Amore nella bufera

di

Bruno Longanesi


Bruno Longanesi - Amore nella bufera
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 618 - Euro 20,00
ISBN 978-88-6587-3281

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In copertina: The White sea © Vladimir Sklyarov – Fotolia.com


Prefazione

Il romanzo “Amore nella bufera”, grazie alla mano sapiente di Bruno Longanesi, riesce ad affascinare ed incantare dalla prima pagina all’ultima, in un susseguirsi effervescente di avvenimenti legati al periodo della seconda guerra mondiale, miscelando colpi di scena e sorprendenti rivelazioni che alimentano la “verità” di un grande amore.
“Amore nella bufera” è un romanzo coinvolgente che pare la sceneggiatura di un grande film, come appunto si evince da alcune note dell’Autore, facendo riferimento ad un film prodotto negli anni Cinquanta.
Il mirabolante racconto ha inizio con la figura del vecchio ammiraglio Luigi che, nell’ultima stagione della vita, si trova nello studio di casa, ormai diventato il “suo” mondo dopo aver lasciato la Marina Militare: il caso strano è che, proprio lui, se non avesse intrapreso la carriera militare, avrebbe desiderato fare l’artista, anzi, il pittore e, invece, era diventato un grande “comandante”, un eroe di guerra, un “predatore dei mari” seppur non aveva mai dimenticato di porre in primo piano, in ogni azione della sua vita, l’onore.
Ecco allora che, nel microcosmo che si è costruito intorno, tra solitaria condizione esistenziale e scelta volontaria di rimanere scapolo, dopo le azioni coraggiose e le gesta gloriose, la sua mente ed il suo cuore desiderano ardentemente ricordare le vicende della vita intensamente vissuta, le numerose vicissitudini affrontate ed i forti sentimenti che hanno lasciato un segno incancellabile nel suo animo.
Il flashback ha inizio con le vicende della seconda guerra quando, il 18 luglio del 1940, avviene l’incontro con la “meravigliosa ragazza” Dana: lui si innamora e continua ad amarla nonostante il fatto che i Servizi dell’Intelligence lo avessero avvertito e messo in guardia con un messaggio che non lasciava adito a dubbi: “Attento a Dana”.
Il suo amore era stato più forte d’ogni avviso di pericolo, oltre ogni evidenza, al di là della possibilità di un tragico epilogo: la sua volontà era credere nell’amore di Dana perché era convinto che lei avesse una motivazione o una spiegazione alla sua scelta e, alla fine, si scoprirà il vero motivo che l’aveva obbligata a diventare un agente segreto e, poi, quasi come un fulmine a ciel sereno, a scomparire improvvisamente dalla vita del “suo coraggioso comandante”.
Nel preciso recupero memoriale emerge prepotente la storia travagliata ed affascinante d’un uomo, come a riprendere in mano un simbolico diario scritto nella sua mente per lunghi anni, che lo condurrà, infine, all’immagine, pervasa d’amore, dell’amata Dana e alla forza unica e assoluta del loro grande amore.
Nel momento dell’ultimo abbandono, le esperienze vissute e le vicissitudini affrontate durante la guerra, nonché le insidie di quel tragico e doloroso periodo che ha visto prevalere il destino, cinico e baro, vengono annientate dal semplice ricordo di quell’immenso sogno d’amore per una donna che lo aveva salvato.
Bruno Longanesi racconta in modo superbo, sorprendendo con una scrittura incalzante e sempre attenta a mettere sul piatto della bilancia la continua aspettativa per ciò che potrà succedere nella pagina seguente.
Nell’intreccio della trama, Bruno Longanesi miscela sapientemente gli ingredienti di una narrazione che riesce ad amplificare le emozioni e ad esaltare la passione della scrittura in un vortice inebriante.

Massimo Barile


Amore nella bufera


Ai miei genitori


“Ho scoperto il segreto della vita
meditando sull’amore di una donna…

(T. Gautie)


I RICORDI

Al vecchio Ammiraglio piaceva molto riposare, al pomeriggio, seduto sulla poltrona posta vicino alla sua scrivania.
Questo scrittoio era collocato al centro di una vasta stanza luminosa, con un’ampia vetrata che immetteva in un terrazzo dal quale si poteva ammirare un giardino, ben curato, pieno di piante ad alto fusto ed un lungo tratto di litorale.
Alcune palme e un pino marino davano un aspetto caratteristico marittimo e, nelle giornate estive, procuravano un refrigerio e un luogo dove sostare su una panchina, all’ombra, per la lettura del giornale.
Aiuole a disegno, riservate per la coltura di fiori prettamente di riviera, rendevano grazioso questo minuscolo parco, fiorito, a vivaci colori, per buona parte dell’anno.
In passato, quando era ancora in buone condizioni fisiche, trovava piacevole l’arte e la tecnica relativa alle coltivazioni e di­stribuzione delle piante ornamentali del giardino.
Vi faceva brevi passeggiate, soffermandosi ad ammirare pianta per pianta.
Ma, ormai, era costretto, ad osservare il “suo parco”, come chiamava scherzosamente, quel breve spazio di giardino, dal suo terrazzo.
Nelle giornate tiepide la vetrata veniva spalancata permettendo di assaporare il brusio delle onde che, frangendosi ripetutamente contro gli scogli, producevano un rumore gorgogliante, continuo e ritmico. Uno sciabordio insistente del mare, una melodia per i ricordi e una ninnananna per i momenti di siesta.
Attraverso la vetrata, l’ammiraglio, amava anche guardare, ad ore diverse, il cielo all’orizzonte. Gli piaceva ammirare lo splendore antelucano dell’alba quando il cielo, ad oriente, al cessar della notte, incominciava a biancheggiare e l’aria incominciava a vibrare: stava per iniziare un nuovo giorno!
Poi, si intratteneva per vedere l’aurora con le sue gradazioni cerulee e infine, quando la giornata era serena, lo spuntar del sole, dopo una esaltante esplosione di colori dalle varie gradazioni. Queste varietà di tinte facevano da fondale alle montagne che circondavano il golfo e che apparivano all’orizzonte avvolte da una luce prima rosa, poi di un arancio sfavillante. I colori avevano sempre attratto la sua attenzione ed elaborato in lui un concetto di connessione cromatica che lo avvinceva.
Spesse volte, nella sua esistenza, aveva pensato che, se non avesse intrapreso la carriera militare, avrebbe desiderato fare l’artista, il pittore più precisamente.
Quando la giornata non era limpida, allora il suo interesse era rivolto alle nuvole, scoprendo ogni volta, l’originalità delle loro forme; il loro rincorrersi; l’addensarsi nel veleggiare continuo; i loro giuochi dalle strane forme; il loro alternarsi in rabbruscate e squarciate per risolversi, spesso, in pioggia.
Quante volte, sulla “tolda” del suo sommergibile, aveva ammirato quei fenomeni della natura e ne aveva tratto previsioni, auspici e considerazioni, per gestire la navigazione del suo mezzo subacqueo durante il decorso della giornata.
Anche le tinte violente del tramonto lo affascinavano pur procurandogli malinconia e mestizia. “Ecco un altro giorno che se ne va…” pensava e concludeva amaramente: “…uno in meno nella conta!…”
Il passare dei giorni era regolato da impulsi e da stimoli diversi rispetto al passato. Il “tempo” aveva assunto un valore particolarmente prezioso perché aveva la certezza che, ormai, gli era stato contingentato, data l’avanzata età.
Pensava sì alla morte, ma come un avvenimento naturale differito nel tempo, non come un fatto traumatico dal quale doveva preoccuparsi e difendersi.

Quello “studio” era tutto il suo mondo da quando aveva abbandonato l’attività di alto funzionario della Marina Militare.
Lo spazio della stanza e le pareti erano adornate da documenti, attestati, diplomi e cimeli, vere e proprie reliquie, che ricordavano fatti e avvenimenti, molti eccezionali, della sua lunga carriera marinara.
Una lunga vita, perché l’Ammiraglio Luigi L. stava per compiere il novantesimo anno di età.
In una piccola vetriera, dentro ad un minuscolo astuccio foderato di raso, il distintivo dei “sommergibilisti”, che rappresentava un delfino contenuto in un cerchio dorato:
Su quel distintivo, i sommergibilisti che avevano operato in Atlantico, avevano sovrapposto una “A” in smalto rosso, contrassegno delle battaglie combattute in quell’oceano; Lui, quella “A”, se l’era meritata.
Vetrinette, cofani, armadietti, scaffali e quadri rappresentavano l’arredamento.
In alcune “bacheche” spiccavano medaglie al valore militare: italiane e tedesche e anche una inglese, sì, una medaglia al valor militare inglese e cioè dei… “nemici”, degli avversari sul mare, per un atto eroico compiuto a favore di un equipaggio britannico, da lui prima affondato e poi, contravvenendo agli ordini militari superiori, portato in salvo cavallerescamente, mettendo coscientemente a repentaglio la propria vita e quella degli uomini che erano alle sue dipendenze.
A fine guerra, la sua popolarità risultò notevole: venne considerato un “eroe di guerra”, uno dei più grandi “predatori dei mari”, un “valoroso comandante di marina.”
Gli elogi vennero ripartiti, in parti uguali, al suo coraggio e al suo “contegno cavalleresco” durante un periodo particolarmente violento determinato dagli eventi bellici.
Di questo ne andava fiero ed orgoglioso, specie del secondo riconoscimento che lo poneva su un piano morale di signorilità in un mondo materializzato.
Comportamento generoso e leale, che era innato nel suo temperamento, ma che aveva affinato e rafforzato durante gli anni di Accademia quando, unitamente agli studi tecnici, gli venne impresso nella mente che un Ufficiale di Marina deve essere “un gentiluomo di liberale educazione, di raffinati costumi, di scrupolosa cortesia, dotato del più elegante senso dell’onore personale.”
“Si deve salvare innanzitutto l’onore e poi la vita!” usava ripetere spesso.
E ricordava anche un altro insegnamento che aveva letto su un vecchio manuale, trovato nella biblioteca dell’Acca­demia, e cioè che “un uomo di mare deve essere capace di non riferire ad alcuno, neppure alla donna amata, un segreto militare…”
Ma su questo “concetto”, ogni volta che lo rammentava, con un sorriso malinconico, usava ripetere: “Su questo punto non sono stato molto ligio ai “Regolamenti”… ma se ho trasgredito, non mi sento in colpa… ne valeva la pena!”
E i suoi occhi si inumidivano…
Aveva confidato un “segreto” ad una donna, alla sua donna, come supremo atto d’amore, ma non aveva provato mai rammarico o rimorso.
Aveva rischiato molto, per sé e per il suo equipaggio, in pieno conflitto, ma la sua coscienza l’aveva sempre assolto in tutti gli anni successivi…
Si considerava un uomo di “guerra” e uomo di “pace”, contemporaneamente.
Usava spesso ripetere il motto di un poeta francese: “Odio la guerra, ma amo chi è costretto a farla…”
Quantunque fossero notevoli gli anni, era pienamente nelle sue facoltà mentali, lucido, perspicace, chiaro nell’esposizione delle sue idee.
Aveva ancora una intensa attività intellettuale; leggeva molti giornali, libri, memoriali; si appassionava della vita politica, seguiva con un certo interesse anche i principali avvenimenti sportivi, ma, per un paio di ore al giorno, non rinunciava a “passare in rassegna” il suo “Vittoriale” personale, dove erano copiosamente raccolti gli oggetti che ricordavano il suo glorioso passato di uomo d’armi.
Un passato che lo aveva visto in uniforme militare dal momento del suo ingresso all’Accademia di Marina di Livorno, fino al momento della sua “messa a riposo”, col massimo grado di “Ammiraglio d’Armata della Marina Militare.”
Alto, di statura nettamente superiore alla media, magro, diritto nella persona, il portamento e il piglio austero dell’uomo abituato a dare ordini, la testa calva e una ragnatela di rugosità che davano al suo viso un aspetto autoritario più che di avvizzimento.
Quando sorrideva, ai lati della bocca si formavano due increspature che addolcivano i lineamenti marcati del volto, ingentilendo la sua espressione e suscitando, negli astanti, uno spontaneo impulso di attraente e accattivante simpatia.
Questa generale inclinazione, nel giudicare gradevole e piacente il suo viso, era completata da un naso sottile, leggermente aquilino che conferiva un aspetto di maschia virilità, da due grandi occhi castano chiaro, limpidi, contornati da ciglia vibratili, sottili, a forma di filimenti e dalle sopracciglia cispose.
Le sue caratteristiche fisiche si completavano con tutto l’atteggiamento della sua persona: nel camminare misurato a passo lungo e lento, nella gesticolazione moderata e appropriata, nella modulazione della voce, con la caratteristica di portare la tonalità da una nota all’altra senza interromperla, un garbato modo di interloquire, un vestire sempre elegante e con decoro, senza stravaganze o eccentricità.
Aveva ancora quel notevole portamento e quei lineamenti che attribuiscono ad una persona la qualifica generalizzata di “bell’uomo” con una particolare distinzione. Non era difficile immaginarlo, con il cappello pieno di fregi e di ornamenti dell’Ufficiale superiore della Marina Militare e con quello sguardo penetrante, sulla plancia di comando del suo sommergibile; anche a quell’età avanzata avrebbe saputo suscitare rispetto, deferenza e stima come ai bei tempi, quando il suo equipaggio, nel periodo bellico, lo onorava di una carismatica venerazione.
Da giovane, nella sua elegante divisa da “cerimonia” di Ufficiale superiore, aveva goduto dell’attrazione e degli sguardi di tutte le donne: era una “preda” per tante ragazze che allora venivano definite “ereditiere.” Era considerato uno “charmeur”, un seduttore!…
Ma l’Ammiraglio era scapolo, non per naturale propensione, ma per una deliberata, arbitraria e meditata scelta!…
Una scelta determinata da una serie di fatalità e da un profondo sentimento…

Una vita lunga la sua e piena di avvincenti episodi.
Era nato, praticamente, a inizio del Ventesimo secolo, in un piccolo paesino di provincia, nella Pianura Padana, fra le colline e il mare.
Ci teneva molto al suo luogo natale: intimamente era uno “sciovinista.”
Il padre, notaio, avrebbe voluto avviarlo alla stessa professione.
Questa scelta avrebbe permesso di continuare, in fondo, la tradizione di famiglia in quanto, anche il nonno e il bisnonno, erano notai o meglio, come si diceva allora nel linguaggio comune: “notari”.
Ma il suo carattere dinamico, la sua passione per l’aria libera, la sua ammirazione per il mare, lo convinsero che non era il “tipo” adatto a svolgere quella funzione pubblica col compito specifico di ricevere atti fra vivi per regolarli dopo la morte, come atti di natura testamentaria, attribuire loro pubblica fede, rilasciare copie, certificati o estratti.
Non si sentiva attratto da quella professione che avrebbe dovuto espletare fra quattro mura e a contatto con “scartoffie”, noiose pratiche e litigiosi parenti ereditieri.
“Ragazzino”, visse la drammaticità della Prima Guerra Mondiale, ma nella tragedia, fu attratto da alcune imprese “marinare” italiane, come l’“impresa di Premuda”, e la “beffa di Buccari”, tramandate per l’audacia di pochi uomini che, a bordo di minuscole motosiluranti, riuscirono ad affondare la corazzata “Santo Stefano”, ammiraglia dell’“Imperiale e Regia Marina Austro-Ungarica”.
Le imprese di Nazario Sauro, Fabio Filzi e Damiano Chiesa, eroi della Marina Italiana, esaltarono la sua fantasia e, pochi anni dopo, convinse il padre ad iscriverlo all’“Accademia Militare di Marina” di Livorno.”
Voleva diventare Ufficiale di Marina e, in modo particolare, voleva operare nella nuova specialità dell’epoca: i mezzi “subacquei di attacco”, i “sommergibili.”
Terminati gli studi dell’Accademia Militare, fra i primi del suo “Corso”, uscì come Ufficiale, col grado di “Guardiama­rina.”
Primo “gradino”, di una carriera, che lo porterà al vertice della gerarchia militare
Durante gli anni del “Corso Accademico”, in Italia, si era instaurato un Regime politico di natura dittatoriale: il “Fascismo”, con a capo Benito Mussolini.
La “dottrina” del fascismo conquistò l’intera Nazione e, buona parte della gioventù dell’epoca, ne fu attratta.
Lui non ne fu particolarmente entusiasta.
In genere, l’“ambiente militare”, in modo particolare la “Regia Marina”, non partecipò a quest’opera di “fascistizzazione”, pur accettando certe regole non eludibili.
Il giovane Guardiamarina non si dimostrò come un oppositore, questo no, ma nemmeno un convinto assertore.
Accettò, come molti, la situazione adattandosi senza troppa convinzione.
Il “catechismo” fascista stava coniando “slogans” propagandistici per rendere “più maschia e combattiva la gioventù italiana, erede diretta degli antichi Romani!”…
L’“imperativo categorico”: “CREDERE-OBBEDIRE-COMBATTERE” era subentrato nelle Forze Armate e, di conseguenza, anche nella Marina, dove il giovane “Guar­diamarina” prestava servizio.
Il clima di euforia che aveva contaminato l’Italia, anche a seguito di due interventi armati con esiti vittoriosi come la “Guerra di Spagna” e la conquista dell’“Impero” con l’annessione dell’Etiopia, erano serviti a “galvanizzare” i giovani dell’epoca.
La sua “professione”, ormai era quella “Militare” e, di conseguenza, fu attratto da questa contagiosa esplosione di ottimistico amor Patrio.
Poi, l’Italia fu coinvolta nella “Seconda Guerra Mondiale” e fu costretto a fare il suo dovere di soldato, come Ufficiale di Marina: “Comandante di sommergibile”…
E la sua vita, negli anni successivi, la passò al servizio della sua Nazione.

Quel pomeriggio, inizio della nostra “storia”, il vecchio Ammiraglio, adagiato sulla poltrona della sua scrivania, guardò attraverso la vetrata chiusa, verso l’esterno: il cielo era grigio, minacciava pioggia.
Aveva sempre amato il cielo limpido, il sole.
Pur ammirando le loro conturbanti evoluzioni, considerò le nuvole, che lo offuscavano, come delle intruse: toglievano lucentezza, chiarezza, trasparenza alla giornata.
Un altro motivo, che lo portava alla malinconia, era il fatto che la chiusura dei vetri della veranda non gli permetteva di ascoltare l’abituale sciabordio del mare; quello sciaguattare insistente delle onde contro gli scogli, non veniva percepito quel giorno dal suo debole udito e il fatto procurava in lui un senso di tristezza.
Comunque, era il momento della giornata che dedicava, solitamente, al suo passato e anche quel giorno non volle sottrarsi a quello che definiva un… “piacevole impegno”!
Il “passato”! Aveva una sua teoria sul tempo decorso che sintetizzava in questo concetto, a lui tanto caro: “Se l’avvenire dell’albero e il suo progresso verso l’alto sono sopra la terra, le radici sono sotto la terra… E ciò significa che l’avvenire è alimentato dal “passato”… Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono persone che seminano non sulla terra ma sull’asfalto!”
Tutta la sua giornata era pervasa dal passato che lo aveva visto protagonista.
Aveva una grande capacità di estraniarsi dalla realtà che lo circondava per “tuffarsi” nei meandri della memoria, per ridestare in sé le immagini delle cose viste o sentite e delle idee acquisite in quegli avvenimenti sempre più lontani.
In questo quotidiano appuntamento dei ricordi, dimenticava volutamente il presente che lo circondava, per immergersi nel passato, un passato che aveva lasciato tracce indelebili, indimenticabili nel suo animo.
Socchiuse per un attimo gli occhi, concentrò la mente per inserirsi nei fatti antecedenti quegli episodi che avevano caratterizzato la sua vita.
Riuscì ad inquadrare, nel “mirino” dei ricordi, i fotogrammi delle vicende che erano rappresentati da tutti quei cimeli.
Ma il richiamare alla memoria tante circostanze, ravvivare tanti episodi, se procurava in lui una certa soddisfazione, gli procurava, anche, situazione di disagio: troppi eventi si addossavano creando una sensazione di fastidio, di sovrapposizione di immagini, di pensieri che, spesso, lo distoglievano dal suo scopo.
In questi casi preferiva, per “programmare” la reminiscenza voluta, servirsi dei diari personali nei quali aveva registrato i “fatti” capitati ogni giorno.
Quei diari erano una specie di piccola biblioteca che conservava gelosamente nei cassetti. Non erano i “diari di bordo” che doveva necessariamente redigere, giornalmente, per regolamento militare essendo il responsabile della sua unità navale, e che avevano valore ufficiale come storiografia del sommergibile.
La pignoleria e la meticolosità erano state sue peculiari caratteristiche.
Aveva anche la capacità di saper cogliere l’essenza delle cose, e non ciò che in esse è accessorio, complementare e superfluo.
Erano appunti di fatti salienti, legati alla sua vita personale, privata e sentimentale.
Annotazioni, precisazioni, abbozzi di note per aiutare la memoria ad argomentare un fatto, ad inquadrare una situazione, per conservare e ridestare le immagini di cose viste o sentite e delle esperienze acquisite.

Riaprì gli occhi, inforcò lentamente gli occhiali e li pose nella sua abituale posizione sulla punta del naso. Una posizione un po’ strana ma che, nonostante la sua miopia, gli permetteva una nitida visione della scrittura.
Chiese un caffè alla sua governante, un “caffè-caffè”, precisò, cioè una “una bevanda fatta apposta per chi la comanda”, usava dire, ben sapendo che la donna era in grado di soddisfarlo in questo piccolo vizio, dosando bene tutti gli ingredienti.
Sorrise al pensiero che la governante era anche sua complice nel tacerne le abitudini al dottore, in quanto questi consigliava un consumo molto modesto dell’infuso.
“Povera donna… – pensò – quanto mi è devota… quanta pazienza deve avere con me… mi tratta con affettuosa premura e con tanta tenerezza… Si preoccupa di ogni cosa per quel che riguarda la mia salute. Ogni mio acciacco la preoccupa… Io devo stare attento a denunciarne l’esistenza, altrimenti si mette subito in allarme. Oggi, ad esempio, ho un insistente male al braccio sinistro… un noioso male ostinato che mi perseguita da stamattina… Guai a farne parola con lei… a quest’ora sarebbe già arrivato il medico… Non capisce che, alla mia età, ogni giorno spunta un nuovo inconveniente. Se dovessi dar retta a tutti i dolori dovrei ospitare in casa mia il dottore…”
In attesa che arrivasse la donna con la bevanda aromatica, staccò il telefono: non voleva essere disturbato in quei momenti di solitudine, tuffato nel passato, anche perché nella sua mente aveva inquadrato, con precisione, gli avvenimenti che, in quel preciso giorno voleva rivivere, il più possibile, nei suoi ricordi.
Il suo sguardo, acuto e penetrante, sfiorò con tenere occhiate ogni oggetto custodito, abbinando ad esso avvenimenti, episodi, azioni e rinnovando, insieme ai ricordi, i rimpianti, i rammarichi, le gioie e le tristezze.
Il balenio dei suoi occhi si tramutò in uno sguardo amorevole, languido, tenero e commosso, quando si soffermò su un astuccio di piccole dimensioni, posto sulla scrivania.
Accarezzò, con la mente, l’immagine che si era formata nella sua pupilla alla vista di quanto vi era riposto come un gioiello in uno scrigno: un bottone in similoro, con i fregi della Marina Militare e che, in gioventù, aveva ornato la giacca della sua divisa, quella uniforme che indossava in occasione di “quella” cerimonia ufficiale.
Quel piccolo disco di metallo, in lega di rame e zinco, dal valore commerciale nullo, aveva un valore incommensurabile per lui, aveva segnato la sua esistenza, aveva condizionato la struggente svolta sentimentale della sua vita.
Quante volte il suo sguardo si era posato su quell’oggetto e ogni volta la sue corde sentimentali erano state percosse da brividi tormentosi; sentiva aumentare le pulsazioni dell’onda sanguigna contro le pareti delle arterie e percepiva il battito intenso, accelerato, martellante del cuore.
Come nelle altre occasioni percepì la stessa agitazione, gli stessi stimoli, le stesse sensazioni patetiche e malinconiche, tenere, romantiche e affettuose!…
Quell’apparente, insignificante “cosa”, rinchiusa in quel piccolo astuccio, era il ricordo angoscioso ma intensamente passionale di “Lei”!
Già! Lei! Tutto il suo “rituale” di ricordi veniva evocato per far da contorno agli argomenti principali e far convergere e confluire quegli episodi su “quella donna” e i momenti felici trascorsi insieme…
Non riuscì a staccare facilmente gli occhi da quella scatoletta internamente foderata di raso rosso; quel dischetto metallico, posto al centro del piccolo cofanetto, calamitava la sua attenzione e lo invitava alla rievocazione.
Sospirò a lungo.
Si tolse gli occhiali che aveva appena inforcato: era un segno evidente di nervosismo, che lui ben conosceva anche se era incapace di controllare quel meccanico movimento.
Ma era un nervosismo particolare il suo, dovuto a una forte eccitazione improvvisa, in quanto non aveva i nervi facilmente irritabili.
La sua esistenza, la lunga militanza come “comandante” nella Marina Militare, erano state caratterizzate da ragionate riflessioni e da un ferreo autocontrollo.
Quell’eccitazione, che compariva ogni tanto da un po’ di tempo, la attribuiva a uno degli effetti negativi della età avanzata.
Inconsciamente si passò una mano sulla fronte come per aiutare materialmente ad allontanare certi pensieri tristi e tormentosi.
Stette qualche minuto in religioso silenzio come per dare libero sfogo alle sue riflessioni ed assaporare il piacere che queste davano alla sua mente.
Sì… forse era una giornata confacente ai ricordi; infatti gli capitava spesso di riscontrare giornate più favorevoli a memorizzare il passato.
Riprese in mano gli occhiali da “vista ravvicinata” e, dopo averli guardati in controluce per controllarne la nitidezza, li inforcò decisamente.

Incominciò così una delle sue solite “escursioni” mentali, una scorreria nel passato,“che amava ripercorrere per alimentare il “presente” esplorando le “radici” della sua vita trascorsa sulla terra e sotto l’acqua.


[continua]


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