Finta serenità

di

Angelo Passera


Angelo Passera - Finta serenità
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 38 - Euro 7,30
ISBN 978-88-6587-6725

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Il volume che si compone di sette racconti, dietro il sorriso e l’allegria di taluni smantella ironia e riflessione per gli altri. Il racconto “Connessa o fessa” è ambientato nel paese di Sant’Angelo Lodigiano, abitanti unici per la loro simpatia e per la loro maniera di parlare. Personaggi dai nomi alquanto stravaganti fanno da cornice a questo racconto, dove ambienti e vicissitudini sembrano toccare le stelle. “Una patina di peccato” ha per protagonista Don Estasi, di nome e di fatto, che dopo un insolito incontro con una prostituta, viene preso come esempio di umanità e tolleranza verso il prossimo. “Vuota senza di te” è un racconto ironico che, dietro all’attesa della persona tanto amata, nasconde una piacevole sorpresa. “Finta serenità” vede nella protagonista, una psicologa, la persona che induce alla riflessione, “la realtà più difficile non è costruirsi una maschera esteriore che nasconda le occhiaie alla vista altrui, ma alzare quel velo interiore che oscura al prossimo la confusione che si ha nella propria testa”. “Rabbia oppressa” vede la reazione quotidiana insistente e ripetuta di un ragazzo che scopre di essere sieropositivo. “L’apprendista leader” vede nel protagonista un desiderio innato di emergere. “Il tango della solitudine” è la storia di un donna sempre in ansia per il lavoro, ma l’amore bussa sempre alla sua porta.


Geri 1964


Finta serenità


In copertina: Fotomontaggio di Angelo Passera. Fotografie di Angelo Passera


Finta serenità

Fondotinta, matita, mascara, ombretto, ci vuole arte per mascherare l’effetto di una notte insonne, ma ormai Clara ne ha appreso il segreto. Ci vuole un po’ di tempo, non bisogna avere fretta, non riuscendo a dormire, di mattino non è mai di corsa e l’unico aspetto piacevole di questa insonnia è il tempo guadagnato. Per il resto, le occhiaie le scendono giù fino quasi al mento e ha proprio un aspetto orribile, tuttavia a tutto c’è rimedio ed eccola lì, pronta per uscire, con la sua maschera di finta serenità stampata sulla faccia.
La cosa più difficile non è costruirsi una maschera esteriore, che nasconda le occhiaie alla vista altrui, ma alzare quel velo interiore che oscura la confusione che ha dentro la testa. Ogni giorno, però, bisogna rivestirsi anche l’anima e non bastano il trucco ed un paio di calzoni a fare ciò, ci vuole un gran lavorio dei muscoli facciali nello stampare sorrisi di convenienza e nel fingere partecipazione durante l’ascolto di una conversazione di cui non te ne importa assolutamente niente. “Buongiorno signor Piero, come va oggi? Sua moglie come sta? Le vacanze al mare le avete trascorse bene?” “Non direi, il secondo giorno mia moglie è stata male, c’era qualcosa nel mangiare che non ha digerito, così è stata di cattivo umore per quasi tutta la settimana, continuava a lamentarsi e a inveire contro tutti, camerieri, passanti, un bambino che in spiaggia le aveva lanciato della sabbia, un cane che abbaiava, io non so davvero se portarla ancora in giro.” “Peccato, speravo che la vacanza le facesse bene, adesso, però, devo andare, saluti anche la moglie.” “Arrivederci Clara, lei è sempre tanto cara.”
Il colloquio mattutino con il vicino Piero è il primo incontro che le consente di alzare quel velo che la separa dagli altri, di mascherare la sua malinconia, in fondo quell’uomo sta peggio di lei, ha quasi ottanta anni e ancora tanta vitalità, ma deve consumarla tutta per assistere la consorte malata. “Buongiorno Stefania, visto cose interessanti oggi?” “Sgrunt!” La solita imposta chiusa di scatto e il solito verso scortese davanti al suo saluto. La signora Stefania è la dirimpettaia, ha quasi settanta anni ed una gamba di legno, il diabete le ha portato via quella vera, così passa tutto il giorno appostata dietro la finestra ad osservare i passanti e qualche volta, con il binocolo, spia ciò che accade dietro le finestre altrui. Non si rivolge mai a lei quando passa di lì, ma stavolta non si dà per vinta e continua a salutarla allegramente, in fondo anche la povera Stefania ha bisogno di un sorriso e Clara è convinta che qualora dovesse smettere di salutarla, la dirimpettaia bisbetica e spiona in fondo ne soffrirebbe.
Ci vogliono pochi passi a piedi per raggiungere il suo studio, una targa piuttosto appariscente troneggia sopra il citofono, “Dott.ssa Clara Ponti, psicologa.” Il primo paziente ha fissato l’appuntamento per le dieci e trenta, si tratta di Carmela, una ragazza che a soli sedici anni ha già fatto il giro di tutti gli psicologi del quartiere. È chiusa in se stessa, disegna alberi come esplosioni nucleari, vede e sente cose che non ci sono. Parla da sola, si rivolge a se stessa in tre o quattro modi diversi, come se fosse una bambina indifesa, un ragazzo dispettoso e sadico e a volte come se fosse un vecchio moribondo. La sua personalità è sepolta chissà dove. Lei l’ascolta e cerca di scovare sotto quelle voci la vera Carmela, ma non è facile fare le domande giuste, è da un po’ di tempo che la ragazzina sente in testa anche la sua voce. Non avrebbe voluto diventare ingombrante con le sue domande, ma la ragazza è così delicata che qualsiasi cosa le pesa, anche guardare la televisione, i telegiornali sono così tristi, c’è violenza, fame e miseria in molte parti del mondo. Da tutto questo è sopraffatta e a volte ha desiderato morire perché si sentiva senza nessuna via d’uscita da quel gorgo di voci, da quella sorta di carogna nera che le si era posata sulle spalle e non voleva più andare via.
Quell’ora nello studio di Clara è per Carmela un momento di sfogo, la dottoressa la guarda sempre con occhi penetranti, sembra volere entrare dentro e lei lascia la porta aperta, perché chissà che non possa, seguendo quegli occhi, uscire un giorno dal buio interiore in cui da tempo si dibatte.
“Se hai bisogno di qualcosa, chiamami in qualsiasi momento, anche di notte, non avere timore di svegliarmi, tu sei più importante.” “Lo farò, se ne avrò bisogno, ma sinceramente vorrei cavarmela da sola. Ci vediamo la settimana prossima.” Arrangiarsi è quello che vorrebbero fare tutti i suoi pazienti, ma raramente ce la fanno, così vanno da lei e la giornata vola veloce tra malattie mentali vere o immaginarie, tra liti in famiglia e depressioni post partum, in ogni caso c’è spesso da calarsi in solitudini interiori di cui si fa fatica a vedere il fondo. Per la maggior parte sono persone che hanno famiglie alle spalle, spesso desiderose di aiutare il proprio caro in difficoltà, ma non c’è verso che ci riescano e a volte Clara dubita di riuscirci, perché andando a scavare tira fuori sempre più nero.
L’ultima seduta si conclude sempre alle sette di sera, giusto in tempo per il panettiere, l’ultimo colloquio quotidiano in cui mantenere fermo quel velo che copre la sua malinconia, perché tutti hanno più bisogno di un sorriso di quanto non ne abbia lei, a cui non manca nulla o quasi. Lavoro, soldi, una bella casa ed anche un fidanzato innamorato che presto la sposerà. Con quello che sente tutti i giorni si accorge di essere più felice di tanti altri, così sorride a tutti e saluta con voce squillante, “Buonasera signor Stefano, per domani mi tenga via un paio di rosette, che passo sempre tardi, ma non voglio rinunciare al pane fresco.” “Buonasera signorina Clara, non si preoccupi, è il minimo che possa fare per una persona come lei, che porta il sole ogni volta che varca la soglia del mio negozio.” “Troppo buono Stefano, non sia così compiacente, che mi commuove con tutti i suoi complimenti.”
Clara chiude finalmente così la porta della sua casetta e lascia fuori il mondo. Una telefonata con Aldo, il suo amore, un po’ di tv o un bel libro e poi la testa appoggiata sul cuscino per riposare ed ecco che ricomincia l’ennesima notte insonne, fatta di tutte quelle voci di dolore che sente durante il giorno e a cui vorrebbe dare risposta. Senza contare che a quelle voci si somma la sua, che le sussurra: “Clara, ti prego basta, fammi uscire di qui, smetti di sorridere e lasciami essere di malumore appena per un giorno, perché non basta avere tutto per essere felici e a volte anche tu ti arrabbi e vorresti gridare.” Cerca di spegnersi, ma sprofonda in un altro incubo e si trova a camminare per la casa senza sapere dove si trovi, ad aprire la finestra guardando giù e solo allora si rende conto di dov’è, ma nel frattempo qualcosa è successo, deve avere gridato, il signor Piero sta scampanellando a più non posso, “Clara, tutto bene?” “Sì, signor Piero, ho avuto solo un incubo.” “Venga fuori sul pianerottolo, la prego, si faccia vedere.” “Signor Piero, eccomi qua, sto bene.” “Tutto ok, è stato un incubo pare,” sussurra il signor Piero nel telefonino al carabiniere che sta all’altro capo del filo. “Sa, Clara, credevo che ci fosse in casa un rapinatore e così ho chiamato il 112.” “Mi spiace di averla svegliata, ho il sonno un po’ disturbato.” “Se ha bisogno di qualcosa signorina, io sono qui, mi raccomando, si figuri sono vecchio e non dormo quasi mai, poi potrei essere suo nonno per cui venga pure da me se non riesce ad addormentarsi, che facciamo una partita a carte e ci beviamo una camomilla insieme.” Clara prende la palla al balzo e quel nonno decide di adottarlo, così lascia il suo letto vuoto e ormai inutile e va a giocare a scopa dal signor Piero.
Un giorno lei si sposerà e ci sarà Aldo a farle compagnia, ma nel frattempo cosa sarebbe la sua vita se non ci fosse quel vicino che, quando occorre, con un piccolo gesto, dà valore a tutti quei suoi sorrisi che spesso vengono fuori con fatica?


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