Opere di

Anna Maria Elsa Marino


IL SOSPIRO DI IPNO

Sul Pianeta delle Parole il momento era di solenne gravità. Anche il cielo, solitamente viola pallido, era più scuro, quasi blu. Non un soffio di vento attraversava l’aria.
In piedi davanti al trono di rare gemme, nella sua tunica bianco-abbagliante bordata in oro, il Gran Sacerdote parlava con voce profonda e sonora:
«Con dolore siamo costretti a dire che gli abitanti del Pianeta Terra troppo calpestano il Dono… indegnamente molti se ne servono e per malvagi fini: daremo ancora un secolo… poi abbandoneremo la Terra ed il Silenzio regnerà, giustiziere».
Un brivido percorse le Parole, nonostante lo sdegno da tutte condiviso verso i terrestri.
«Ha ragione», considerò Amarezza, «Si servono di noi per mentire, raggirare, truffare, calunniare, corrompere… offendere e denigrare …».
«Sì, per loro siamo strumenti del Male.», confermò Verdetto, «Ci utilizzano come mezzi di offesa, di ingiustizia, di falsità, di prevaricazione… ci abbrutiscono e sporcano.».
Nondimeno aleggiavano tristezza e malinconia.
In disparte Sussurro se ne stava pensosa.
«C’è qualcosa che vorresti dire, Sussurro?», chiese pacatamente il Gran Sacerdote.
«Ecco…», bisbigliò Sussurro, «Io pensavo a quando ancora veniamo usate con animo profondo… con bontà, amore e tenerezza… Pensavo ad una mamma che culla il suo bambino… ad una preghiera che dal cuore raggiunge il Cielo… Pensavo a chi ancora sa usarci con gentilezza, sentimento, amore, delicatezza e poesia…».
«Ciò che tu dici è giusto», rispose il Gran Sacerdote, «Ed è per questo che viene concesso un altro secolo: gli usi perversi rischiano di sopraffare definitivamente e irrimediabilmente quelli nobili, dettati dal Bene: ma se in questo secolo concesso sarà appunto l’uso volto al Bene a vincere e sconfiggere quello volto al Male la sentenza di condanna verrà annullata».
Un mormorio fece eco a quell’ultima frase, poi l’uditorio si inchinò al Gran Sacerdote.
«Somma è la tua saggezza. Sarà così come hai decretato», convenne il Gran Cancelliere.
Un lieve vento di pulviscolo rosa scosse appena le cime di alti alberi trasparenti e scintillanti come cristallo. Forme sconosciute brillavano limpide, senza proiettare ombre ai raggi di un immenso sole cremisi sfolgorante ed una perfetta e pura armonia pulsava nell’atmosfera.
Seduta al riparo di una grande felce celeste Compassione scuoteva il capo, sconsolata:
«Come faranno senza di noi?», mormorò.
«Ancora non tutto è perduto, ci sono cento anni di tempo…», l’incoraggio Fiducia, sedendo accanto a lei e solleticandole il naso con un filo d’erba fucsia.
Dondolandosi su un ramo, però, Disillusione si intromise:
«Sì, figurati se “quelli” cambiano…», soffiò a mezza voce.
«Non si può mai dire…», sorrise Speranza, con gli occhi splendenti di luce stellare.
Poi un denso fumo azzurro si levò d’improvviso a coprire ed offuscare il tutto sfumandolo in evanescenze…

***

Quello strano sogno l’aveva impressionato e per quanto i giorni passassero rimaneva vivido nella sua mente.
“Sono davvero troppo scioccamente suggestionabile…”, si diceva Manuel.
Eppure qualcosa di quel sogno continuava a turbarlo… ma era poi stato un sogno?...
“O forse effetto del fumo e del profumo di quel bastoncino indiano…”, si ritrovava a pensare sempre più spesso.

Il pomeriggio del giorno in cui aveva fatto quel “sogno”, avvicinandosi ad una bancarella indiana dove bruciava uno dei tipici bastoncini di incenso aveva avvertito un subitaneo lieve stordimento, come se un che di oppio l’avesse avvolto. Si era rapidamente allontanato, preso dal timore di perdere lucidità… che profumo era quello? Sandalo? Vetiver? Acoro? Non era esperto di essenze orientali, ma qualunque fosse… la sua intensa fragranza sembrava in grado di confondergli la mente…
“Magari io sono così “ricettivo” da subire effetti… allucinogeni da un’essenza che lascia indifferente chiunque!”, aveva considerato più volte.

Quella sera, mentre al computer si dava a pasticciare, cercò di definire una spiegazione sensata:
“Forse qualcosa di… psichico si è liberato in me, un’elaborazione da stato alterato di coscienza che si è come riprodotto a distanza di tempo… Sì, troppo nitido e articolato, per essere un sogno…” – concluse.
Intanto parole e forme giravano nella sua mente rinnovandosi e mutando di continuo… mentre le immagini del suo “sogno” si affacciavano sui suoi pensieri…



- Si può sapere che stai facendo? – gli chiese Simona, sua sorella, osservando incuriosita il diagramma. – Non lo vedi? Una sorta di… girotondo di parole… – illustrò Manuel con finta noncuranza – Ti piace? – le domandò poi. – Mah… Diciamo che mi piace. – rispose titubante Simona. – E credi che le… parole sarebbero contente, di essere usate così? – indagò lui senza guardarla. – Eh…? – fu l’unica, atona, articolazione di Simona.
Ma la sua espressione stralunata era talmente eloquente che Manuel, sia pure in maniera confusa e sentendosi un po’ imbarazzato, cercò di approntare una delucidazione che avesse qualche parvenza di logicità. – Intendevo che molto spesso maltrattiamo le parole. Ce ne serviamo in maniera poco garbata, poco onesta e poco pulita… conosci il detto “Ne uccide più la lingua che la spada”, no? Per noi uomini a volte le parole sono armi con cui colpire, ferire, ingannare, irretire… Sono armi di scontro e di divisione, di ostilità e addirittura di odio… Quando invece le parole ci offrono opportunità meravigliose, eccezionali, incomprese e imperdibili… Con le parole possiamo spingerci oltre la comunicazione, dare vita all’elevatezza di cui l’anima umana è impregnata… e possiamo accarezzare, sognare, innalzarci spiritualmente… addirittura disegnare… – sorrise infine.
Simona lo ascoltava allibita e Manuel proseguì: – Peccato che non tutti e non sempre riusciamo a farle, queste “cose”… Non “viviamo” le parole nel modo giusto, positivo. Del resto, l’episodio biblico della Torre di Babele non fu il castigo per la spregevole condotta umana? E magari ad una differenziazione che confuse gli uomini e li portò a non capirsi più, potrebbe seguire la completa sparizione delle parole, se l’umanità non si ravvede e non comprende una volta per tutte che deve usarle per l’affermazione del bene sul male.
Simona lo fissava ad occhi praticamente sbarrati, senza fiatare.
Né Manuel riuscì ad aggiungere altro, a spiegarsi meglio. Cosa avrebbe potuto dire, d’altra parte? Che immagini inverosimili si inchiodavano nel suo cervello e non lo abbandonavano più? L’idea di un’umanità… muta non era facile da trasmettere, neppure al più creativo ed estroso degli ascoltatori.
Si rivolse di nuovo alla sorella: – Ti ho detto che con le parole si può persino disegnare… mi sono documentato, molti artisti lo fanno. Esistono delle vere e proprie correnti di pensiero sulla “forma” e sulla “direzione” delle parole, sulla “proiezione prospettica” della scrittura nello spazio grafico, dove il testo viene inteso come superficie…
Simona era abituata a perdersi nelle argomentazioni di suo fratello, nonostante ciò ogni qualvolta lui le apriva brecce sulla propria interiorità tanto ricca e tanto fuori del comune si sentiva pervadere da folate di emozione che la investivano come soffi di vento delicati ma avvolgenti. – Guarda, ti faccio vedere una cosa che ho scritto ieri… l’ho stampata… – le disse Manuel porgendole un foglio.
Simona lo prese, osservò e lesse…



- Allora? – le chiese Manuel, attento. – Beh, anche il più ottuso degli ottusi capirebbe che hai tracciato onde di parole… onde di poesia… Solo non mi spiego come mai tu, che sempre hai amato dipingere, ti stia tanto dedicando alla scrittura… sebbene “disegnata”. – commentò Simona.
Manuel ridacchiò: – Sai, le arti sono… vasi comunicanti! – Io invece ti comunico che a stare dietro a te c’è da rimbambirsi del tutto. Ti “aggravi” ad ogni giorno che passa! Forse sarebbe il caso, per il tuo bene, di contattare uno… e-ehm, specialista, ma di quelli tosti, perché tu sei un caso rarissimo, più unico che raro. Saresti tu, a mandare lo psichiatra al manicomio! – scherzò Simona ridendo.
Manuel si accese una sigaretta con un sorriso:
Che vuoi, si dice che tutti i veri artisti non ci stiano tanto con la testa… *
Qualche giorno dopo Simona non poté trattenersi dal dare una sbirciatina ai fogli che suo fratello continuava a “riempire”… – Sei stato proprio preso da un’autentica furia creativa… – lo sfotté affettuosamente osservando l’ultima “stampa”.
Qualcosa l’attirava, la spingeva a seguire quello che Manuel “sviluppava”. – In sintesi, mi piacerebbe.. “coccolare” un po’ le parole, che veramente devono essere stufe di noi! Se si… “ammutinassero” e ci piantassero in asso avrebbero ragione da stravedere… – spiegò lui con quel suo fare disarmante con il quale rivestiva di naturalezza le astrusità che diceva. – Povera me! – esclamò Simona gettandosi a sedere sul divanetto con atteggiamento melodrammatico – Svelto, i “sali”! Tu mi manderai all’altro mondo! L’ammutinamento delle parole… questa giuro che merita l’oscar alla schizofrenia!
Manuel rise. Sapeva che la canzonatoria disapprovazione della sorella era solamente di facciata. – Schizofrenia… mica tanto. Fantasia, piuttosto, se vuoi. Fantasia magari solleticata e sostenuta da teorie “paranormali”… Tempo fa ho letto di forze della natura che si “ribellerebbero” e si rivolterebbero contro gli uomini per vendicare le violenze perpetrate dagli umani a danno della natura stessa…
Simona ribatté un po’ sorniona: – Vedi? Leggi cose che contribuiscono a sgangherare il tuo già sgangherato cervello. Quando passerai a letture più sane… tipo “Il Corriere dello Sport”?
Manuel si finse offeso: – Io sono uno sportivo… infatti ti stuzzico per sport! Su, guarda adesso. – aggiunse.
Simona guardò silenziosa.
Nuovamente nella pagina campeggiava un diagramma…



- Allora, dimmi… Ad esempio non pensi che questi “ovali” potrebbero rappresentare delle… nuvolette? – la sollecitò.
Simona scrutò più attentamente: – Nuvolette? Boh… Impiegando una massiccia dose di immaginazione… magari sì, potrebbero. – considerò con una smorfietta divertita. – Nuvolette che si irradiano da una “nuvola-perno” centrale alla quale però rimangono ancorate da dei lacci… – proseguì Manuel, convinto.
Simona scosse il capo, simulando sconforto:
– L’unico, reale “perno” della situazione, è che tu sei veramente ma veramente squinternato… – mugugnò – E perché il testo dell’ultima nuvoletta è incompleto? Addirittura la parola a metà? – si stupì. – Perché le nuvole sono fantasticherie, sogni, illusioni, chimere… ma anche speranze, “possibilità”, materializzazioni della mente e dell’animo in una dimensione superiore… non posso riempirle tutte e solo io, le nuvolette. – spiegò Manuel… o almeno, cercò di spiegare.
Simona taceva e Manuel proseguì assorto: – Ognuno ha i propri mondi da vagheggiare, gli sfocati contorni di perdute poesie da ritrovare. Ognuno ha del buono e del bello da esprimere, dolcezze lungo il tempo smarrite e da rintracciare… E le tante parole non dette… parole di bontà e affetto, d’amore, di generosità, di solidarietà, di vicinanza e comprensione… parole che sarebbero scivolate sul cuore di chi ne aveva bisogno come rugiada sui petali di un fiore…
Tacque un attimo, poi riprese per concludere sottovoce. – Sta agli altri, “completare” le nuvole…
Simona guardò il fratello. Sognatore un po’ poeta e un po’ bambino… ma al contempo saggio di una saggezza sublime e rarefatta… Manuel, che sin da piccolo si perdeva sui libri di favole… e che adesso sapeva parlare attraverso i colori e disegnare con le parole.
Si ritrovò a fargli una carezza.
Manuel sorrise: – La cosa più importante, sai, è saper ascoltare e saper dare voce a quel che si ha dentro… non disdegnare le “inconsistenze” che ci attraversano la mente, non scacciarle affermando sulla loro sconfitta il trionfo di una ragione senza sentimenti… Il nostro “io” silente vuole parlarci… dobbiamo ascoltarlo nell’irrazionale, nell’intangibile, e saper ascoltare… il sospiro di Ipno. Sì, Ipno… nei miti greci e romani era la personificazione del sonno, un genio alato che volteggiava sugli uomini carico di dolcezza.
Simona continuava a tacere, vinta dal fascino e dalla suggestione… ipnotica delle parole del fratello.
Manuel riprese: – Mi succede di sognare, o forse… immaginare, irrealtà incredibilmente coinvolgenti, quasi che ignoti ed inaccessibili canali comunicativi veicolassero parvenze che altro non sono se non messaggi di arcana sapienza…
Quando Manuel parlava così a Simona tremava qualcosa in gola. – Sì, forse verrà il giorno in cui tutti sapranno “costruire” e “riempire” le loro nuvole. Forse verrà quel giorno, magari… fra cento anni… – sussurrò commossa.
Un’emozione subitanea scosse Manuel, un guizzo di smarrimento l’attraversò…
“Fra cento anni…”.
«Ci sono cento anni di tempo…».
L’eco delle parole di Simona e le immagini del suo “sogno” si mescolarono fluttuando in un tutt’uno nella sua mente per rivivere in quegli inconsueti, traslucidi colori, e quindi nuovamente dissolversi nella fitta nebbia azzurro-intenso.
“Fra cento anni…”.
Nel ricordo di Manuel l’atmosfera ancestrale del “sogno” palpitava di vita vera…
Sì, fra cento anni…
Fra cento anni, forse…
Chissà.



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