Jimmy Forester e il drago dagli occhi gialli

di

Augusto Civati


Augusto Civati - Jimmy Forester e il drago dagli occhi gialli
Collana "I Platani" - I libri di Avventura
14x20,5 - pp. 144 - Euro 13,50
ISBN 978-88-6587-6237

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In copertina: Glowing eyes @ glite – Fotolia.com


Quando si è giovani, l’incoscienza ci porta spesso a compiere azioni a volte molto pericolose.
L’euforia e l’amore per l’avventura induce i nostri protagonisti a compiere un viaggio rischioso su di un’isola affascinante, ma piena di misteri.

Jimmy, Andrew, Bob e Sue, quattro ragazzi in cerca d’avventura, decidono di andare ad esplorare l’isola proibita, posta nelle vicinanze di Solary Village, un villaggio situato sulla costa occidentale dell’isola Maui, nelle isole Hawaii, che si affaccia sull’Oceano Pacifico.
L’isola proibita, secondo la leggenda, è la dimora di Drakar, un drago che emette, dai suoi occhi, un raggio luminoso in grado di distruggere intere tribù di guerrieri.
Riusciranno i nostri avventurieri ad esplorarla per trovare i tesori che, sempre secondo la leggenda, sono nascosti nella caverna del drago, e superare il suo maleficio?


Jimmy Forester e il drago dagli occhi gialli


a mia moglie Giusy
e a mio figlio Andrea


CAPITOLO PRIMO

Solary Village

Come ogni mattina, a Solary Village, un’oasi di tranquillità, situata sulla costa occidentale dell’isola di Maui, affacciata sull’Oceano Pacifico, in una delle incantate baie delle isole Hawaii, il giovane Jimmy Forester, un ragazzino di quindici anni, snello, biondo e con occhi azzurri color del mare, si appresta a risvegliarsi con tutta la sua famiglia nella sua casa posta su di un’altura, che sovrasta la baia di Solary.
Anche oggi affronterà una giornata all’insegna del buon umore e della spensieratezza tipica della sua età e del periodo di svago, che le vacanze estive offrono, dopo nove mesi di studio.
La famiglia Forester è molto conosciuta in paese: il padre Paul, un uomo di bell’aspetto, leggermente brizzolato, ma con un fisico atletico invidiato da molti uomini del villaggio, dirige un grande negozio di articoli sportivi, il “Sea & Sports”, in prossimità della spiaggia.
Qui si può trovare di tutto, dall’amo per pescare alla più complicata attrezzatura sportiva.
La madre, Susanne, è una donna molto affascinante e dolce, di corporatura snella, capelli biondi e occhi azzurri, è ben voluta da tutti, poiché è sempre disponibile ad aiutare gli altri, infatti è presidente di una piccola associazione benefica, che aiuta i più bisognosi.
Infine, la piccola Sue, una bambina di dodici anni, dai capelli rossi e un po’ paffutella, che a differenza della madre, fa notare la sua presenza con la turbolenza e vivacità, non sempre femminile, che non manca di manifestare durante tutto l’arco della giornata.
Anche oggi, come accade spesso da queste parti, il cielo è di un blu intenso, l’aria mattutina risente ancora della frescura della notte ed i gabbiani sorvolano le imbarcazioni ancorate nel porticciolo, alla ricerca di qualche pesciolino da mangiare.
L’acqua dell’oceano riflette i primi raggi di sole che, con mille sfumature, rendono il paesaggio incantevole, attirando migliaia di turisti sempre alla ricerca di pace e tranquillità, che questo luogo sa donare.
Sulla spiaggia, le prime comitive giunte dai paesi vicini, si affrettano ad occupare i posti migliori in spiaggia, dove trascorrere la nuova giornata di riposo.
Fra bagni e divertimenti vari, offerti dal comitato organizzatore di intrattenimento, grandi e piccoli possono trovare qualcosa che fa per loro.
Tutto questo è messo a disposizione dalla Giunta comunale, di cui fa parte anche Paul, per i vacanzieri ospiti del villaggio.
Anche i fratelli Andrew e Bob Scott, inseparabili compagni di avventura di Jimmy, sono giunti molto presto per poter occupare il loro solito angolo di gioco, una piccola ansa racchiusa tra le rocce, situata sulla punta più a nord della spiaggia sabbiosa e dorata di questa magnifica baia, ben lontano dalla massa di bagnanti che presto affolleranno tutta la spiaggia.
Qui, con l’aiuto di Andrew e Bob, Jimmy e Sue hanno fortificato il campo base, costruendo una splendida capanna.
L’hanno realizzata utilizzando rami e tronchi di palma, per costruire la struttura portante, e poi l’hanno ricoperta con foglie di palme intrecciate tra loro – che sono abbondanti in questi luoghi – per renderla impermeabile nel caso di sporadici temporali estivi.
Lo hanno visto fare alla TV, in documentari e film di avventurieri solitari e naufraghi, su isole lontane dalla civiltà, luoghi incontaminati e sparsi nell’oceano, che lambisce anche la loro spiaggia.
Andrew ha la stessa età di Jimmy, è di statura più bassa e più grassottello, ma nonostante ciò è ugualmente molto agile.
Bob invece, ha dieci anni ed è tutto pelle e ossa ed è per questo che lo chiamano scherzosamente “Chiodino”.
Lui ormai non se la prende più, come gli capitava le scorse vacanze, quando gli affibbiarono questo nomignolo per la prima volta, e… anzi comincia a piacergli.
Loro non sono abitanti del villaggio, ma ci vengono tutti gli anni a trascorrere le vacanze estive, ospiti della nonna materna, la signora Ingrid, una simpatica vecchietta di circa ottant’anni, che a detta di Bob, è la più brava di tutta l’isola, nel preparare i biscotti di cereali.

Svegliatosi, Jimmy si affaccia alla finestra della sua camera per vedere se anche oggi sarà possibile divertirsi in spiaggia con i suoi amici e la sorellina Sue.
Dalla sua abitazione, una stupenda villa situata su un altopiano che sovrasta la baia, infatti, può vedere con un semplice colpo d’occhio, la spiaggia, l’oceano e il campo base dove li attendono i compagni di gioco.
Accertatosi della presenza dei fratelli Scott, sveglia Sue, e riuscendoci solo dopo non poche difficoltà, si lavano e si vestono velocemente, quindi si preparano a vivere una nuova giornata con gli amici.
Scesi in cucina, i due ragazzi consumano, senza perdere tempo, l’abbondante colazione preparata dalla madre Susanne, che in compagnia del padre Paul, li attende davanti alla tavola imbandita.
I due ragazzi, terminato di mangiare e salutati i genitori, si avviano verso la spiaggia.
La loro abitazione dista solo qualche centinaio di metri dalla spiaggia, e per raggiungerla più velocemente, essi percorrono un ripido sentiero che taglia per il boschetto di piante tropicali.
Questa mattina, Jimmy e Sue cantano allegramente la canzoncina ascoltata la sera prima alla TV, mentre vedevano, assieme ai loro genitori, la videocassetta di “Bianca­neve”.
Per renderla più adatta alle loro esigenze, hanno apportato alcune modifiche al testo, che ora fa così: “Andiam, andiam, andiamo ad esplorar, la la la la…”
Sue, anche se ha solo dodici anni, come il fratello Jimmy ama l’avventura, e spera un giorno di poterne vivere una indimenticabile da raccontare agli amici nelle lunghe serate invernali, quando il freddo, li costringe a restare nella loro accogliente villa.
A loro insaputa, quella splendida giornata d’agosto, che sta per iniziare e che a prima vista sembra essere come una delle tante trascorse in compagnia dei loro amici, sarà stata solamente l’inizio della loro prima “Grande Avventura”.

“Ciao Andrew, ciao Bob” dicono contemporaneamente ai loro amici e compagni d’avventura, appena giunti al campo base.
I fratelli Scott, che li attendono vicino alla capanna, rispondono al saluto, poi tutti e quattro entrano in fila indiana nella capanna, per pianificare la giornata appena iniziata.
“Quale avventura ci possiamo inventare oggi?” chiede Jimmy ai suoi compagni di gioco.
“Potremmo fare una gita esplorativa, come ha fatto Indiana Jones… Magari nella caverna proibita!” risponde Bob, tutto eccitato all’idea di quanto sarebbe interessante poterlo fare realmente.
“Ma… è molto pericoloso, e i nostri genitori non lo permetterebbero mai!” rammenta Andrew, al fratello minore, che si è alzato di scatto in piedi, rosso in viso per l’eccitazione, oltre che per il calore diffusosi nella capanna colpita dai raggi solari.
Bob è sempre pronto ad affrontare una nuova avventura, e quella appena proposta gli sembra veramente stupenda.
“Basta non dire nulla a mamma e papà! … e poi, possiamo entrare solo per un po’, e dare solo un’occhiata!”
Jimmy e Sue, assistono in silenzio e un po’ dubbiosi sul da farsi, ma nello stesso tempo, molto attratti dalla proposta dell’amico.
“Chissà cosa troveremo?”, pensa Jimmy, “Magari il tesoro dei Macuba, i famigerati, Occhi del Drago!”


CAPITOLO SECONDO

I Macuba

I quattro amici passano la mattinata a leggere le notizie e gli articoli sui libri reperiti in biblioteca. Ad un tratto Chiodino esclama: “Ho trovato un articolo che narra la leggenda della tribù dei Macuba, ascoltate!”
La storia ha inizio così: “Dovete sapere che, nei tempi passati, quella zona era stata abitata dalla tribù dei Macuba, una popolazione indigena del posto che, a causa dei continui attacchi subiti da parte delle tribù vicine, e non essendo una tribù di guerrieri, cercò rifugio nella caverna, dove si stabilì, alla ricerca della tranquillità persa.
La leggenda narra, che il loro sovrano Ator, un uomo longevo molto bello e saggio, ma soprattutto buono con il suo popolo, era rispettato e amato da tutti, come se fosse un Dio.
Ator, sempre pronto a sacrificarsi per il bene dei suoi sudditi, ed in prima fila nelle battaglie contro le tribù nemiche, aveva anche poteri soprannaturali che gli permettevano di guarire gli esseri viventi, uomini ed animali, passando semplicemente le mani sopra le ferite o le parti del corpo malate.
Era un abile chirurgo ed aveva costruito degli attrezzi in oro zecchino, per scongiurare infezioni durante il loro utilizzo.
Con due cucchiai speciali di sua invenzione, Ator riusciva ad estrarre le frecce zigrinate senza lacerare i tessuti della pelle, riducendo al minimo le dimensioni della ferita ed i tempi di guarigione.
I Macuba, oltre che essere ottimi marinai e abili costruttori navali, erano molto bravi nelle arti manuali, come la lavorazione dei materiali preziosi, oro e argento, che possedevano in grandi quantità, ma il tesoro più importante e di inestimabile valore che possedevano, erano le speciali pietre dette “Gli occhi del drago”.
Queste due pietre, che si dice fossero gli occhi appartenuti ad un drago buono messo all’entrata della caverna dagli dei per proteggere la tribù Macuba, avevano poteri eccezionali.
Dopo l’estinzione, o presunta estinzione di questa tribù ­– non si sa esattamente se ci sia ancora qualche discendente – tutte le ricerche fatte per recuperarle furono vane ed infatti non sono mai state ritrovate.
Ancora oggi non si sa per quale motivo, il drago lasciò libero accesso alla caverna solamente ai Macuba.
Molti altri popoli e tribù provarono ad entrarci, ma vennero respinti e trucidati dal drago, che impedì loro di far ritorno ai loro villaggi per poter raccontare ciò che avevano visto.
Un giorno, molti anni dopo l’arrivo dei Macuba nella caverna, Ator e alcuni suoi guerrieri, al rientro da battute di caccia e pesca per l’approvvigionamento di carne e pesce, trovarono il drago morente.
Per cause sconosciute, trovarono l’animale riverso a terra agonizzante, e con gli occhi semichiusi.
Vedendolo in quello stato, Ator tentò di rianimarlo con tutte le sue abilità soprannaturali e conoscenze di chirurgia e medicina, ma fu tutto vano; l’animale il giorno successivo morì, lasciando nello sconforto e nella disperazione l’intera comunità dei Macuba.
Ator, rammaricato per la perdita dell’animale loro protettore, decise di rendergli onore indicendo una giornata di preghiera e organizzando la più sfarzosa cerimonia di sepoltura che non si era mai vista fino a quel giorno. La tomba per deporre il suo corpo, fu scavata al centro della grotta nella quale aveva operato come guardiano proteggendoli per tanti anni.
Sopra ad essa, per ricordarlo, fece erigere un tempietto in suo onore, e fece scolpire anche una lapide che lo raffigurava nell’atto di annientare alcuni intrusi di tribù nemiche, entrati nella caverna, alla ricerca di villaggi da saccheggiare e uomini e donne da sottomettere al loro servizio.
Questa lapide fu successivamente ricoperta dagli orafi Macuba con lamine d’oro, di cui ne disponevano in grande quantità, in quanto la caverna nella quale si erano stabiliti ormai da decenni, era una inesauribile fonte di metalli preziosi, un giacimento aurifero immenso.
Infatti, da parecchio tempo i Macuba erano diventati abili lavoratori di questi metalli, costruivano oggetti di ogni genere, dalla corona offerta al sovrano Ator in oro massiccio tempestato di diamanti, zaffiri e rubini, a statue dedicate alle divinità che li proteggevano dai nemici, poi ancora, bracciali e monili vari da indossare durante le cerimonie religiose.
Il mattino successivo alla morte del drago, le guardie rimaste a sorvegliare la salma dell’animale, raggiunsero trafelati la tenda del loro sovrano, e con voce tremante e occhi terrorizzati, raccontarono di come l’animale d’un tratto fosse svanito nel nulla lasciando solo i suoi due occhi sul terreno, sotto forma di grosse pietre luminose.
Da queste pietre usciva una luce accecante, di un colore giallo-arancio luminosissimo, e come la luce del sole, illuminava tutto l’ingresso della grotta.
Ator corse a perdifiato sino all’ingresso della caverna dove si trovava il drago, e proteggendosi gli occhi dalla luce intensa che lo investiva, si avvicinò e gettò sopra ad esse una tela di iuta, in modo da ridurne la luminosità.
Subito la caverna ripiombò nell’ombra, ma non nel buio solito, poiché anche la tela non era sufficiente ad impedire alla luce di passare attraverso lo spesso tessuto.
Ator, pensò che gli dei non li avevano abbandonati al loro destino, ma gli avevano lasciato un segno della loro benevolenza, e quelle due pietre li avrebbero protetti per gli anni a venire, come aveva fatto fino a quel giorno il drago.
Prese le due pietre avvolte nella iuta e si recò al tempietto eretto per il drago, fece fare una gabbia nella quale furono riposte e ordinò che fossero tenute sotto sorveglianza per tutti i giorni a venire.
Col passare del tempo si scoprì che queste non erano semplici pietre luminose, esse donavano a chi le possedeva, poteri magici e premonitori, abilità medicamentose, saggezza e tenacia, solo se costui avesse posseduto un animo nobile e buono, come quello di Ator.
Esse continuarono a proteggere nel tempo la caverna e i Macuba dagli estranei, come un tempo aveva fatto il drago non permettendo a nessuno l’accesso al villaggio se non accompagnato da un membro della tribù.
Un giorno però, al ritorno da una battuta di caccia, gli uomini di Ator furono seguiti dai cacciatori della tribù dei Combi, una delle più feroci e violente del tempo.
Essendo una tribù di cacciatori e guerrieri, li seguirono senza farsi notare, e così scoprirono dove si trovava il passaggio segreto che conduceva alla caverna, ben mimetizzato nella vegetazione circostante.
A quei tempi, la caverna era raggiungibile via terra, poiché vi era un lembo di suolo che la univa al continente, mentre oggi la si può raggiungere solamente via mare.
Nei secoli successivi infatti, le acque dell’oceano si alzarono, per il parziale scioglimento dei ghiacci ai poli, ricoprendo un’ampia zona di terra emersa, che era la riserva di caccia dei Macuba, per cui divennero anche abili navigatori e pescatori.
Tornati al villaggio, i guerrieri Combi informarono il loro capo Zoppus, un uomo malefico e praticante di magia nera, della scoperta appena fatta.
Zoppus, avido di potere e di conquista, progettò per il giorno successivo, un piano di attacco per derubare facilmente i tesori della ricca e pacifica tribù di Ator.
Come progettato, il giorno seguente alle prime luci dell’alba, Zoppus e i suoi guerrieri, ignari della presenza delle pietre magiche a protezione della caverna, entrarono silenziosamente, e si meravigliarono del fatto che non ci fossero guardie all’entrata per proteggere il villaggio dagli attacchi nemici, ma ne scoprirono ben presto e a loro spese, il perché.
Entrati cautamente per cogliere di sorpresa i Macuba ancora assopiti nel sonno mattutino, si ritrovarono nell’ingresso della caverna.
Era completamente buio e minaccioso.
Zoppus ebbe immediatamente un presentimento di morte e distruzione, che nelle scorrerie precedenti non aveva mai provato.
Man mano che procedevano nella caverna, questa si restringeva ed il passaggio si faceva sempre più angusto al punto di dover procedere in fila indiana.
Le pareti della roccia erano umide e viscide e una serie di curve nascondeva la visuale di cosa si potesse trovare oltre ad esse.
Nei guerrieri Combi iniziò a serpeggiare un senso di irrequietezza, e la loro baldanza e sicurezza di sé, cominciò a svanire e subentrò un certo timore.
Superata l’ennesima curva sulla sinistra, un bagliore li avvolse. Si guardarono intorno per scoprire da dove provenisse quella luce così cristallina, di certo non proveniva da una torcia, era troppo pura e forte quella luce accecante.
Zoppus, che era un mago, anche se di arti malefiche, intuì che la caverna era sotto una protezione magica, e comprese il motivo per cui non avevano trovato alcuna guardia a protezione del villaggio Macuba.
Zoppus, sempre più timoroso, ma nello stesso tempo eccitato, e con la prospettiva del bottino che poteva ottenere da questa nuova incursione, spronò i suoi guerrieri a proseguire, sebbene questi lo scongiurassero di tornare indietro, in quanto gli dei non gli erano più favorevoli.
Zoppus, alimentato dalla sua sete di potere e di ricchezza, minacciò di morte chiunque se ne fosse andato.
I guerrieri, ben conoscendo l’animo ed i poteri malvagi del loro capo, sebbene impauriti, proseguirono lungo il corridoio della caverna, che ora cominciava ad allargarsi.
La luce nella caverna aumentava di intensità, ciò poteva significare che erano giunti in prossimità del villaggio.
La parete rocciosa cominciò ad essere più asciutta e liscia, si presentava una nuova curva verso destra, che Zoppus sperava che fosse l’ultima, vista la conformazione delle pareti.
Si fermarono per prepararsi all’assalto del villaggio e controllarono le armi.
Sicuri di sorprendere i Macuba impreparati, e approfittando dell’effetto sorpresa, come solitamente era riuscito contro altre tribù, avanzarono con circospezione fino alla fine del tunnel.
Zoppus si sporse leggermente dall’ultimo sperone di roccia e studiò come irrompere nel villaggio Macuba, per sopraffarli nel modo più veloce e con il minor sforzo.
Lo spettacolo che gli apparve davanti agli occhi lo stupì, lasciandolo incredulo di ciò che si trovava sotto la montagna.
La caverna si allargava a perdita d’occhio.
All’estremità della volta un grosso foro, molto probabilmente la bocca del cratere del monte sovrastante, permetteva al sole di illuminare tutto il villaggio.
Sulla sinistra si trovava un tempietto con una scultura rappresentante un drago che attaccava e sconfiggeva uomini armati di lance e archi. Di fronte ad esso un piazzale ricoperto di soffice erba, ben curato, utilizzato sicuramente per la raccolta in preghiera e raduni religiosi degli abitanti del villaggio. Dietro al tempio si trovava la tenda del sovrano, molto più grande di tutte le altre che ordinatamente erano disposte verso il fondo della caverna.
Un piccolo ruscello, che entrava da una apertura sul lato sinistro della caverna, la attraversava da un lato all’altro, uscendo poi da un’altra apertura nella parete rocciosa.
Questo permetteva ai Macuba l’irrigazione dei piccoli campi che si trovano oltre le tende, coltivati a mais e ortaggi vari.
C’era anche una stalla con del bestiame, capre per il latte, mucche e animali da cortile. Sul fondo, mimetizzata tra gli arbusti, una piccola porta grigliata, celava l’ingresso di una caverna secondaria, dove probabilmente si trovavano le scorte aurifere della tribù.
Zoppus notò che molti particolari di quel villaggio erano ricoperti di lamine d’oro zecchino che luccicavano sotto i raggi del sole, evidenziando la grande ricchezza di quella tribù.
Tutto pareva tranquillo, per cui Zoppus ritenne che quello era il momento di sferrare l’attacco a sorpresa, spesso utilizzato con successo.
Alla testa dei guerrieri Combi, Zoppus fece irruzione nella caverna, con urla e schiamazzi che incutevano terrore al solo sentirli, si precipitarono verso le capanne per uccidere, prima tutti i maschi del villaggio, e in un secondo tempo le donne, dopo averle violentate per soddisfare i loro bisogni, come era loro usanza.
Non appena giunsero al centro dello spiazzo antistante il tempio, gli occhi del drago si illuminarono e due raggi accecanti giallo-arancio si abbatterono su di loro.
La prima fila di guerrieri venne investita dai due raggi e svanì sotto gli occhi del loro capo, mentre gli altri guerrieri restarono impietriti. Le loro gambe non riuscivano più a muoversi, terrorizzati si voltarono verso l’uscita della caverna per tentare la fuga, ma i raggi omicida li raggiunsero, l’ultima fila di guerrieri subì la stessa sorte della precedente, e così via fino a quando tutti i guerrieri svanirono nel nulla, lasciando solo Zoppus al centro dello spiazzo davanti al tempio. Terrorizzato e tremante, per ciò che aveva visto accadere ai suoi guerrieri, Zoppus si girò verso l’uscita per scappare, ma le gambe divenute di granito, non si mossero. I due raggi emessi dagli occhi del drago svanirono, lasciando Zoppus nella penombra della caverna.
Dalla capanna più grande uscì Ator seguito dalla moglie Gilda e da tutta la sua servitù, si avvicinò al nemico e lo invitò ad andarsene.
Di lui si sa solamente che, dopo aver lasciato la caverna e aver raccontato la sua disavventura in un piccolo villaggio di pescatori, situato nelle vicinanze della montagna maledetta, si sia ritirato in meditazione.
Nessuno lo ha più rivisto e sentito e così si estinse la tribù dei Combi. Per questo motivo, nessun’altra tribù del tempo, osò più addentrarsi nella caverna proibita.”
Chiodino, ultimata la lettura dell’articolo, guarda gli amici e dice: “Che cosa ne pensate… si può fare?”

[continua]


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