisté per scendere dalla macchina lasciandolo proseguire, camminando lungo un grande viale pieno solo di lampioni e auto e il cuore le batté un po’, e se da qui cambiasse tutto? Faceva freddo. Solo il tacchettare degli stivali le dava sicurezza, ora. Sì. Ogni cosa sarebbe andata bene.
Per cose come quella si sentiva senza scrupoli e lo era, ma peggio, bruttissima dentro. Invece era bellissima. Onesta emotivamente.
La compassione non fa lei. Non fa per il genere umano, veramente.
Lili Marleen mai uguale a se stessa eppure tanto archetipo.
Impregna della sua diversità ogni cosa viva o inanimata. Questo appartamento. Le vie della città dove vive. Delle città dove è vissuta, per un giorno o per un mese. Di ogni luogo e cosa dove c’ è stata la sua persona. Si mise a pensare.
Decine e decine e decine e ancora di persone stanno guidando. La maggior parte da sola. Sfrecciano nel buio lasciando come una coda di piccole scintille infuocate a illuminare l’ asfalto.
Fumano, guidando piano. Ascoltano distrattamente musica o semplicemente è soltanto accesa la radio, ma i pensieri altrove. Qualcuno è un tantino brillo. Uomini, donne, donne, uomini, indistintamente. Indifferenti a tutto. Pervasi. Intrisi fin dentro alle ossa, dentro ogni molecola, di quel poco che ora può interessare, svogliatamente; il sangue straripante come il cielo nero è trapunto di stelle d’ argento.
I neon bianchi e verdognoli di certi autogrill.
Vuoti. I cessi vuoti. Solo rare presenze, scrutandosi a vicenda. Potrebbe esserci la possibilità di un assalto per bucare solo per un momento una vita non tua e vedere cosa ci sta dentro. Ma la diffidenza ha la meglio. La puzza e il freddo non aiutano.
Risali in macchina e guidi dimenticandoti quasi perché, dove. Il cesso non lo vedi neanche più. L’ autogrill, c’ era?
C’ è solo quel profumo incantevole che ti sale dal collo, lì dove è rimasto. Che forse esiste solo in un tassello della tua memoria.
Io questa chimera la devo proprio uccidere. Muori. Voglio vedere il suo sangue nero e denso rapprendersi per poi polverizzarsi e sparire per sempre.

Chiara Pellegrini



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