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Andrea Caietti
4° classificato nel concorso Marguerite Yourcenar 1997
sez. narrativa con questo racconto:
 

The end

 
Erano le tre del pomeriggio quando il rombo di un motore scosse il silenzio.
Byde sollevò le sue guance paffute e si mise una mano sopra gli occhi cercando di vincere il sole. Il suo sguardo penetrò il fresco sole novembrino e si perse oltre i prati incolti. A una lontananza impossibile da decifrare, c'era una sagoma in movimento.
Un'auto? Forse…
Byde rimase ad osservarla mentre superava i resti del supermercato. Un'auto. In viaggio.
Sarebbe stato un avvenimento normale se non fosse arrivata la fine del Mondo sei giorni prima.
Chi poteva essere?
Un sopravvissuto ovviamente. Un sopravvissuto come lui. Ma Byde non si fidava di nessuno. Non si era mai fidato di nessuno. Nemmeno prima che il cielo diventasse rosso come il fuoco. La gente lo aveva sempre etichettato come "stupido" e questo lo aveva portato a dubitare persino di avere un cervello. Ma lo aveva un cervello! Eccome se lo aveva… Forse non era funzionante come lo erano gli altri, quelli della gente del paese che lo prendeva in giro… Ma alla lunga, il suo cervello era risultato superiore a tutti. Persino superiore a quello del sindaco.
Perché? Semplice; Byde era ancora vivo. L'esplosione non lo aveva ucciso. E nemmeno la terribile malattia generata dal fungo nero ne aveva scalfito la figura. Era sempre il solito grassone con gli occhi sorridenti e le mani unte.
Ma tutti loro, tutti quelli che si ritenevano intelligenti erano morti. E lo scemo del villaggio, come alcuni lo chiamavano, era ancora al suo posto.
E ora, dopo sei giorni di pace trascorsi senza nessuno tra le scatole, appariva un'auto all'orizzonte.
Non era una buona cosa. Perché su quell'auto ci sarebbe sicuramente stato qualche furbo. O forse più di uno. E tutto sarebbe tornato come prima.
Byde corrugò la fronte. L'auto era sempre più vicina. Ed era chiaro che era diretta proprio lì.
Ma chi poteva essere? Non era rimasto nessuno in città.
E se non si trattava di gente del posto… Erano guai.
Byde sapeva anche questo. I suoi paesani erano gente cattiva e lui era il loro zimbello ma… Ma sapeva che nessuno di loro gli avrebbe mai fatto del male. Se però chi guidava quella macchina fosse stato un forestiero le cose sarebbero cambiate. I forestieri lo prendevano in giro in maniera feroce. E nei loro occhi lui aveva sempre letto la repulsione che quella gente provava per lui. Certamente non era intelligente, ma persino gli animali sono in grado di capire chi li sopporta, chi li odia e chi li ama.
Nessuno amava Byde ma nessuno lo odiava. Almeno fino alla fine del mondo…
Nel frattempo, l'auto si era avvicinata ancora di più. Ora la sua sagoma era grande e altezzosa.
Byde deglutì per sciogliere il nodo che aveva in gola.
La Mercedes rossa era lì.
E sopra, con i capelli sventolanti al cielo, una ragazza bionda.
No, non era una ragazza.
Era una fata. Una fata dagli occhi verdi e dal sorriso ipnotizzante.
Byde deglutì di nuovo.
La bionda saltò dall'auto. Una nuvoletta di polvere si sollevò quando i suoi stivali atterrarono. Poi la ragazza si voltò verso lo splendido cabriolet alle sue spalle e si accese una sigaretta.
Ne offrì una a Byde. Byde scosse la testa.
Lei si passò una mano tra i capelli. Poi si guardò attorno.
«Dove siamo?». Disse tornando a guardare Byde.
Per Byde non fu facile rispondere. Nella sua testa le parole erano confuse e l'immagine della bionda tremava come un canale mal sintonizzato. Byde non aveva mai visto una donna come quella. E non aveva mai visto nemmeno un'auto come quella… Ma d'altro canto, non aveva mai visto nemmeno la fine del mondo.
Poi, dopo una ventina di secondi durante i quali la ragazza non staccò mai i suoi occhi da quelli di Byde, lui riuscì a parlare.
«Co… Cosa hai detto?».
Lei soffiò il fumo verso il cielo: «Ho detto… Dove siamo?».
Byde annuì: «Siamo a Graven».
«Magnifico».
Nessuno dei due disse niente. Byde avrebbe voluto parlare ma era come se avesse dimenticato come farlo. Avrebbe voluto persino abbassare gli occhi e staccarli dalla figura slanciata della donna ma lei continuava a fissarlo.
«Tu chi sei?». Chiese la ragazza.
«Io?».
Un'altra boccata di fumo nel cielo: «Non vedo altra gente…».
Byde sorrise: «No, non c'è nessuno».
«Replay; tu chi sei?».
Questa volta Byde trovò la risposta: «Io sono Byde».
«Già».
«Già».
Silenzio.
«Ascolta Byde &endash; disse la bionda gettando via la sigaretta &endash; Io credo che sarebbe meglio se tu mi raccontassi qualcosa anziché rispondere alle mie domande per monosillabi come un inquisito».
«Io… Sai io…».
«Cos'è successo? La malattia? Le bombe? Tu come fai ad essere ancora vivo? Cosa hai fatto fino ad ora? Forza Byde; ti ho dato un sacco di argomenti sui quali discutere».
Ottimi argomenti? Quelli non erano ottimi argomenti. Erano argomenti sui quali Byde non poteva dir niente. Non aveva idea di cosa fosse successo. Non sapeva per quale motivo il suo corpo non era stato devastato dalla malattia. Non ci aveva mai pensato ma ora che lo faceva, non capiva come potesse essere ancora vivo.
Cosa aveva fatto fino a quel momento? Fino a quale momento? Fino alla prima bomba? O fino a che non era arrivata lei?
Davvero ottimi argomenti.
La bionda si appoggiò alla Mercedes. Era alta. Almeno due spanne più di Byde. Aveva calzoni di pelle nera. E un giubbotto bianco come la neve. Ma la sua pelle… Quella che Byde riusciva a vedere almeno, era abbronzata e senza rughe. Come se quella donna fosse appena tornata da una vacanza al mare anziché essere reduce dalla fine del mondo.
Chi era quella bionda? Come poteva essere ancora viva? Se lei lo aveva chiesto a lui forse lui poteva chiederlo a lei. Dopotutto quello era il paese di Byde no?
Fece per aprir bocca ma la ragazza lo anticipò: «Credo che tu abbia ragione &endash; esordì &endash; Arrivo a casa tua dopo la fine del mondo e ti faccio un sacco di domande. Forse è meglio che parli prima io». Sorrise e Byde si sentì molto più tranquillo.
«Dunque &endash; riprese lei &endash; Quando è caduta la prima bomba io mi trovavo in Messico. La seconda l'ho scansata per un pelo; ero appena rientrata a New York e l'esplosione distrusse Los Angeles. Da quel momento in poi la malattia ha ucciso tutti. Se fossero state le vecchie bombe atomiche le radiazioni avrebbero distrutto anche me e te. Ma queste bombe non irradiano un bel niente.
Uccidono con la malattia ecco tutto; miliardi di persone morte in sei giorni. Di positivo c'è il fatto che una volta morto, il corpo si corrode fino a diventare polvere e questo è un vantaggio; pensa che casino se sulla Terra ci fossero cinque miliardi di cadaveri! &endash; Scosse la testa &endash; Ad ogni modo… È andata così e non ci possiamo fare nulla.
Io? Non so per quale motivo sia rimasta in vita. La mia famiglia non esiste più, la mia vita non esiste più e niente di quello che c'era una settimana fa esiste ancora. Se non avessi avuto un po' di polverina magica sarei impazzita. Ma per fortuna… Ho ancora un cervello funzionante e posso ragionare con coerenza anche sapendo che in questo fottuto mondo siamo rimasti solo noi due. O forse qualche altro disgraziato…».
Tacque e si accese una sigaretta. Byde l'osservò. Aveva ascoltato le parole della bionda con la massima attenzione ma aveva capito assai poco di quello che lei aveva detto. Ma era bello poter starsene davanti a quello splendido viso. Ed era ancora più bello guardare quegli sfavillanti occhi verdi e non vedere niente altro che tranquillità. Lei non era disturbata da Byde. Ma si era accorta che lui era un ragazzo di vent'anni grasso e stupido?
«Credo che tu non abbia la minima idea di cosa sia successo e di quello che succederà &endash; proseguì la bionda &endash; e forse questo potrebbe essere un bene. Quindi, non credo sia il caso di fare altri discorsi filosofici e nemmeno di raccontare chi sono, cosa ho fatto e come sono arrivata qui. Anche perché a molte di queste domande non saprei rispondere nemmeno io… &endash; Si passò una mano tra i capelli e sorrise &endash; Ma quello che conta è che sia rimasta viva. E che ti abbia trovato».
Byde non la seguiva. L'aveva trovato; ma questo che importanza poteva avere? Il mondo era finito. Non c'era più nessuno in paese e forse non c'era più nessuno nemmeno a Denver. Non capiva.
«Ragazzo mio… Byde… Francamente speravo in qualcosa di meglio, ma non credo di avere scelta».
Gettò a terra la sigaretta e la calpestò con la punta dello stivale: «Tu vieni con me» disse con il tono di chi non ammette repliche.
Byde non disse niente. Non era sicuro di aver ben capito…
«Non possiamo restare qui &endash; spiegò lei pazientemente &endash; Siamo i due soli sopravvissuti da qui all'oceano. Non c'è niente qui che possa giustificare la nostra permanenza. Vuoi sapere come faccio ad essere così sicura di quello che dico? Semplice; ho preso un marchingegno militare capace di intercettare un umano nel raggio di trecento chilometri. E venendo qui da Miami non si era mai acceso fin quando non ha captato te. E francamente mi devo congratulare con chi l'ha costruito. Dev'essere davvero sensibile se è stato capace di captarti…».
Byde aveva afferrato qualcosa; che lei e lui erano rimasti soli nel Mondo e che lei voleva andarsene da lì. E se non si sbagliava lei voleva portarlo con sé.
«Qui non potremmo vivere per molto tempo &endash; disse lei &endash; Non esiste niente. Non avremo scampo tra un mese. E forse nemmeno tra una settimana. Dobbiamo andare verso una città. Ci servono cibo, vestiti, armi… Dobbiamo raggiungere una città &endash; Fece una pausa come per trovare le parole giuste poi sbuffò &endash; E dobbiamo ripopolare la Terra».
Ripopolare la Terra… Voleva dire far tornare il dottore, la signora Ester, il piccolo Mike… Ma come avrebbero fatto?
La bionda lo guardò da capo a piedi e alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa: «Dio, non era necessario un Adone ma accidenti! Me li fai scontare i peccati, eh?».
Si mise una mano in tasca ed estrasse una bustina di plastica. Ne versò il contenuto… Non tutto… Sul dorso della mano. Poi portò la mano al viso e sniffò. Rimise la bustina in tasca e si avvicinò a Byde.
«Che mi piaccia o no, noi siamo come Adamo ed Eva. E da noi deve ricominciare tutto. Da quella che era una top girl e da un ragazzone in arretrato con i pagamenti per l'intelligenza. Mi chiedo cosa potrà saltar fuori…».
Byde guardò la Mercedes. Non voleva più ascoltare le strane parole di quella donna.
«Posso… Posso sedermi al posto di guida?» chiese con titubanza.
La bionda scosse le spalle: «Fai pure. Tanto ogni cosa materiale rimasta è nostra».
Byde si sedette. Era una macchina deliziosa.
Improvvisamente, lei gli fu accanto: «Sei capace di guidare?».
«Io… No».
«Meglio così. Fatti in là; andiamo via».
Via? Per quale motivo? Byde aprì lo sportello ma lei gli impedì di muoverlo.
«Come ti ho detto prima, noi ce ne andiamo. Non credere che sia felice… Ma non ho scelta».
Byde cominciò ad innervosirsi. Non ricordava molto di quello che lei aveva detto, ma di una cosa era sicuro; non voleva andar via da casa sua. Neanche se lei era bella. Neanche se gli avesse regalato quell'auto.
«Perché vuoi portarmi via?» chiese.
Lei sbuffò e si appoggiò allo sportello. La curvatura dei suoi grossi seni si fermò a pochi centimetri dal viso di Byde. Questo lo rese ancora più nervoso. MOLTO più nervoso.
«Andiamo in città, ci cerchiamo un bell'attico vicino a un supermercato munito di generatore e cerchiamo di fare quello che dobbiamo fare. È dura lo so… Ma non credere che per me sia facile. Ma visto che siamo rimasti soli, è compito nostro».
«Cosa è compito nostro?».
La bionda sorrise: «Credo che la situazione sia peggiore di quanto potessi anche solo lontanamente immaginare… Dall'essere desiderata da tutti a dover spiegare a un bamboccio la natura… Se mi vedesse il mio agente scoppierebbe a ridere».
Byde si appiccicò al sedile. Lei si sporgeva sempre più e il suo petto, oltre a scoprirsi, si avvicinava al naso del ragazzo.
L'odore della bionda era delizioso. Un profumo che Byde non aveva mai sentito. E lei aveva una pelle che Byde non aveva mai visto.
Improvvisamente, successe.
Byde divenne rosso come il fuoco. Il suo basso ventre aveva preso a vibrare. Ogni singola fibra tremava. E tutto si concentrava laddove non doveva mettere le mani…
L'errore della bionda fu di lasciare le chiavi inserite.
In preda al più totale sconvolgimento, Byde mise in moto l'auto senza rendersi conto di quello che stava facendo, accelerò.
La bionda venne scaraventata a terra e la sgommata dell'auto sollevò polvere e sassi.
E Byde non aveva idea di come condurre la belva che rombava sotto di lui.
La bionda si rialzò a fatica e dopo un attimo di comprensibile sbigottimento, si lanciò all'inseguimento della Mercedes.
«FERMATI! &endash; Strillò &endash; GIRA LA CHIAVE! FRENA!».
Ma Byde non aveva perso solo il controllo della vettura; aveva perso il controllo persino di se stesso.
Ruotava lo sterzo come se volesse strapparlo. Non sentiva niente che non fosse il boato del motore. E qualcosa esplose all'improvviso dentro i suoi pantaloni bagnandolo tutto. Chiuse gli occhi tra l'estasi e il terrore.
Lei gridava.
La Mercedes correva.
Quando Byde riaprì gli occhi, si accorse che la sua vita era stata inutile e sbagliata. Fu come se una folgorazione gli avesse rimesso nel giusto ordine le rotelle che gli giravano nel cervello. Ma tutto non durò più di un decimo di secondo.
Poi, mentre la sua mente giungeva a capire ogni cosa successa fino a quel momento, le parole della bionda gli furono chiare.
Ma proprio in quel momento la Mercedes terminò la sua folle corsa.
Lo scontro con la casa fu terribile. La violenza dell'urto demolì le pareti e fece volare l'auto. Quando tutto tornò a stabilizzarsi, uno scoppio fece saltare in aria ogni cosa. Compreso l'ultimo uomo sulla Terra.
La bionda venne investita dall'aria e il suo grido si confuse con il fuoco e con la morte.
Ma quando tutto finì e le fiamme avvolsero in silenzio quella che era stata l'ultima casa abitata, lei crollò a terra e pianse.
Adamo, per quanto brutto e stupido potesse essere stato, non c'era più. Eva era rimasta sola. Sola e senza possibilità di lasciare quel luogo deserto.
Era buio quando la bionda fu in grado di alzarsi senza gridare istericamente. Ma nemmeno dopo aver sniffato l'intero contenuto della bustina si sentì meglio.
Questa volta, il mondo era finito davvero.
 
 Si è classificato 3° nel concorso Il Club dei poeti 1998 con questo racconto

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©1996 Il club degli autori , Andrea Caietti.
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Aggiornato 30 Ottobre 1997 (r1)