Fantasticando (Storie e Racconti fantastici)

di

Anillo Sezzi


Anillo Sezzi - Fantasticando (Storie e Racconti fantastici)
Collana "Le Gemme" I libri per l'infanzia
14x20,5 - pp. 88 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-5964

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In copertina e all’interno illustrazioni di Selene Tedeschi


Questo libro non avrebbe mai visto la luce se non avessi conosciuto alcune persone a cui desidero rinnovare il mio più sentito “Grazie”:
Angela Bertani, prima amica e indimenticabile insegnante; Bruna Zinelli, la mia indispensabile facilitatrice, amica e confidente, presidentessa de “Il Giardino del Baobab”; Grazia Gamberini, Maria Ruini, Barbara Benatti, tre persone particolari che alla Bluewell di Carpi con musica, psicomotricità e danza mi aiutano a vivere meglio; Selene Tedeschi, mia insegnante di artistica per aver impreziosito questo lavoro con raffinate e poetiche immagini;
Pina Tromellini, illustre pedagogista e scrittrice, per le splendide presentazioni riservate ai miei primi tre libri.

Anillo Sezzi


PREMESSA

Uomo, tu che non parli oppure lo fai veramente poco, dopo un po’ pensi di essere l’unico incompreso; pensi piano piano di non avere nulla più da comunicare e anche la tua mente tace, rifugiandosi in filastrocche forzate. Quanti pensieri affidati al silenzio, quante emozioni, desideri, tristezze, gioie – e tutte le loro parole – chiudi nel cuore! E così ti prepari a sparire nell’oblio di una mente che non vuole soffrire. Aspetti, con timida speranza, una chiave che apra alla comunicazione tra cuori.
Ecco che è arrivata: la Comunicazione Facilitata. Ora puoi scrivere e mostrare ciò che veramente senti, ciò che veramente sei. Non devi più soccombere né perderti nell’oblio! Non pensare però che sia facile. Appena inizi non puoi più smettere: troppo bello è potersi esprimere. Sudore gronda dalla fronte quando devi riprendere a credere; quando, non più abituato, devi concentrarti.
A volte avrai paura che ti possano ferire con le loro risposte di incredulità, ma tieni duro, prima o poi crederanno; inoltre, già tu credi in te. Aumenterà intanto la tua consapevolezza e con essa la sofferenza di ciò che non sei, ma almeno sarai te stesso.
Ora, così sono io e ne vado fiero; perciò ti dico di non rinunciare a farti ascoltare. Se vuoi ora puoi avere, come me, una voce – finalmente – udibile a tanti!

Anillo Sezzi

(10/10/06)


Fantasticando (Storie e Racconti fantastici)


(10/10/06)


Tuono d’estate

C’era una volta un popolo solitario che viveva in America, in prossimità del Gran Canyon, e che era molto legato alle tradizioni della sua terra. Il capo tribù si chiamava Aquila Ridente ed era un buon capo. Tutti si rivolgevano a lui per risolvere ogni problema e dissolvere ogni contrasto, perché nota era la sua enorme saggezza. Il nome “Aquila Ridente” gli era stato dato da suo padre. Il Grande Spirito glielo aveva comunicato in una visione in cui un’aquila ridente volava verso il sole.
Il villaggio non era distante da una sorgente e da un bosco e la tribù non conosceva la fame visto che le donne pescavano e gli uomini andavano a caccia. La pace regnava ormai da secoli e secoli. La giovane sposa del capo, Cerbiatta che corre alla Luna, era in attesa del loro primogenito che sarebbe nato alla prima luna d’estate.
Gli anziani avevano già deciso che il nome del piccolo sarebbe stato: Tuono d’Estate. Il Consiglio degli Anziani sapeva che stava per avverarsi l’antica profezia secondo la quale un piccolo cucciolo d’uomo avrebbe squarciato il cielo con la sua forza e da quel momento tutto sarebbe cambiato. Era giunta la prima luna di primavera e la natura incominciava a svegliarsi: spuntavano le prime gemme, il grande orso era uscito dal letargo e le primule avevano coperto i prati di giallo e di lilla. Era giunto il momento di iniziare le cerimonie della buona attesa e di comunicare alla tribù la buona novella.
Fu indetto il Gran Cerimoniale di apertura in cui i giovani aspiranti guerrieri dovevano fare richiesta di entrare a far parte degli adulti, superando la prima prova di coraggio. In seguito, sarebbe stato dato loro un secondo nome che attestasse la dote migliore dimostrata da ciascuno. La prova consisteva nel camminare sui carboni ardenti perché così avrebbero potuto mostrare, oltre al coraggio, la concentrazione e l’abbandono.
Il primo giovane guerriero superò la prova con grande energia, concentrazione e coraggio. Ricevette quindi il nome di Alce Coraggiosa.
La seconda prova consisteva nell’affrontare da soli, e a mani nude, il grande orso. Purtroppo questa prova non venne superata da nessuno e questo fatto sconvolse Cerbiatta che corre alla Luna, che lo lesse come un messaggio funesto per il bimbo in arrivo. Si recò quindi subito dallo sciamano per chiedere un consiglio.
Lo sciamano, che già conosceva tutto, l’accolse con amorevolezza e, dopo averla fatta sedere di fronte a lui al di là del fuoco, le disse: “Certo non è un buon presagio, ma si può ancora cercare di cambiare il responso finale. Dovrai raccogliere tutte le erbe che ti dirò, farne un infuso e berlo tutte le sere fino all’ultima luna di primavera. Poi, vai alla Grande Montagna Sacra e porta in dono cibo per il suo grande spirito; lì ti fermerai due notti in preghiera. Alla terza mattina, vai al lago sacro degli antenati e purificati con la sua acqua per immersione. Fai tutto con precisione e vedrai che andrà tutto per il meglio”.
Cerbiatta che corre alla Luna ubbidì e fece tutto con precisione. Intanto i giorni passavano e la pancia di Cerbiatta era sempre più grossa, il figlio dentro di lei aveva sempre più forza e sempre meno era il tempo d’attesa della nascita.
I giovani guerrieri si preparavano alla prova più impegnativa: la Danza del Sole nel giorno del solstizio, lo stesso giorno in cui era atteso Tuono d’Estate.
Ecco che il grande capo ordinò ai giovani guerrieri di avviarsi verso la valle piatta, dove li aspettavano i tronchi della cerimonia. Sarebbero stati appesi per un giorno e una notte intera. La sofferenza sarebbe stata grandissima, ma sarebbe valso loro un sacro nome e l’entrata nel gruppo dei guerrieri. Riconosciuti come tali avrebbero anche potuto cercare una moglie.
Nel frattempo, Cerbiatta che corre alla Luna arrivò alla sua capanna quando già erano iniziate le doglie. Lì, ad aspettarla, c’erano le anziane che l’avrebbero aiutata a partorire. Il capo tribù doveva assistere all’iniziazione dei suoi giovani guerrieri, anche se fremeva all’idea di perdere il primo saluto alla vita del suo primogenito. Lo sciamano avrebbe invece fatto avanti ed indietro, tra il campo e la valle piatta, perché era indispensabile che fosse presente ad entrambi gli eventi.
I tamburi suonarono e i guerrieri anziani introdussero nel torace dei giovani due ossi di corno di bufalo e li appesero ai tronchi. Il fuoco era acceso, le donne e i guerrieri ballavano seguendo il ritmo dei tamburi e gli anziani fumavano la pipa. La cerimonia seguiva i tempi stabiliti da sempre. Poi, l’urlo delle anziane si alzò alto sopra le tende del villaggio e si udì fino alla valle piatta. Tutti si fermarono un attimo… era nato!
Bello e vivace, il piccolo Tuono d’Estate aveva respirato subito con forza e il suo vagito aveva testimoniato tutta la sua vitalità. Finita la cerimonia, il capo tornò al villaggio per vedere il neonato e fare il suo dono a Madre Terra in ringraziamento per la buona nascita.
Gli anni passarono sereni e il piccolo Tuono d’Estate cresceva forte e pieno di salute. Aveva ormai 10 anni quando sul villaggio si abbatté una sciagura. Un terremoto d’enorme forza spazzò via ruscelli e pianure, coprendoli con la terra d’intere montagne sbriciolatesi nel fremito del cuore della Terra.
Nel villaggio tutti erano spaventati e nessuno, nemmeno lo sciamano, riusciva a darsi una spiegazione della catastrofe. Il giovane Tuono d’Estate non si spaventò minimamente e decise che avrebbe cercato di comprendere cosa avesse scatenato tutto ciò.
Solo dopo avrebbe compreso l’entità del problema: gli spiriti degli Antenati erano furiosi e chiedevano giustizia scuotendo la terra e cambiando il corso dei ruscelli. Erano furiosi per aver subito la profanazione del Luogo Sacro del Riposo da parte dei bianchi in cerca dell’oro e anche perché il loro popolo non li aveva difesi.
Partì da solo all’alba del giorno dopo, a piedi, con pochi viveri ed un po’ d’acqua, verso la Grande Montagna Sacra che custodiva il riposo dei suoi antenati. Questo allarmò sua madre che pregò il capo tribù, suo marito, di seguire il figlio per proteggerlo. Il capo tribù rispose che suo figlio era in grado di cavarsela da solo e che non sarebbe andato per non offendere lo spirito del guerriero che era dentro di lui. La madre insistette più volte, ma senza ottenere niente e allora si rassegnò ad attendere preoccupata.
Arrivato ai piedi del monte Tuono d’Estate fu preso da enorme stupore nel vedere che tutto il sentiero che saliva verso la cima era stato distrutto dal passaggio di carri e che le tombe funerarie erano purtroppo tutte sottosopra.
“Sicuramente è per questo che il Grande Spirito è arrabbiato e, con Lui, i nostri Antenati. Devo trovare una soluzione”; pensò Tuono d’Estate mentre continuava a salire. Arrivato sulla cima chiese al Grande Spirito il permesso di potersi riposare e si sedette all’ombra di una grande roccia a forma di aquila. Da quella posizione riusciva a scorgere tutta la valle che stava sotto, notando i vari insediamenti. La frana gli sembrava enorme, vista da quell’altezza, e quasi non riconosceva il paesaggio.
Si mise a pregare, chiedendo un messaggio del Grande Spirito. Dopo molto tempo si addormentò e si mise a sognare. Era in una grande grotta e una luce proveniva dal fondo a rischiarare il buio circostante, ad un certo punto si sentì una voce che diceva: “Guiderai il tuo popolo fino ai piede della Montagna Sacra, lì vi accamperete in preghiera e rimarrete per tre giorni e tre notti, fino a che non vi arriverà un mio messaggio. Portate con voi anche le donne e i bambini. Offrite doni alla Madre Terra e gli anziani fumino la Pipa Sacra in mio onore. Ignorate i visi pallidi, farò in modo che non vi vedano. Ora vai e non ti scordare nulla!”.
Tuono d’estate pensava, fra sé, che difficilmente i capi l’avrebbero ascoltato, ma non sapeva che il Grande Spirito lo aveva vestito di luce. Iniziò a scendere verso la valle e gli animali sembravano venire sul sentiero per salutarlo, anche la grande e nobile aquila volava in tondo sopra la sua testa. Il canto degli animali annunciò il suo arrivo e tutti gli abitanti del villaggio gli andarono incontro, attratti dalla luce che emanava.
Allora, quando gli furono tutti vicino, prese la parola e tuonò: “Il Grande Spirito mi ha parlato, il Suo messaggio è chiaro: dobbiamo andare alla grande Montagna Sacra, pregare e fare offerte a Madre Terra; preparate viveri per tre giorni”.
Stupiti, tutti si misero a preparare e in poco tempo furono pronti per partire. Tuono d’Estate apriva la fila, era veramente splendente e a nessuno venne in mente di mettere in dubbio anche una sola sua parola. Arrivati ai piedi della montagna, montarono un campo provvisorio dove preparare il cibo e far riposare i bimbi e i vecchi. Iniziarono poi le cerimonie, che sarebbero durate tre giorni e tre notti.
Al terzo giorno ancora non avevano ricevuto nessun messaggio e cominciavano a calare le forze dei danzatori. All’ultima ora, il piccolo Tuono d’Estate si alzò e incominciò a salire la montagna per chiedere al Grande Spirito un segno. Ad un certo punto il cielo cambiò improvvisamente, diventando cupo e nero. Una luce scese dal cielo e illuminò a giorno il giovane guerriero che, per la seconda volta tuonò, ma questa volta pronunciando direttamente le parole dello Spirito: “Da ora in poi mai più dovrete permettere che il Luogo Sacro sia profanato”.
Così fu da allora in poi. Il giovane guerriero, anni dopo, divenne un grande e giusto capo tribù e la sua fama si sparse su tutto il pianeta.

(17/03/09)


Il sogno ricorrente

Violente raffiche di vento alzavano enormi onde che, fragorosamente, si gettavano sugli scogli per superarli e raggiungere la strada del piccolo paesino della Bretagna. Gli alberi si piegavano di lato, toccandosi l’un l’altro quasi a volersi sorreggere. Le strade deserte sembravano spazzate a festa da quel vento autunnale. Io camminavo attaccato ai muri della casa perché non sopportavo tutta quell’aria sul viso.
Quattro dei miei otto alunni si erano trasferiti a studiare in città, io rimanevo lì, essendo di ruolo nell’insegnamento proprio in quel paesino. Avevo provato a chiedere il trasferimento, ma ancora non avevo ricevuto risposta. Io e i miei scolari saremmo morti di noia – già lo sapevo – purtroppo. Guardavo le barche dei pescatori tirate a riva e sognavo tempi migliori. Poi anche il ricordo prese forma, cavalcando le onde avanzava come cavaliere dai mille volti, muovendo tutta l’emozione che il mio stomaco riusciva a contenere. La mia gola era diventata arsa e i miei occhi assumevano quel rossiccio aspetto trasognato di chi sta sognando e piangendo contemporaneamente.
Distinguevo benissimo il suo viso; lei, che tanto avevo amato, ricompariva dopo tanti anni materializzandosi in un’onda. “Laura, Laura quanto ti ho amato!”.
Tutta la forza di quel sentimento stava per esplodere, quando sentii una voce pronunciare il mio nome: “Paolo, amore mio, che fai qui da solo? Torna a casa”.
Mi girai a guardare, ma senza vedere nessuno. Tornai indietro, senza accorgermene avevo iniziato a camminare ed ero arrivato sul promontorio. Che camminata mi ero fatto! Ora dovevo tornare.
Sconvolto dal ricordo della visione del suo viso e con il suono di quella voce ancora nelle orecchie, arrivai davanti alla porta di casa mia. Tutto silenzioso. Nessuno si aggirava nei paraggi.
“Paolo, Paolo che hai? Stai bene? È mezz’ora che ti chiamo”. Disse una voce, ancora una volta, dietro di me. Rabbrividii all’idea di sentire ancora quella voce poi, per fortuna, mi sentii toccare una spalla. Era Giovanni, il fabbro che avevo chiamato ad aggiustare la porta sul retro, rotta ormai da tre settimane.
“Ah, sei tu! Finalmente! Ti ho aspettato per ore prima di uscire a fare una passeggiata. Entra che prima ti faccio un caffè”; risposi con voce ridente e tranquilla. Pensai, intanto, che due chiacchiere mi avrebbero fatto proprio bene.
“Che tempo, eh, Paolo? Mai vista una stagione così infame ad inizio autunno. Quando vai in città? Se me lo dici, magari ti chiedo di farmi una commissione. Hai visto che faccia aveva Rosita ieri? Dobbiamo fermarlo, o continuerà a picchiarla. Che vergogna! Il parroco ci ha parlato, ma lei lo difende e nega. Povera disgraziata! Peggio per lei. Io vorrei…”.
Mi aveva invaso con un fiume di parole e già non lo ascoltavo più. Quasi ad indicarmi che aveva compreso che non lo stavo più ascoltando, si fermò e mi guardò con occhi intensi e interroganti, quasi mi chiedesse che avevo. Gli sorrisi imbarazzato e poi, quasi a voler cancellare quel momento, gli dissi: “Vai allora in città nei prossimi giorni? Avrei bisogno che tu mi andassi alla Posta a svuotare la mia cassetta di fermo posta. Basta una delega e la chiave. Ci conto?”.
“Contaci pure, amico mio, ci andrò. Ora, mettiamoci al lavoro”. Mi rispose con gentilezza, ma in realtà si era un po’ offeso. Non poteva comprendere il mio stato d’animo. Quando stava per uscire gli diedi la delega, la chiave e abbozzai uno: “Scusami, sono fuori di testa”; e lui ammiccò comprensivo.
Erano mesi che non aprivo quella cassetta, chissà cosa c’era dentro, ero curioso. Intanto era scesa la notte e decisi di cenare. Cucinai un pasto frugale e, dopo aver ascoltato il telegiornale, andai a letto a leggere quel libro strano che avevo iniziato due sere prima.
Passarono circa due ore e mi addormentai, erano solo le ventidue e trenta, presto è vero. Ma alle quattro riaprii gli occhi a causa dell’ansia che mi aveva trasmesso quell’orribile sogno che mi perseguitava, da tre mesi ormai, tutte le notti.
Anche questa notte mi ero svegliato tutto sudato e con l’immagine negli occhi di uno strapiombo sotto la mia auto. In bilico sullo strapiombo, l’auto dondolava paurosamente mentre una luce, che proveniva dall’alto, mi abbagliava costringendomi a tenere gli occhi chiusi. Poi, un dondolio più forte mi faceva sobbalzare percependo la caduta e sopraggiungeva il terrore; poi, il buio del cuore. Solo allora mi svegliavo nel mio letto.
Era proprio dalla comparsa di quel sogno che avevo smesso di guidare l’auto. Avevo pensato ogni possibile causa e ogni significato più nascosto, ma alla fine mi ero convinto che fosse un sogno premonitore e che bastasse smettere di guidare, così infatti avevo fatto.
Anche quella notte mi ero svegliato tutto sudato e spaventatissimo e decisi che quel sogno non si sarebbe mai più verificato, a costo di non chiudere mai più gli occhi di notte. Mi alzai tutto dolente e sudato, ma con la convinzione di aver compreso. Proprio quella mattina avevo avuto una chiara visione di cosa era successo, di quale era il senso di quel sogno.
L’idea di essere stato salvato da un’entità superiore mi sconvolgeva profondamente. Pensavo che in un altro momento sarei stato più incredulo, invece quella mattina era certo che non poteva essere andata in modo differente.
Ero stato salvato da una navicella extra terrestre. La grande luce, che avevo visto precipitando, null’altro era che un raggio trasportatore di una navicella spaziale, che aveva sostenuto l’auto e che mi aveva salvato la vita.
Ritornavano lentamente i ricordi di piccoli particolari e tutto si faceva chiaro. Compresi anche altri fatti e altri ricordi strani. Sprazzi di immagini mi apparivano improvvisamente, come strade percorse senza un ricordo, ingiustificati balzi in avanti del tempo e strani occhi che mi guardavano… I ricordi incominciavano ad affluire in modo sempre più veloce, riempiendomi la mente, ma quello che più m’impressionò fu il ricordo di quando ero sulla navicella davanti ad un grande schermo e mi passavano davanti agli occhi immagini a velocità pazzesca.
“Ti stavano addestrando”, disse una vocina dentro di me. “Addestrando? Ma a fare cosa?”, mi domandai.
A quel punto risentii “la voce” e compresi che anche quel sentirsi chiamare altro non era che un ricordo trasformato di quell’avventura. Ma se avevo ricevuto una missione da compiere, cosa ci stavo a fare ancora in quel paesino? Dovevo andare! Ma dove? Il caos si era impossessato della mia mente, altro non potevo fare di saggio che fermarmi a riflettere.
All’improvviso suonò la sveglia e ricordai che dovevo tornare a scuola, i miei alunni mi aspettavano, avrei dovuto quindi rimandare tutto a quella sera.
Il giorno trascorse velocemente, e le sedici arrivarono senza che quasi me ne accorgessi. Altri ricordi erano affiorati. Ora sapevo quale missione mi era stata affidata: dovevo aprire una scuola e istruire un gruppo di giovani da mandare agli angoli della terra perché istruissero altri giovani e così sarebbe nato un nuovo popolo, una nuova coscienza. Dovevamo costruire l’era del rientro.
Spaventato, avevo rimosso ogni ricordo, ma ora che era tornato non potevo più cacciarlo. Avrei agito ad iniziare dall’indomani.
Certo non potevo lasciare la scuola e soprattutto i miei scolari a quel punto dell’anno scolastico, ma avevo tante cose da fare prima di andarmene sul continente.
Via via che tornavano i ricordi mi stupivo di tutte le cose che sapevo; le conoscenze arrivavano a flotte, mi bastava guardare un oggetto e subito sapevo ogni suo particolare.
Decisi che avrei dovuto cercare una casa sul Conti­nente che mi servisse da base e da scuola. L’indomani avrei preso il primo traghetto. Mi sforzavo di segnare ogni ricordo, così che successivamente avrei potuto decidere un programma. Ben presto però, mi resi conto che dovevo smettere di pensare come un insegnante di scuola, affidandomi alla mia nuova condizione. Ora, non sognavo più il dirupo, ma meravigliosi paesaggi stellari. Ecco che era iniziata una storia nuova.

(26/05/09)


[continua]


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