Opere di

Antonio Lupo


Ossimori 1


L’amica tradita

L’ho incontrata questa notte alle tre meno un quarto.
Mi ero alzato per vedere se la luna era ancora lassù.
Non c’era: l’avevo persa da tempo.
Non mi preoccupai più di tanto. Avevo ancora assai sonno
Ad un tratto la vidi; mi spiava da dietro un abete.
“ Che fai?” mi disse imbronciata.
“Volevo vederti” risposi.
“Strano alquanto mi sembra”.
“Perché”? divertito io chiesi.
“E’ da tempo che più non ti vedo”
“E’ vero. T’avevo dimenticata, ohimè”.
“Mi canti ancora la tua serenata?”
“I grilli non ci sono ‘sta sera”.
“E’ meglio così, non ti pare?”
“Sì, sì, hai ragione” risposi.
“Allora, comincia a cantare. Ascolterò silenziosa il tuo canto”.
“Mi manca la voce. Non so le parole”
“Lo vedo!Lo vedo!“.
“Non ho più nulla da dirti”.
“Lo sapevo, purtroppo”.
“M hai tradita da tempo”.
“E’ vero, ohimè, sciagurato!”.
“Che cosa ti vieta?”
“Un solo bisogno smodato!”.
“Mi dice cos’è?”.
“Ho perso la mia libertà, in cambio d’uno scrigno di latta!”.


Il canuto

Mi venne incontro all’improvviso.
Non sapevo chi fosse.
“Non mi riconosci?” mi disse.
“Non credo” risposi.
“Eppure mi senti ogni giorno!”.
“Mi sembra un po’ strano”
Incredulo aggiunsi.
Guardai un momento.
Volevo sapere
Che cosa volesse da me.
“Ti dico allora chi sono.
Ricordi il venti di maggio
Dell’ultimo anno del secolo scorso?”.
“Sì, certamente!” risposi.
“Io sono colui ch’ incolpasti.
Per niente, per niente.
Ne avevi il potere.
Nella tetra prigione della mente
Passai la mia gioventù”
“E’ vero. E adesso che vuoi?”
“Oh niente. Non sono che uno spettro.
Potrei annientarti
Se solo volessi!”
“Ma come potresti?”
“Venendo nei tuoi sogni
Ogni notte.”
“Per quale ragione?”
“Perché folle diventi
Per tutta la vita!”
Un brivido freddo mi prese
Tremai per tutta la notte.
“Attendi, o sciagurato.
C’è chi non saprà mai più perdonarti!”
Ciò detto s’ allontanò.
Al suo posto un giovane donna io vidi.
Morale era il suo nome.
Rimorso il suo spettro.


Dolce e amara

“Dolce e amara è la vita”.
Mi disse un vecchio amico
Molto più grande di me.
“Perché me lo dici?”
Perplesso gli chiesi,
Acerbo negli anni e la mente.
“Non sai che ti aspetta!”
Rispose un po’ divertito.
“Me lo dici perché?”
Incalzai indispettito.
“Ti dirò amico mio:
Sei giovane perché tu lo sappia”.
“Mi dici cos’è?”
Gli chiesi curioso.
“Me l’hai chiesto, fanciullo!”.
“Lo voglio” risposi.
“Sarai dai tuoi nemici odiato,
Tradito,
Maledirai la gente
Quando un giorno
Felice non sei.
Invidierai il tuo prossimo,
Dileggiato da tutti.
“E’ questa la vita?”
Gli dissi deluso.
“Non è solo questo!”
Aggiunse pensoso.
“Vi sono momenti inebrianti,
D’ebbrezza e di canti pervasi.
Troverai eteree fanciulle
Danzare nei prati fioriti,
L’avrai anche tu la felicità”:
“Ma com’ io lo saprò?”.
“Nel bene che fai”.
Persino ai tuoi nemici efferati”


Zagare di limoni

Risveglio di balsamo,
Oggidì
Nel mezzo sonno mattutino,
In una notte insonne,
E tormentata.
L’imposta è aperta.
Pigro un raggio di sole,
Nell’aria fresca,
Si affaccia alla finestra.
Mi sveglia per dirmi:
“Ancora dormi
Nel tuo tiepido letto?
I limoni sono là
Ad aspettarti,
Nel giardino vecchio
Dei tuoi avi”.
Mi alzo intorpidito,
Nel corpo e nella mente,
Sconfortato.
Una pagina del Tempo
E’ già passata,
Nella sterile vita
Dei ricordi,
Con sogni inappagati
E menzogneri.
Ma un’umile pianta
Spinosa e dolce,
Soave e pietosa compagna,
M’invia una parola.
Sa di profumi eccelsi
Di zagare celesti
Di nettari divini,
Di neve immacolata.
Esala il suo incenso,
In una pace eterea,
Che sa di nostalgia.
E di rimpianti amari.
O mia sorella,
Raccontami,
Ti prego,
Gli anni dell’infanzia mia,
Abbandonata.
Dimmi perché
Quelle promesse
Svanirono nel vuoto
Dell’oblio.
Ed è solo in quest’attesa
Che trovo ancor ristoro
E nei petali dei tuoi fiori
Ancora, innamorati.

Lizzano, 3 marzo 009, ore 11,00


Ti ritroverò

Adesso che ormai
Il tuo dolce corpo
Mi è estraneo
Come una nube bigia
O un biancospino
O una zagara di arancio
O il vento del mattino
O un’alba da tempo svanita
O un tramonto dimenticato
Ora che soltanto guardo
Il tuo sguardo amaro
O il tuo timido sorriso
O i tuoi capelli bianchi
E i tuoi occhi
Di rugiada madidi
Ora che accarezzo invano
Tiepide le tue mani
La tua fronte gelida
O le tue pallide guance
Adesso che non scriverò per te
Languide lettere
Né ti dirò parole care
Né fiori ti darò
Nelle solite feste occasionali
Ti ritroverò nell’albo
Dei ricordi
Nelle foto sbiadite
Di un cassetto sgangherato
Nelle petunie
Che un tempo
Tu piantasti innamorata.


Gracile narciso del mio giardino

Umile, candido e gracile
Narciso del mio giardino
Nel tuo verde immacolato
Sotto la ginestra d’oro puro
Fra begonie, menta e
Petunie di sangue rosse
Appena ergi il tuo debole capo
In rapidi sussulti di biancore
Timido nei petali e nello stame
In Te mi vedo ogni mattina
In Te mi scopro genuino
Dimentico d’ogni male
E d’ogni pena
M’avvince il tuo candore
Che d’innocenza sa
Scevro d’inganni
E di soprusi eterni
In te si specchia
Il mio fragile corpo
Cui non resta altro
Che guardarti
Assopito nella quiete
Mattutina

Lizzano, 4 marzo 2009


Fringuello canterino

Ero ancora nel raro
Mio sonno immerso
Fra incubi e paure
Con sogni neri e mesti
Un pianto mattutino
Nel cuore mio stillava
Note di fiele amaro
Sussulti di dolore
Ma un tuo canto
Allegro e spensierato
La quiete mi portò
Nel cielo puro stellato


Ciclamino di marzo

Muovo i miei passi lenti
Nell’orto a me sì caro.
Vago senza meta
Fra vasi, piante e fiori.
Grave un silenzio
Incombe nell’aria mattutina.
Una campana sola
La messa annuncia ancora.
Insonne fra le aiuole passo
Senza speranza alcuna.
Un solo fiore io vedo
Gracile e delicato.
A lui il mio viso tendo.
Penso:
Una pietosa mano
Un giorno ti creò
Per dare solo ristoro
All’animo straziato!


Iris mattutino

Distolto,
Incolto nel giardino,
Vago con vaghi pensieri,
Nella mente,
In cerca della luce
Che non viene.
Non so dirti
Più nemmeno
Gentile una parola,
Né darti una carezza sola
Nel nulla un vuoto vedo
Senza certezza alcuna.
Smarrito lo sguardo volgo
Ad una pianta austera
Per chiedere
Il perché di nostra vita,
Invano.
Festoso il rumore sento
Degli scolari a scuola
Felici almeno loro
Dell’ora che viviamo
Non hanno visi mesti
Né torbidi sorrisi.
Vanno gioiosi
Incontro al nuovo dì.
Un iris fa capolino
Fra il verde mattutino
Per darmi solo un segno
Di serenità.


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