Ehi Tu

di

Andrea Albano


Andrea Albano - Ehi Tu
Collana "I Gelsi" - I libri di Poesia e Narrativa
14x20,5 - pp. 64 - Euro 9,00
ISBN 979-1259510792

Libro esaurito

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In copertina: foto dell’autore


Lettore 1

La parola Fine esiste solo nei libri e nei film.
Nella vita nessun fatto può dirsi mai veramente concluso. Il giorno dopo saremo ancora lì, godendo di qualche bel ricordo o digerendo un boccone amaro, ma sostanzialmente vivendo le nostre vite.
Forse.
Perché in effetti può capitare di ritrovarsi lì “il giorno dopo”, a non vivere un bel niente.
Personaggi disorientati in una scena che non riusciamo a sviluppare, intrappolati in un episodio che guardiamo e riguardiamo all’infinito, eleggendolo a fine.

“Ehi Tu” è l’interiezione che si rivolge allo spettatore del proprio passato, per riportarlo ad essere attore del proprio presente.
Questo libro è una sorta di cura dell’anima.

So che qualcuno avrà pensato “Ma diamine! Anche nella vita esiste la parola fine, come la mettiamo con la morte?”.
Sì, sono del tutto d’accordo.
Anzi, vi esorto a far finire la vita proprio con la morte.
Non prima.

Matteo Forla
Torino, aprile 2021


Prefazione

Andrea Albano, nella silloge intitolata “Ehi tu”, mette in evidenza, con una visione lirica limpida e sincera, un sentimento d’amore che lo ha “stravolto, stregato, guarito, ferito”, come a voler condividere tale esperienza sentimentale per “sentirsi meno solo”.
Durante il processo lirico si avverte chiaramente tale esigenza, quasi il poeta volesse “tirare fuori l’urlo inespresso” ed il travaglio sedimentato nel cuore, per fare liberare il dolore: ed è proprio il ricordo della storia d’amore che rende visibile l’universo emozionale che il poeta custodisce nel cuore, capace di renderlo più consapevole dopo aver vissuto un amore sofferto.
La sua Parola diventa linfa lirica che penetra nelle molteplici manifestazioni del vivere per lenire le pene, per alleviare il senso di vuoto, per far dimenticare i sogni infranti e la caduta nel “silenzio” della notte.
Andrea Albano offre un canto d’amore struggente che recupera, dal giacimento emozionale, gli abbracci, i sorrisi e gli sguardi, il desiderio di fermare il tempo per fissare il “profumo di lei”, il continuo accarezzarsi l’anima per scambiarsi le vibrazioni.
Il tempo inesorabile cambia le cose e tutto trasforma, dopo aver deciso di farli incontrare, poi li ha divisi, e tutto è mutato: ora che lei è lontana il ricordo del tempo passato insieme trasporta in una dimensione surreale, e nella mente si affollano inevitabilmente sensazioni, pensieri ed immagini.
La figura di “lei” si fa evanescente e si percepisce solo una “rimanenza di sentimento” perché le parole d’amore sono “morte in gola” e non rimane che il dolore gelido, un lieve “profumo di sandalo” che riconduce a lei: eppure il poeta desidera ricordarla con un “sorriso di speranza” perché l’amore può essere una cura quando la vita fa vacillare, quando la tristezza si insinua nell’animo e subentrano la frustrazione e la paura.
Andrea Albano propone una visione poetica intensa e vibrante, alimentando il ricordo che trasporta nel tempo dell’amore profondamente vissuto e sentito fin nelle più labili percezioni, offrendo uno spettro d’emozioni che nasce dalla grande passione per la poesia.
La consapevolezza del poeta davanti a tale condizione dell’animo si avverte chiaramente quando sottolinea che “soffrire fa parte della nostra vita”, e la nuova visione aiuta ad accettare, senza rimpianto, ciò che è successo, perché è fondamentale cercare sempre di “rialzarsi”: ecco allora che la poesia diventa atto salvifico capace di condurre verso la rinascita.

Massimo Barile



Punto Zero

A te, lettore curioso,
saprai bene che anni che abbiamo vissuto, passati nell’incertezza del quotidiano, nel quale i valori, i riti, le credenze, le colonne sulle quali ci poggiamo vacillano e lasciano sotto i piedi una sensazione di sabbia sulla quale è difficile camminare.
Immagina di perdere il lavoro, le speranze, la positività spontanea e quella imposta, il sorriso. Credo che proprio quest’ultimo, che vediamo sul volto di un bambino, della nostra compagna o compagno, di un nostro genitore, sia legato con un filo rosso comandato da un burattinaio molto speciale: il nostro cuore. Perdere il sorrido prelude a un cuore che si sta indurendo. Quando ciò accade è facile perdere l’equilibrio emotivo.
Immagina di perdere l’amore.
Le giornate, vuote, libere da tutto ciò che compone la delicata forza e struttura della piramide della vita di una persona vacilla, si sgretola, trema. Più questa struttura è complessa, grande, fiera più la caduta è fragorosa e impressionante.
La solitudine sopraggiunge, un’ombra grigia si posa lentamente sulle spalle in un delicato ed educato abbraccio, freddo e statico. Sta lì, si appoggia e non si muove. Avvolgendoci si nutre della nostra aura e cresce. Questo abbraccio freddo, giorno dopo giorno, ricordo dopo ricordo, perfora e penetra l’anima con tentacoli che vanno a risvegliare un sentimento potentissimo; la tristezza.
Essa ha come fratelli prossimi la rabbia, la frustrazione, il disarmo, la paura, il senso di rivalsa. Spesso queste emozioni ci vengono a far visita in ordine ciclico e per nulla logico, rendendoci ancora più spaesati. Una barca senza remi nella tempesta.
Immagina, di trovarti al punto zero.
Prima ancora della grata di partenza. Ai box per intenderci, prima di una gara. Tutto attorno a te si muove velocemente mentre non stai capendo chi sei, cosa sarà di te da lì a qualche ora. Più semplicemente, spaesato e interrogativo.
Lo so, è difficile immaginarselo nella vita, tutti bene o male hanno un posto, impegni, scadenze.
Bè, io mi sento al punto zero.
Cammino e vivo di immagini, ricordi bellissimi che mi porto appresso che inevitabilmente mi stimolano la malinconia dando vita a una tensione agrodolce. Non tanto provocata dalla perdita di un equilibrio, da un insieme di situazioni ma piuttosto dalla consapevolezza di essere lì, allo zero appunto. Mi sono accorto, nel tempo, di aver fatto il gambero.
Giorno dopo giorno, da quell’ottobre dello schianto i dadi di questo gioco pazzesco hanno fatto andare la pedina proprio lì, dove ci si deve fermare, guardarsi indietro e capire cosa si è sbagliato o cosa invece si è fatto bene.

Una mattina, camminando per una via che per due anni ho percorso moltissime volte per lavoro, forte come uno schiaffo si sono impressi nella mia testa due versi mossi da un sentimento di mancanza lancinante. Sono i versi di quella che è la prima poesia scritta su carta.
Questa sensazione è stata così strana, destabilizzante che mi sono fermato, ho preso un pezzo di carta e scritto i versi malamente, dovevo annotarli subito.
E poi altri… e altri ancora.
Questo nuovo gesto, per me fino a quel momento del tutto estraneo mi sollevava, la mia pazzia latente, la tensione, la malinconia dovuta all’impossibilità di rivivere il passato e di non poter fare nulla del mio futuro… era in parte lenita.
Qui canto di un pensiero d’amore.

Non si parla mai abbastanza di amore.
Anzi, spesso ce ne si vergogna. Spesso arrossendo, sentendosi a disagio, non compresi, poco “forti”. Lo si fa a bassa voce, declinando velocemente l’argomento, come fosse un tabù da allontanare, da lasciare in mano a scrittori, poeti, cantanti… agli artisti. Non sono uno scrittore e tantomeno un poeta. Appartengo al mondo degli artisti, questo sì, ed è forse questo il motivo per cui sento di parlarne, con sincerità e schiettezza. In una realtà guidata dal denaro, dall’economia, dai soldi e dal farne il più possibile mi sento straniero.
Non si parla mai abbastanza di sentimenti.
Forse non fa così bene come penso, come vorrei credere. Forse il vomitare parole di dolore non ha una funzione catartica, forse più un voler svuotare un serbatoio… che però, se non gestito emotivamente, non farà altro che riempirsi di nuovo. Allo stesso modo credo però che confrontarsi su di essi, su quelli belli soprattutto, possa insegnarci molto sulla complessità della nostra mente e di quel burattino speciale che abbiamo in petto.

Qui c’è un’esperienza di una fine.
Di un sentimento d’amore, strozzato da una separazione.
Un sentimento prima di quel momento nuovo che mi ha travolto, scosso, svegliato, fatto risorgere, stregato, soprattutto amato, guarito.
Ferito.
Anche per questo ultimo motivo fatto aprire gli occhi e spinto qualche gradino più in su sulla gradinata della crescita della persona che sono.
Ed è qui che nasce la necessità di scrivere. Gianni Rodari in un’intervista si riferiva allo scrittore così: “Deve scrivere quando proprio, se non scrive, gli fa male il braccio”[1] e solo in questo momento ho capito e fatte mie queste parole.
Scrivere queste righe è stato l’unico modo per tirare fuori l’urlo che avevo dentro che mi strappava le carni dalle ossa, che comprimeva il diaframma rendendo il respiro corto e faticoso.
Esprimere mi ha permesso di delineare un perimetro a questo sentimento, renderlo visibile, nero su bianco, tangibile con gli occhi e le dita sulla carta. Questo mi ha permesso di vedere, condividere e sentirmi meno solo su un vissuto che ogni giorno, ora, minuto, secondo, travolge le persone come una tempesta. È stato l’unico modo per accettare.
Se una persona ha la forza e il coraggio di passare sotto i cingoli del dolore facendosi travolgere ma non trascinare… non potrà che uscirne più forte e consapevole. Con qualche cicatrice da guardare davanti allo specchio e una storia da ricordare.
Qui, la mia.

1 Citazione tratta da un’intervista del 1979 condotta da Bianca Pitzorno e realizzata dall’emittente radio-televisiva RSI.

Andrea Albano


Ehi Tu

Un grazie di cuore a Matteo, Roberta e Stefano, Jacopo per avermi supportato e incoraggiato in questa nuova avventura con sapienti consigli e competenze a me lontane.


Grazie anche a te, che non nomino, miccia di questo fuoco, che solo così ho potuto domare.


Genesi

Sguardo assente, solista nel suono di passi di una mattinata invernale.
Una via consumata da antichi
passi, sfondo di un silenzio della mente dinnanzi al ritornare di
immagini evanescenti. E lì violento e inaspettato, un fulmine squarcia la mente. Un rivolo di linfa pura e penetrante si insinua, lì
sopraggiunta a lenire,
accarezzare… cingere lo sguardo perso di chi non si dà pace.

Vorrei poterti incontrare ancora
Una volta
Fermi, senza parlare
Ci siamo fatti troppo male
Con le parole
Mai con gli sguardi
E le carezze

Vorrei poterti incontrare ancora
Per sorriderti
Mostrare quel sorriso del cuore
Che troppe volte non ha avuto
La forza
Di piegare le mie labbra
E farti sciogliere

Vorrei poterti incontrare ancora
Per perdere il mio sguardo
Nei tuoi occhi profondi
E rassicurarti
Le cose cambieranno
E io sono qui
Per te, ancora

Vorrei poterti incontrare
Solo più una volta
Perché semplicemente
Mi manchi.

27 gennaio 2021


Vuoto

Da un istante a un altro possono
cambiare tante cose. La fregatura
è che di alcune te ne accorgi dopo
molto tempo. Nulla era cambiato,
le strade erano le stesse, i volti
delle persone della tua vita anche,
i tuoi spazi, i tuoi impegni. Tutto
era rimasto invariato. Una
differenza però era calata come un
crepuscolo autunnale. Un
prosciugarsi lento dei colori e uno
svuotarsi nel senso delle cose.

Castelli,
Ma quanto pioveva
Plumbeo medievale.
Ricordi?
Neanche ci badavamo
Cori popolari
Una camera fredda
Poveri e squattrinati…
Tanto innamorati.

28 gennaio 2021

[continua]


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