Opere di

Antonio Sartor


Con questo racconto è risultato 11° classificato – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011,


Questa la motivazione della Giuria: «La ricerca segreta di un viticoltore per creare il paradisiaco “Refolo Canarino”. La vendemmia del Refolino diventa una festa ed un evento simbolico che aiuterà a far sbocciare l’amore tra Gianni e Mara, facendo dimenticare il tempo perduto. Il racconto è simbolica armonia tra passione per la vita e dolce nettare che dissolve le amarezze della vita».

Massimo Barile


Si va in scena

Si va in scena: si vendemmia! È la ventesima volta. Ventesima da quando, molti anni addietro ormai, il lungimirante attuale proprietario si era trovato davanti ad una conca collinare che in altri tempi sarebbe potuta diventare la naturale cavea di un teatro greco. A colpo d’occhio capì che quella era la sede ideale che gli avrebbe permesso di sperimentare alla grande l’oggetto della sua ricerca segreta: il Refolino, dalle cui uve avrebbe ottenuto il Refolo Canarino.
L’accorto proprietario aveva deciso di chiamarlo Refolino ancor prima di vederne i risultati. Perché Refolino? Nome di fantasia? Affettivo? Mah! Nessuno sapeva, né sapeva attraverso quali incroci fosse riuscito nell’intento, né chi gli aveva dato la consulenza. Erede di stirpi di viticultori, sicuro del successo, l’astuto pragmatico imprenditore era riuscito ad impegnare con profitto le proprie risorse finanziarie su una qualità tutta da sperimentare, ottenuta da un ceppo che si era tramandato da non si sa quante generazioni fra le colture dell’azienda. Allo stesso modo del ritratto di un proprio illustre antenato, tenuto col rispetto delle cose che contano, del rinato Refolino ne aveva fatto un gioiello.
Come fosse riuscito ad incrociarlo per farne un prodotto «moderno», lo sapeva solo lui e ben si guardava di darne informazione. La posizione privilegiata dell’area coltivata, in pendenza e in pieno sole, ne avevano fatto un bianco altamente qualificato. Gli anni erano trascorsi e il Refolo Canarino era diventato, già al suo primo apparire sul mercato, un bianco di nicchia, ovvero un trionfo.
Delle qualità del Refolo Canarino, come il perlage sottile, luminoso, il sapore fresco e il gusto raffinato, qualità date per «scontate» nella logica commerciale, si preferiva puntare su ciò che faceva del Refolo Canarino un prodotto totalmente diverso dagli altri: ovvero, il persistente retrogusto di frutta. Un retrogusto che si scompone lentamente in più sapori, ciascuno con i suoi tempi, giusta l’asserzione del titolare secondo la quale «Il vino si qualifica quando tocca il palato». Se poi se ne impossessa, come nel caso del Refolo Canarino, è qualità aggiuntiva.

***

In settembre il vigneto di Refolino visto da lontano è un grande palcoscenico sfavillante di caldi colori autunnali. Una distesa di sfumature che, di filare in filare, cioè di gradino in gradino a salire, ogni pianta in pieno sole offre all’occhio dell’osservatore i colori variegati delle sue foglie, sotto le quali grappoli dorati sono in attesa della naturale metamorfosi.
Come si trattasse di in un teatro greco, il sito è una scenografia al naturale, ma a parti rovesciate. È la cavea ad esser diventata palco: è lì dove si recita. È lì dove per poche ore nell’arco dell’intero anno, sia gli attori protagonisti, di casa, sia le comparse giunte a dar man forte allo spettacolo, sono tutti entusiasti di vivere il lieto finale della commedia: la vendemmia. Questo luogo, quale miglior fondale scenico potrebbe essere per la rappresentazione di un vero spettacolo? Di uno spettacolo agreste, naturalmente, fatto di piccole storie umane o di quelle stesse piccole confidenze che i protagonisti si fanno, protetti dalle foglie mentre recidono i grappoli?
E la vendemmia, quale occasione per il commiato di tutti i personaggi dal pubblico, a stagione finita? Ma così, come tutte le commedie finiscono più per necessità di tempo che di trama e quindi realmente finite potrebbero non esserlo mai, anche la storia degli improvvisati attori confluiti per la ricorrenza non è davvero conclusa. A recitazione finita, essi usciranno dal ruolo loro assegnato per la circostanza e torneranno ad essere le persone di sempre.
E domani e dopodomani la storia degli uni si dividerà da quella degli altri e la vita di ognuno continuerà ad essere quella abituale di tutti i giorni.

***

Con gli anni, la specifica vendemmia del Refolino era diventata il fiore all’occhiello dell’intera ampia e diversificata produzione aziendale: proprio per questo, un’occasione di festa, che a sera diventava solenne con la consumazione di una grande cena, detta appunto “cena della vendemmia”, alla quale partecipavano tutte le persone che durante l’anno, fra semine, raccolte varie ed altro avevano prestato la loro opera in azienda. Quest’anno c’era poi un motivo in più per festeggiare: c’era il neo-agronomo Andrea, figlio del titolare, alla sua prima regia. Da esperto, ormai, perché anche lui era alla ventesima, era già pronto con l’intero gruppo di lavoro ad impartire istruzioni. Di anno in anno amava ripetere l’esperienza di bambino, quando a cinque anni lo avevano portato lì per la sua prima vendemmia: la sua e quella delle stesse giovani piante. Anche quest’anno volle ripeterla, ma solo sottovoce e solo alla fidanzata. Un po’ della sua storia, insomma, un aneddoto di benvenuto ad una persona che si trovava lì per la prima volta. Le stava ricordando le viti basse da cui era possibile staccare gli acini dai grappoli solo allungando la mano. Le viti erano giovani come lui, tanto che la raccolta dei pochi grappoli di allora era stata facile e sbrigativa. Rivivendo ora quei trascorsi, seppur con un certo imbarazzo, le stava ricordando quando, ad operazione pressoché ultimata, si accorse che le piante erano state umiliate dei loro primi frutti: vedendole così spogliate, aveva pianto. Per farlo tacere, prima che fosse troppo tardi e per non deluderlo fino in fondo, gli avevano lasciato un tralcio intatto affinché potesse fare la sua personale raccolta. In ricordo dell’episodio, ogni anno da allora un tralcio viene tacitamente lasciato con i suoi grappoli appesi.

***

Poco lontano intanto si lavorava per allestire la festa: il baccanale. L’intero ambiente, più carnevalesco che vendemmiale, era addobbato da sembrare una delle tante feste classiche dei tempi andati, organizzate in onore di Bacco, il Dio del vino e della viticoltura. Ogni anno, infatti, un Bacco diverso figurava tra i presenti. Quest’anno sarebbe toccato al Bacco di Caravaggio, quello degli Uffizi. Esso avrebbe giganteggiato proiettato sull’estesa bianca parete del locale: un capannone altrimenti adibito a deposito attrezzi. Col trascorrere degli anni, vendemmia e cena erano diventate un’occasione di spensierata aggregazione sociale, di abbuffate e di libagioni, nonché di gran baldoria per l’intera notte, spesso ulteriormente rallegrate da compagnie di guitti. E come tutte le iniziative dell’avveduto titolare, anche la cena era un’estrosità vincente, di anno in anno sempre più carica di sorprese, tanto che il figlio di Giove e di Semele avrebbe avuto difficoltà a distinguere questa festa da quelle che nell’antica Grecia venivano celebrate in suo onore. Inimicarsi Bacco? Giammai!
Ma la “Commedia”, così come sembrava apparire, non era solo di facciata. Non a caso, infatti, piccole grandi storie umane si consumavano davvero di anno in anno fra i tralci. L’ora del tempo e la (soleggiata) stagione mettevano allegria e… coraggio. Coraggio di dirsi cose che altrimenti non si sarebbero mai dette.
Coraggio che non mancò neanche quest’anno dentro l’ormai consolidato gruppo di amici che avevano preso l’invito con l’entusiasmo di sempre. Come per tutti, anche per loro la partecipazione a quella specifica vendemmia avrebbe offerto ancora una volta una insolita giornata di distrazione da trascorrere fuori dai circuiti usuali in un ambiente aperto di campagna. Distrazione e festa: una doppia condizione favorevole da non perdere.
Vendemmia non come semplice incontro, quindi, perché fra alcuni componenti di quella stessa comitiva c’erano quest’anno anche secondi fini. Era un’occasione da prendere al volo che Ilaria, la trascinatrice, non voleva farsi scappare. Per lei la mossa doveva essere l’ennesimo esperimento di aggregazione non fine a se stesso, ovvero l’ultimo tentativo in ordine di tempo di avvicinare Gianni e Mara, due single incalliti, da sempre sentimentalmente lontani (Mara aveva un figlio di quattro anni, Claudio, che non voleva dividere con nessuno. Ma dopo aver conosciuto Gianni, Claudio lo avrebbe voluto come padre).
Vendemmia a doppio fine quindi, tanto che un giorno di settembre sotto un’aria che sapeva di mucche e di vino(1), la comitiva era al completo. Se la partecipazione doveva offrire a ciascuno dei partecipanti un’insolita giornata di distrazione, da trascorrere fuori dai circuiti usuali, per Ilaria sarebbe dovuta diventare un’occasione dalla quale ottenere il massimo risultato. Avrebbe funzionato?
Cresciuta in campagna, ad Ilaria erano rimaste molte impronte della vita agreste, fra cui quell’astuzia tutta contadina che scaturisce spontaneamente dall’essere a contatto con gli spiccioli imprevisti della natura, i quali di volta in volta costringono le persone a cercare rimedi da mettere in atto all’istante.
Degli animali domestici, Ilaria conosceva tutto. Fra i ricordi dell’infanzia, uno in particolare non le era mai venuto meno: l’ibridazione, cioè l’incrocio di individui di specie diverse tra loro. E per certi versi Gianni e Mara diversi lo erano veramente. Ricordava di aver frequentato insieme al padre un allevatore di uccelli. Ebbene, uno dei metodi per creare incroci era di mettere insieme, e di tenere insieme in totale isolamento fino alla conclusione dell’esperimento, uccelli di specie diverse che, in condizioni normali, non si sarebbero mai avvicinati l’uno all’altro, non sentendo per l’estraneo alcun naturale richiamo sessuale. Perché l’accoppiata riuscisse, era fondamentale che nessuno dei due esemplari fosse distratto da richiami della propria specie: niente canti, niente odori, niente rumori, ecc. ecc.. Lontana da tentazioni centrifughe, la coppia, così isolata, spesso procreava. Nel caso specifico sarebbe bastato il solo avvicinamento? Avrebbe dato risultati? Si sarebbero avvicinati Gianni e Mara? In fondo, la prova non sarebbe costata nulla, né avrebbe procurato danni agli ignari protagonisti.
Al culmine della festa, a notte ormai, quando Bacco era entrato già abbondantemente nelle vene di tutti i presenti, guardando la “sua” coppia muovere con insolita disinvoltura, Ilaria si accorse di aver avuto ragione della sua iniziativa. Senza sbilanciarsi con Andrea sui propri intendimenti, si era adoperata affinché Gianni e Mara si trovassero «casualmente» insieme. Lasciati soli e distratti dal lavoro, inconsapevoli che qualcuno stesse macchinando alle loro spalle, avevano iniziato a discorrere. Parlavano sottovoce, ma parlavano.
Quando, spesso, aveva tentato di spiarne la conversazione, non le era mai riuscito di intercettare che cosa si stessero dicendo, per capire a quale livello di confidenza i due fossero giunti. Attribuiva, a ragione, molto peso al discorrere quale che fosse. L’intrigante personaggio avrebbe gradito sapere, curiosare per valutare, mentre le sole risposte utili e gradite che le giungevano erano di risa e nient’altro.
I due, Gianni e Mara, si vedevano solo a tratti, quando i tralci e le foglie mossi in continuazione dalla recisione dei grappoli non glielo impedivano. In due o tre occasioni accadde che le mani o le spalle dei due si toccassero: era appunto da quel precario ti-vedo-non-ti-vedo che ciascuno stava trovando la forza di dire all’altro cose che in faccia non si sarebbero mai dette.
Tanto si erano ripetutamente toccate e sovrapposte le mani dei due durante il lavoro della giornata che quando un tralcio “galeotto” permise ai loro occhi di fissarsi come mai prima, Gianni e Mara si erano trovati all’improvviso in quello stato di irrealtà che precede e accompagna sempre i grandi avvenimenti della vita.
Già al rientro dal lavoro, infatti, Ilaria aveva preso atto con soddisfazione che i due dovevano essersi detti già molto ed anche di importante durante l’intera giornata, se fin dall’inizio della serata avevano iniziato a muoversi in tandem. Ed era solo l’inizio. Durante la festa ebbe modo di compiacersi ripetutamente con Bacco, oltre che con se stessa, per come un “certo” fluido, comunemente detto vino, li stesse spronando al divertimento, quasi volesse aiutarli a recuperare in un sol colpo il tempo perduto. Un altro felice innesto, come il Refolino, di cui quell’amore era legittimo figlio.

Antonio Sartor



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