Antologia del Premio Letterario Ottavio Nipoti Ferrera Erbognone 2010

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Autori Vari


Autori Vari - Antologia del Premio Letterario Ottavio Nipoti Ferrera Erbognone 2010
Collana "Le Schegge d'Oro" - Le Antologie dei Premi Letterari
15,5x21 - pp. 52 - Euro 18,00
ISBN 978-88-6587-1133

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Antologia delle più belle poesie del Premio Letterario Ottavio Nipoti Ferrera Erbognone 2010


Antologia del Premio Letterario Ottavio Nipoti Ferrera Erbognone 2010


Enrico Bonfiglio

Opera Segnalata dalla Giuria

Gabriella

Puoi essere vento che cambia direzione all’improvviso.
Puoi essere distruttiva come un tornado,
devastante come un uragano.
Ma allo stesso tempo
puoi gonfiare le vele,
giocare con le onde del mare,
far correre le nubi,
far danzare la fiamma di una candela
e portare in alto gli aquiloni.


Maria Teresa Bonifazio

Dal treno (per Tortona)

Ansa e sbuffa il treno
sulla rotaia: case palazzi
bianche spiaggette, scogli
piccoli scorci, angoli di sogno
fuggono via veloci.

Dalle ampie svolte dei suoi
vagoni il lungo treno
lambisce arbusti alti, oleandri,
alberi di fico, agave e ginestre.

Mentre io sola con la valigia
dal finestrino guardo la mia
Liguria, il mare, la riviera tutta
fuggire via e mi si stringe il cuore.

Questo suo ansare, andando
vuol farmi compagnia,
e cautamente fischia poi il buio
entrando in galleria.

Poche stazioni ancora
addio Liguria mia;
tornerò a inoltrarmi nella nebbia
per un altro anno di scuola e di
convitto.

Sarò avvolta ancora dalla fredda
atmosfera, tra gente sconosciuta
la neve e la nostalgia
saranno mie compagne,

Ovatteranno i giorni
e il cuore come ibernizzato
resterà finché non tornerà
ancora un’altra primavera.


Maria Cristina Casa

Giro di valzer

Se ancora
sei sveglia
e
devi
dormire,
ti prendo
in
spalla,
ti ninno
col valzer.
Non
vedo
il viso:
ti sento
sul
collo.
Ma se i tuoi
respiri
si
fan più
pesanti,
capisco
ch’è
ora:
ti bacio,
ti adagio
in
culla:
piccolo
angelo
di
stelle…


Paolo Fabio Folloni

Ignoro se esista una ragione ultima
se esita un cielo oltre questo blu
un oltremodo dove tutti torneremo.

Forse è solo l’illusione che ti tiene vivo,
la terra splendida di settembre,
il vento che canta sulle foglie.

Ripiego su me stesso
per riconoscerti ancora nella tua lunga assenza
per dire che vero è
solo ciò che manca.

Dubito ti sia possibile capire tanto dolore.
Vero è per te solo l’esserci concreto
non l’ambigua e incerta via dell’anima.

Chi di noi abbia ragione non sapremo mai:
se sia un bene o un avido tormento
l’amore.
La terra è splendida di settembre
è aumentato il vento che fa cantare le foglie
che importa?

Tutto è vero, tutto sembra vero, tutto sento vero.


Antonino Frattagli

Notte di San Lorenzo

Eppur, al fin, una pur io l’ho vista
Veloce, fuggente, presto sparita
Per quanto assai bramata e pur seguita
Là su nel ciel che tanto agli occhi dista

Dal cuore un desiderio se ne parte:
Poterti un giorno infine rincontrare
Magari un’altra vita ad iniziare
Chissà forse su Venere o su Marte

E far tesoro degli errori fatti
Con l’esperienza, che ci si arricchisce
E l’uno e l’altra che ci si capisce
Ma nella libertà; senza dei patti

Con dentro tutto quello che sappiamo
Per fare il resto della strada insieme
Spartirci tutto quanto ci appartiene
Anima o carne, la mano nella mano


Simonetta Gini

Opera 9^ classificata

Dentro l’anima

Se Dio avesse occhi,
non so se mi vedrebbe.
Ma Dio ha una bocca,
una parole universali,
qui, dentro di me,
come un soffio
parla alla mia anima.
Dio si fa sentire,
si muove,
si torce,
il cuore soffre.
Dio non fa attenuare
la sofferenza,
non mi solleva
dalla solitudine.
Mi fa vedere
i giorni che furono,
gli sbagli fatti,
i torti subiti,
rinunce e dolori.
Insinua però
un lieve pensiero,
un suo dolce lascito d’amore.
Dio non mi vede
ma apre i miei occhi,
perché io possa capire
il dono della mia vita.


Fabrizio Lana

Opera segnalata dalla Giuria

Nainileven

Aurora radiosa.
Si dissolve la nebbia sul porto.
Raggi radenti falciano occhi assonnati.
Il giorno esplode di luce.

Le vie s’affollano.
Un crescendo di suoni e di voci.
Frenetici passi su per le scale.
Vetro e cemento prendono vita.

Le torri rifulgono.
Simbolo fallico di moderna civiltà.
Bersaglio impensabile, bersaglio pensato.
Argentei dardi alati fan centro.

Non è un film.
Strazio di corpi, strazio di anime.
Sfregio insanabile all’umanità.
Ed è pianto, pianto senza lacrime.


Ecco, un amico…

I tanti ricordi sono un tormento,
penso davvero di farla finita:
qui, nel mio cuore, nessun sentimento.
L’anima ho perso… tra poco la vita.

Ecco, un amico… mi dice: “Ci sono”
e, senza pensarci, mi tende le mani.
Ripenso alla vita; la vita è un dono.
E trovo la forza di vivere… domani.


Antonino Maria Parisi

Specchio

Appena mi alzo in sulla mattina,
al lavabo mi porto di quel bagno,
all’acqua fresca, pura e cristallina
uno specchio mi rinfaccia che mi lagno.

Non riconosco la faccia rispecchiata,
che tocco con tremolar di mano,
al palpeggiar la sento già invecchiata,
discerne un tempo ormai lontano.

Lo specchio guardo, tocco e faccio
qualche smorfia di rimpianto,
poi lo strofino forte con lo straccio:
restan le rughe e comincia il pianto.

Una lacrima cade sullo specchio,
lascia una striscia lunga sull’argento,
in due parti pare che si spezza.

Da qui un giovane, dall’altra un vecchio,
con l’ultimo lumino quasi spento,
il tempo di un ricordo: giovinezza.


Rosaria Rita Pasca

Il contrasto stride, tra chiaro e scuro
tra ombra e luce
c’è una zona di interludio
dove nascono i vagiti di un nuovo andare
di un nuovo esito multiforme
multiforme apparenza dell’essere:
camuffiamo a volte il volto
perché non appaia il cuore – cuore di stelle a grappolo
e galassie –


Nella tristezza indefinita
dell’autunno
perdita di luce repentina
adombra il volto
come improvvisa lacrima,
nenia di madri antiche,
anime assolate
all’incontro dei cieli


Se d’ombre
s’avvolge il giorno
il pensiero finge nascondigli
per solitari accordi,
forme di luce
inventate per radunare
l’anima dispersa


Barbara Santoni

Il dolore

Il dolore scava la nostra anima,
i nostri giorni.
Il dolore ci taglia le membra
e mai ricuce.
Si nasconde nelle ore buie
della coscienza,
ci fa ombra nelle cupe notti.
Il dolore sfinisce, morde, uccide,
oppure striscia come un serpente
lungo le vie delle nostre vite.
Striscia nell’ombre del nostro io,
cristallizza i nostri respiri
e nel nostro grembo
pulsa come freddo veleno.
Il dolore ci forgia,
altre volte ci annienta.
Mostro spietato,
tortura il cammino dei
nostri giorni affamati.
Un assillo che insegue
d’ogni nostra parola il gesto.
Il dolore, è una lama di pietra
che frantuma le stelle
perché il dolore scava
la nostra anima, i nostri sogni.
E non c’è alba che lo cancelli
o luce che lo abbatta.


Laila Tromboni

Opera 2^ classificata

L’oblio della disperazione…
Attanaglia la mente e i deboli passi…
Che si trascinano lenti e inesorabili…

Uno dopo l’altro,
si contano i giorni in cui un unico desiderio si fa strada…
Prendere a pugni la vita… tutto e tutti!!!
Perché no, a questo punto non sembra davvero
esserci alcuna via d’uscita…

Eppure lo so, il sole prima o poi fa capolino tra le nuvole…
Perché non esiste tempesta… senza quiete…
Non esiste alcun dolore senza la gioia infinita…

Le mani tremano…
La voce è flebile…
Il cuore riprende il suo normale battito…

Un raggio di sole all’orizzonte s’intravede…
E la vita a poco a poco ricomincia a fiorire…

Così, le deboli radici s’infittiscono…
Così, penetrano nel mio profondo io…

E la mia anima è più forte…
E non temo più me stessa…

Perché ovunque andrò…
Qualunque cosa farò…
Me stessa sarà sempre con me!


Agnese Ester Vicino

Ossessione

La medusa incantatrice sferra il suo colpo, velenosa più che immobilizzante,
perché il serpente ritrova il suo morso mortale.
Sadica mai assopita, è di morte apparente che ferisce,
perché è un veleno caro agli infermi di mente, che incoraggia alla follia.
E non sa di far male.
Non sa di essere malattia, ma, in quanto tale, si desta in preda ai calori
invasa da chi non desidera avere, spaventata dalla sua stessa vittima.
E tracanna la saliva che cola dalle bocche dolenti, per i corpi ormai privi del sangue,
infettato da ella stessa e ormai perduto. E non si sazia.
Allora arriva alle carni tremule, vinte ormai da tale supplizio,
rabboccate di nuovo dolore al primo morso, ma colorate da un nuovo ardore
perché il colpo della ferina maliarda
è ora piacere per l’inconsapevole ignudo, che trascina membra sfatte e rigogliose insieme,
fino al precipizio, fin dove la testa gli sussurra di cadere…
Nell’oblio dell’incubo dell’amata fiera.


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