Il cerchio del tempo - Ramon e Rosa

di

Andrea Scano


Andrea Scano - Il cerchio del tempo - Ramon e Rosa
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 48 - Euro 6,00
ISBN 978-88-6037-281-X

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Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è finalista nel concorso letterario «J. Prévert» 2006


Prefazione

“Il cerchio del tempo” di Andrea Scano è un romanzo da leggersi tutto d’un fiato con quel susseguirsi di strani fenomeni, apparizioni, accadimenti incomprensibili che vanno oltre la logica e proiettano in un mondo paranormale.
Fin dall’inizio si assiste al verificarsi di fenomeni ed eventi inspiegabili e, nella penombra della sera come in una splendida giornata di sole, si incidono strani segni sulle pareti di casa, e poi luci che si spengono, mobili che scricchiolano, fino a manifestazioni di entità e fantasmi che sembrano voler comunicare qualcosa di misterioso o mettersi in contatto per una salvazione.
La curiosità si fa pressante e porta il protagonista ad interessarsi a questi fenomeni e cercare così di approfondire la materia dell’occulto. In un negozio gli viene regalato un libro nero contenente riti magici, formule in lingue sconosciute, rituali per evocare le forze del bene e del male: come un’offerta, una possibilità per potere comunicare con quelle misteriose presenze e capire cosa vogliono o proteggersi dallo sprigionarsi di eventuali forze malvage.
Ecco allora che, attraverso il rito d’iniziazione del “cerchio magico”, una voce spettrale lo conduce a ripercorrere la tragica vicenda di Ramon della Spada, condottiero spagnolo, principe di Santiago, e la sua straziante storia d’amore con la bellissima Rosa.
Andrea Scano ripercorre la dolorosa storia d’amore e le sanguinarie vicende che ne seguono, riuscendo sempre ad alimentare il racconto con brevi riferimenti come a centellinare il recupero d’un evento lontano nel tempo e renderlo “vivo”, pagina dopo pagina: il grande amore tra Ramon e Rosa, il matrimonio, la loro capacità di governare con giustizia ed onestà, l’odio e l’invidia della cugina Alisia, innamorata anche lei di Ramon, donna avida di potere che, con un piano diabolico, convince Rosa d’un inesistente tradimento di Ramon, poi la morte della dolce e innocente Rosa e, infine, la folle vendetta di Ramon, l’orrore e il sangue che sgorgano fino all’inevitabile epilogo.
Nel “cerchio del tempo” di Andrea Scano si assiste alla trasformazione dell’amore tra un uomo e una donna, unico e assoluto, meraviglioso e invidiato da tutti, in un sentimento di odio profondo, di crudeltà oltre ogni limite e, nel susseguirsi delle vicende, pervase da ferocia e implacabile sete di vendetta, grazie ad un magico libro che fa aprire le porte alle forze del male, si innesta la volontà di “dare pace agli spiriti” che vagano sofferenti e ricomporre i resti d’un materiale squartamento per riportare “nella terra” ciò che vaga nell’infinito.
Le manifestazioni ultraterrene, la reincarnazione in vite precedenti, gli incubi e gli spiriti erranti diventano simboli che possono far liberare la fantasia dalla materiale realtà quotidiana, così come dalle misteriose presenze nella vita, dai rituali d’un libro d’occultismo, dal vertiginoso salto nel tempo passato e riportare alla luce un racconto sconvolgente.

Massimiliano Del Duca


Il cerchio del tempo - Ramon e Rosa

Quello che sto per raccontarvi potrebbe iniziare come i soliti racconti: in quella notte buia e fredda si vide un’ombra, ma non è così.
È avvenuto di giorno, in una splendida giornata di sole quando la gente non ha timore dei fantasmi della mente, delle paure più nascoste, dei mostri che si porta dentro sin dalla prima infanzia.
Tutto iniziò dopo pochi mesi dalla mia nascita. Premetto: nel luogo dove sono nato vi erano state misteriose morti. Da tempo immemorabile i vecchi del paese… mormoravano addirittura di una famiglia intera che venne sotterrata nelle cantine e mai esumata…
Ancora oggi, quando passo vicino a quella casa, provo un brivido di freddo, sembra una villetta da film dell’orrore. Il suo colore giallo ocra, gli alberi che la circondano e che nella penombra della sera, sembrano dei grossi guardiani che stanno lì a proteggere il suo segreto, quel cartello scolorito con scritto vendesi, quel pozzo abbracciato dagli arbusti, regalano quell’aria di mistero che tiene lontani i curiosi. Continuando ad alimentare i racconti dei vecchi vicino al camino nelle sere d’inverno.
Ma fatemi continuare il racconto.


Una mattina mia madre mi stava cambiando, mi avvolse in fasce e poi mi prese in braccio cantandomi una ninna nanna.
Tutto ad un tratto una forza estranea a tutte le logiche strappava la mia fasciatura come se fosse stata tagliata da un paio di forbici. Lì cominciò l’orrore. Croci, segni strani apparvero sui muri, le porte iniziarono a cigolare.
Questo durò per parecchio tempo; persino la benedizione del prete non riuscì a far smettere questi fenomeni, definiti da alcuni come paranormali.
L’unica soluzione era quella di trasferirci in un’altra casa; ma il male mi seguì.
Entrati nella nuova casa trovammo le pareti imbrattate di frasi incomprensibili, maledizioni rivolte a chi avesse vissuto al suo interno. Il lungo calvario di paura ricominciò.
Mia madre andò in sette chiese, prese delle ampolle d’acqua santa e le fece murare nelle pareti, cosicché dopo l’inusuale cerimonia ci stabilimmo nella nuova casa.
Passati pochi mesi tornò tutto come prima: riapparvero croci sulle pareti, i mobili scricchiolavano, le luci si spegnevano da sole; l’unico cambiamento… non apparivano più minacce.
Col tempo mi abituai a quei fenomeni, i fantasmi che ora si manifestavano non ci avevano mai fatto del male, a volte sembrava che volessero comunicare ma qualcosa glielo impediva. Da quando entrammo nella nuova casa queste apparizioni aumentarono. Tutto questo non fece altro che alimentare la mia curiosità su questi fenomeni, volevo sapere cosa realmente volessero da me, il perché mi avessero seguito anche nella nuova casa e ora ero io che volevo comunicare con loro.
Ricordo sempre la preoccupazione di mia madre quando parlò di questi fenomeni col parroco. “Don Sandro ho paura per Andrea, dai primi giorni della sua nascita sono accadute cose incomprensibili a qualsiasi logica, credo che mio figlio richiami questi fantasmi. C‘è qualcosa che li lega, ma non riesco a capire cosa. Pensavo che la causa di quei fenomeni fosse la casa dov‘è nato, ma venuti a vivere qui tutto è tornato come prima. I fantasmi sono tornati a manifestarsi, certo non ci hanno mai fatto del male, ma io rimango sempre terrorizzata per Andrea. Cosa vogliono da lui? Chi sono?” Don Sandro diede la sua risposta tentando di tranquillizzarla.
“Cara Silvia, capisco il tuo timore, io prego perché queste anime abbiano un po’ di pace. Tuo figlio è la chiave di questi fenomeni che noi dobbiamo ancora capire, questi fantasmi vogliono qualcosa da Andrea ma non riescono ancora a comunicargliela. Vedi, persino il fatto che non abbiano mai manifestato intenzioni malvagie fa credere che questi spiriti vogliano chiedere qualcosa che solo tuo figlio potrà dargli.”
“Don Sandro… si ricorda quelle frasi che apparvero sui muri? Erano di minaccia per chi avesse abitato in questa casa”.
Mia cara, come ti ho spiegato, le porte dell’aldilà sono infinite. Se ricordi prima apparivano frasi di manaccia, poi dopo che hai fatto murare le ampolle i fenomeni si sono attenuati facendo sparire quell’alone di malvagità. Quello che possiamo fare per aiutare Andrea è stargli vicino e pregare per le povere anime che vagano in questa casa”.
Il discorso tra Don Sandro e mia madre mi fece capire che la causa ero io. Quei fantasmi che vedevo durante tutta la giornata, che stavano lì a guardarmi e che ormai convivevano nella mia casa. Erano lì per me.
Volevano qualcosa da me… ma che cosa?
Questa curiosità mi portò ad interessarmi a questi fenomeni e approfondire la materia dell’occulto.
Seguii il consiglio di un amico e andai presso un negozio dove si scambiavano riviste.
Quando entrai rimasi sbalordito. No, se devo essere sincero, impaurito.

Il negozio era spettrale: le luci molto basse e si respirava l’aria dei luoghi adibiti alle scienze occulte: un’aria di magia.
Mi misi a curiosare negli scaffali e improvvisamente mi si avvicinò un signore: magro e alto con una papalina in testa. Era cadaverico, da far paura; in mano aveva un libro dalla copertina nera. Mi fissò lungamente, poi mi disse con voce lugubre. “Cerchi questo?... È inutile che continui nella ricerca. Prendilo e leggilo, troverai quello che cerchi”.
Pieno di paura presi il libro; gli diedi del denaro, ma lui mi fermò: “È un mio regalo”.
Lo ringraziai e trafelato corsi subito a casa. Non vedevo l’ora di sfogliarlo: la copertina era in pelle nera molto morbida.
Mi misi immediatamente a leggere. Le pagine venivano ingoiate dalla mia mente, quello che c’era scritto mi appassionava: astruse formule, lingue sconosciute ed incomprensibili… rievocavano tutte dei riti magici.
Compresi come evocare le forze del bene e del male e come proteggersi da qualsiasi forza contraria e in special modo da quelle malvagie.
Più sfogliavo, più la mia sicurezza aumentava e comprendevo. Quel libro aveva il potere di farmi sentire sicuro, avevo la possibilità di comunicare con quelle presenze e capire cosa volessero da me.
Incominciai a recitare il rito d’iniziazione. A metà lettura tutta la stanza fu invasa da un fumo biancastro; apparvero delle figure: erano tante, uomini e donne di diversa età.
Non osavo muovermi da dentro il cerchio. Gli spettri allungavano le mani, volevano strapparmi via dal cerchio magico.
Continuavo a leggere e ad ogni frase sentivo le loro voci che cambiavano tono. Ero riuscito a calmarli e feci loro delle domande sul perché mi perseguitassero.
Rispose quello che sembrava il più anziano: una figura autoritaria con una lunga barba bianca; i suoi indumenti sembravano quelli dell’antica Spagna.
Mi disse che io ero la reincarnazione di don Adelgardo Dianz de Sitar cavaliere di Calatrava, dell’ordine della Torre e della Spada, Principe di Santiago, Marchese di Valenza, chiamato da tutti Ramon della Spada, in onore di un avo e per la bravura nell’uso dell’arma. Condottiero spietato che distrusse villaggi e città: dove passava lui non rimaneva traccia di vita.
Loro erano le vittime che non avevano pace per i crimini commessi all’epoca.
Rimasi così sconvolto che, con rabbia, pronunciai le formule per farli scomparire. Stetti per ore a pensare alle parole del vecchio.
Passato lo sgomento la curiosità mi portò a ripetere il rito.
Preparato il cerchio magico invocai nuovamente gli spettri deciso a conoscere tutta la verità su Ramon.
Si ripresentò il vecchio da solo, lo tempestai di domande e pieno d’ansia gli chiesi chi fosse: mi disse che era uno dei miei generali più fedeli.
Poi continuò col suo racconto. Ogni sua parola per me era come una coltellata al cuore. Non riuscivo a concepirmi in sembianze così crudeli.

Manuelito della Stradera, questo era il nome del generale, mi disse che avevo gli strumenti, ero in possesso delle capacità per ripercorrere il mio passato.
Ricordo distintamente le frasi che pronunciò: “Il libro Vi è stato donato con uno scopo ben preciso, farVi comunicare con noi tramite le forze della magia. Un rito Vi farà ripercorrere il vostro passato.
Prima Vi farò vedere come sarà il vostro aspetto tra dieci anni”.
In un attimo un alone di fumo bianco. Una figura si materializzò, un giovane a cavalcioni di una moto. Capelli lunghi e neri, occhi castani, i suoi lineamenti non tradivano: ero io.
Il vecchio disse che avrei capito tutto quando avrei visto Ramon. Ancora non mi fidavo dello spettro, così, per rimanere protetto, rimasi dentro il cerchio.
Mentre facevo il rituale mi sentì preso da un vortice: in un attimo mi trovai fuori dalla stanza. Ero all’interno di un castello, tra cortigiani e servi.
In una stanza accanto sentivo delle urla, aprii la porta e vidi me stesso. Vidi quel viso che sarebbe stato il mio all’età adulta, con in mano un coltello arroventato che s’infilava nelle carni di un povero sventurato.
Accanto a me il fantasma di quell’uomo mi guardava. Aveva la faccia triste, quasi di rimprovero, ma io non mi sentivo colpevole di quello che succedeva, ero solo schifato da quelle torture, arrabbiato per la mia impotenza, per non poter intervenire e fermare quell’orrore.
Il vecchio fece cenno di seguirlo e ci avvicinammo a una porta alla destra di un grande salone. Sui muri vi era un grande quadro, ritraeva una figura a cavallo. I suoi occhi, i suoi lineamenti, la somiglianza era impressionante. Mi sembrava di guardarmi allo specchio.
Aprii la porta e rimasi folgorato dalla bellezza di una donna: i suoi capelli neri, i suoi occhi verdi; la sua carnagione chiara mi ricordavano la luna piena.
Era seduta.
Alle sue spalle una vecchia signora le spazzolava i capelli.
Guardai Manuelito, lui con un sorriso disse. “Questa era vostra moglie”.
Rimasi non so per quanto tempo ad ammirarla: la sua bellezza mi ammaliava, sentivo il cuore scoppiare.
La brusca voce di Manuelito interruppe quell’idilliaco momento e si fece severa mentre mi raccontava di Rosa.
Questo era il nome della fanciulla, nome di un bellissimo fiore, splendido come lei.
“Il vostro odio, la vostra pazzia distrusse l’amore tra Voi e Rosa, un amore che creò tante invidie… il sangue di Rosa fu versato per vostro ordine. Quel sangue fu l’inizio della vostra rovina.
La morte di Rosa Vi portò a una guerra fratricida, una vendetta folle che macchiò il vostro onore.
Voi e Rosa eravate così innamorati…
Ricordo il giorno che venne a vivere al castello con suo padre, era un piccolo fagottino. Il padre di Rosa salvò in battaglia Vostro padre, che lo volle premiare portandolo a vivere al castello e dandogli il titolo di Cavaliere della Croce e Maestro d’armi. Così divenne il vostro insegnante nell’arte della spada.
Voi e Rosa cresceste insieme e sin da quando eravate piccoli le dame del castello mormoravano di un vostro futuro matrimonio.
Ogni momento libero che avevate era occasione per allontanarvi e andare al fiume per stare insieme. Un amore troppo grande per non creare delle gelosie.
Non servì neppure tutto l’amore che avevamo per Voi a salvarvi dalle insidie di vostra cugina Alisia, una donna avida di potere. Bellissima, dai capelli rossi, gli occhi neri, alta e sensuale. Ma soprattutto innamorata di Ramon sin da bambina.
Alisia era vostra consigliera, manteneva i rapporti con gli altri feudi.
Era una donna forte e intelligente. Temeva solo una persona: il Vostro maestro d’armi. Che, non so perché, ma pare non si fidasse di Alisia. Per Vostro rispetto e quello che nutriva per Vostro padre non riferì mai il suo sospetto.
Alisia convinse Rosa che Ramon non l’amava, ma la sua malvagità non finì lì. Seguendo un suo ben congeniato piano gli presentò il Conte Pablo de Nubarra, acerrimo nemico della vostra famiglia”.
Interruppi le parole di Manuelito e gli chiesi di farmi rivivere quegli attimi d’amore con Rosa, volevo capire perché un uomo si può trasformare in un criminale così atroce.
Manuelito prese la mia mano e in un attimo mi trovai vicino a un fiume, tutto intorno un prato verde, con i colori dei fiori più belli, il canto degli uccelli. Ero incantato nel vedere quel paesaggio: era il luogo più bello che avessi mai visto e tutto a un tratto delle risate attiravano la mia attenzione.
Nel fiume i due giovani facevano il bagno, le loro risate si confondevano col canto degli usignoli, la loro allegria era tutt’uno col paesaggio. Dovevano essere tanto innamorati, quell’amore che tanti sognano, un amore che da due cuori ne crea uno solo.
Manuelito si sedette e incominciò a raccontare; mi disse che Rosa entrò presto nella mia vita, lei figlia del mio maestro d’armi, io nobile Idalgo. Ad un tratto la voce di Manuelito ruppe bruscamente la visione.
“Quando eravate bambini stavate sempre insieme e il castello si riempiva della vostra allegria, scoppiava all’improvviso come percorso da incessanti terremoti di risa. Ricordo quando dovevo inseguirvi nei saloni del castello. Ricordo distintamente Rosa. Vestiva con pantaloni e stivali che insieme ai capelli corti la facevano sembrare un maschiaccio. Eravate sempre raggianti, c’erano scherzi per tutti; i soldati erano terrorizzati quando eravate insieme. Il vostro amore era conosciuto e invidiato in tutta la terra di Spagna.
Ma il seme dell’invidia e della gelosia si insidiava nel castello: sin da piccola vostra cugina cercava in tutti i modi di distruggere il vostro amore, proprio quell’amore però Vi rese ciechi e sordi alle malvagità architettata da Alisia.
Quando vi sposaste i festeggiamenti furono incessanti in tutto il territorio, intervennero tutti i nobili di Spagna e d’occidente, i balli e i banchetti durarono più di una settimana.
La prima disgrazia però, non tardò ad arrivare.
Capitò l’ultimo giorno di festa, una freccia mise fine a quella felicità: uccisero il vostro maestro d’armi, proprio il padre di Rosa.
Purtroppo non si venne mai a sapere chi fu il mandante.
L’arciere venne immediatamente ucciso sul posto dai soldati accecati dall’ira.
Il sospetto continuò a vagare per molto tempo fra le mura del castello ma i ben informati avevano sempre sulle labbra un bisbiglio, pronunciato a denti stretti: “Non c‘è dubbio. Si cela la mano della famiglia dei Conti Nubarra dietro questo efferato delitto, nemici storici della famiglia Diaz”.
Il tempo passava e insieme a Rosa governavate con giustizia e onestà. Al contrario di altri feudi Voi eravate meno esoso nel recupero delle tasse, non affamavate mai il popolo e anzi, il vostro feudo, cresceva felice e prospero. Il vostro popolo vi amava, tutto sembrava andasse bene.
Finché vostra cugina Alisia che tramava da anni alle vostre spalle, grazie alla sua carica di consigliera, con la scusa degli affari di Stato e una possibile alleanza contro la famiglia dei Nubarra e il feudo dei Ramirez, Vi fece partire per il castello di Castiglia presso la famiglia Gonzales.
Dopo la Vostra partenza Alisia cominciò ad insidiare la mente della Vostra amata gettandovi dentro il seme del dubbio e dell’inganno, suggerendole l’idea del tradimento di Ramon, il suo amato uomo.
Rosa si fidava di Alisia; non aveva mai sospettato dell’amore che Vostra cugina aveva nei Vostri confronti.
Alisia al momento propizio mise in atto il suo piano e melliflua avvicinò Rosa dicendole: “Mia amata cugina mi rincresce molto ma devo confessarvi un segreto”.
Rosa pendeva dalle labbra di Alisia. “Non avrei mai voluto rivelarvelo, ma l’angoscia da mesi mi strazia, perciò ho deciso di liberarmi di siffatto peso. Ramon da tempo frequenta un’altra donna”.
Rosa rimase impietrita e Alisia sicura d’essere riuscita nel suo intento sferrò l’ultimo attacco:
“Questa scellerata è Manuela Gonzales”.
Rosa trasalì tremante.
“Con le sue arti ha circuito Ramon. Vostro marito per troppe volte Vi ha ingannata. È arrivata l’ora che Voi conosciate questa infamia!”
Così incominciò a parlare della contessa Manuela Gonzales, figlia del conte Gonzales: dove Voi vi eravate recato con l’inganno.
Le parlò di quella donna, di strani incontri segreti nella Vostra tenuta di caccia. Insinuò che fossero una scusa gli affari di stato, per giustificare il Vostro allontanamento.
Il sospetto fu così forte e le parole d’Alisia così convincenti che Rosa incominciò a dubitare.
Instancabilmente si mise alla ricerca di prove e incominciò a frugare nella vostra roba finché trovò dentro una tasca della Vostra giacca un fazzoletto con le iniziali M.G: Manuela Gonzales.
Era la prova che non avrebbe mai voluto scovare. Il fazzoletto naturalmente fu messo ad opera d’arte da Vostra cugina. In questa losca vicenda aggiunse, per rendere più credibile la storia del tradimento, anche la falsa confessione della dama di compagnia di Manuela Gonzales, pagata a peso d’oro per testimoniare il falso.
Per avvalorare la sua tesi preparò un abboccamento tra l’ingenua Rosa e la dama di compagnia.
“Madonna non vorrei dirVi queste cose, ma doña Alisia mi ha pregato di raccontarle ciò che si trama alle Vostre spalle. Non sto tradendo la mia signora, ma il debito di riconoscenza che ho con doña Alisia, per ciò che ha fatto per la mia famiglia, mi impone di restituire il favore. Vostro marito ha degli incontri segreti con doña Manuela, questa storia va avanti da diverso tempo, don Ramon e la mia padrona si amano, doña Rosa mi perdoni se Vi dico queste cose, ma dopo che lo raccontai a doña Alisia lei mi pregò per il vostro bene di raccontarvelo”.
La dama di compagnia fu così convincente che Vostra moglie ebbe un impeto d’ira, voleva vendicarsi.
Tutto combaciava a perfezione, il fazzoletto, le dichiarazioni della dama di compagnia, i vostri allontanamenti… e la malasorte volle che il vostro viaggio si protrasse a causa della Vostra infermità.
Ormai era passato più di un mese e definitivamente sicura della buona riuscita del suo piano, Vostra cugina compì l’ultima catastrofica mossa. Invitò al castello il conte Pablo de Nubarra, vostro acerrimo nemico e lo fece incontrare con Rosa.
Il conte, bellissimo uomo dai modi raffinati, asserragliò Vostra moglie con una corte spietata. E le bugie sul Vostro conto fecero il resto.
Rosa cadde tra le braccia del conte e cedette facendosi convincere ad incontrarlo segretamente, senza sapere che Vi avevano avvisato per opera della dama di compagnia della Gonzales. Ma soprattutto, senza sapere la cosa più importante… Voi eravate al castello.
Quella notte il conte entrò nella stanza di Rosa; ma l’insidia era dietro la porta. Voi eravate appostato nel salone vicino alla camera da letto e vedendolo entrare. Vi siete precipitato nella stanza; lì come impazzito, impugnata la spada, avete urlato il Vostro dolore colpendo ripetutamente il conte. Vi placaste solo dopo che il corpo era ormai straziato. Rosa era una maschera di terrore, non riusciva più a parlare; Voi lì, tutto coperto di sangue la fissavate con odio. Vi scagliaste contro, Vi fermai io. Feci male perché avrebbe avuto una morte veloce e indolore.
Ma la cosa che non veniste mai a sapere è che Rosa quella notte disse a Pablo che non avrebbe mai potuto tradirvi, che non poteva esserci nulla tra loro. Lo stava per mandare via dalla stanza quando Voi entraste come una furia”.
Interruppi Manuelito e gli chiesi: “Perché?”
La mia curiosità aumentava volevo sapere cosa era successo a Rosa, non potevo credere che avesse avuto il coraggio di ucciderla passato il primo momento di follia omicida.
Ramon avrebbe pensato al suo grande amore, alla fedeltà sempre dimostratagli, ai giorni trascorsi insieme sin dall’infanzia. No, no, no maledizione, mentre stavo pensando a tutte queste cose mi venne alle labbra una domanda: “La perdonò?”
Manuelito con uno sguardo accusatore e severo disse: “Ascoltate… la Vostra Rosa ebbe una morte delle più atroci, il Vostro amore per lei si trasformò in odio; quell’odio che trasforma l’uomo in bestia.
Il Vostro risentimento Vi portò a mettere a ferro e fuoco la Spagna. Tutto ciò Ve lo racconterò più avanti.
Ora Vi voglio raccontare la fine di un grande amore, Vi racconterò il dolore che portò alla rovina il Vostro regno e la distruzione di un popolo che Vi amava.
La mattina seguente, nella piazza, un palo sfoggiava come trofeo nella sua sommità la testa del conte Pablo.
Faceste radunare tutta la popolazione, i soldati tutt’intorno controllavano che non ci fossero rivolte. Rosa era amata come Voi e forse di più, lei era una donna dolce, una donna del popolo: i soldati la portarono in mezzo la piazza vestita come la notte prima.
Una camicia da notte non più bianca, il sangue del peccato era su di lei, al centro della piazza quattro cavalli neri scalpitavano come se sapessero quello che avrebbero fatto.
Dopo aver urlato il Vostro disprezzo e il Vostro odio lasciaste solo un attimo di replica a Rosa che implorava la Vostra pietà, Vi urlava il suo amore, ma Voi eravate sordo, ormai l’odio e la sete di vendetta erano voci più soavi. I Vostri occhi castani erano rossi come il sangue che stavate per versare.
Il sangue del primo innocente, il primo dei vostri crimini. Quattro soldati le legarono i polsi e le caviglie ai cavalli”.
Manuelito fece una pausa come se stesse rivivendo quel giorno e con voce rauca urlò: “Fateli correre.” Mi guardò. Il suo volto era cinereo. “Sì! Avete capito, fui io a dare quell’ordine, quel giorno maledetto feci squartare la mia piccola Rosa, quella bambina adorabile che mi fece dannare rincorrendola nei saloni del castello.
La vostra perfidia non finì così, faceste prendere i resti e ordinaste che venissero messi in quattro casse differenti per farli sotterrate in quattro punti diversi della Spagna.
Una a Nord l’altra a Sud, le altre due a Est e a Ovest. Nessuno conobbe dove seppelliste i poveri resti. Il segreto rimase nelle vostre mani e in quelle di quel pugno di soldati che eseguirono l’ordine.
Prima di alzarVi dal palco ricordo che diceste: «Chi non lascia eredità d’affetti non necessita d’una degna sepoltura». Poi partiste con i soldati e i resti della povera sventurata.
Al vostro rientro faceste uccidere i soldati cosicché nessuno mai potesse recuperare i resti e darle degna sepoltura”.
Restai sconvolto dal racconto fatto da Manuelito.
Distolsi per un attimo la concentrazione dalla vicenda di Ramon e Rosa e mi rammentai di mia madre.
Se non m’avesse trovato e avesse visto in mezzo alla stanza il cerchio magico con il libro sarebbe morta di paura. Dopo tutto quello che ci era capitato nelle due case, mi avrebbe ritenuto il responsabile di ciò, lo stregone causa dei malefici che ci perseguitavano.
Manuelito mi rincuorò dicendomi che dove eravamo il tempo era relativo, saremmo tornati indietro alla stessa ora in cui eravamo scomparsi.
Più tranquillo gli chiesi di raccontare tutto quello che era accaduto dopo la morte di Rosa, la fine che fece Alisia e la famiglia del conte Nubarra.
Manuelito mi prese per mano e in un attimo ci ritrovammo in un’altra stanza: Ramon era insieme a sua cugina.
“Dopo il Vostro ritorno al castello diventaste un alcolizzato, la bottiglia spense per molte notti la Vostra ira e il Vostro dolore. Alisia per consolarvi e ammaliarvi Vi versava da bere sino a stordirVi, così da giacere con Voi. Finalmente era riuscita ad averVi.
Di certo ebbe il Vostro corpo, ma non il Vostro cuore straziato.
Eravate come impazzito di dolore dopo la morte di Vostra moglie e la scoperta che con essa avevate ucciso Vostro figlio”.

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