Verso l’infinito Storie, sogni, ricordi

di

Amedeo Millefiorini


Amedeo Millefiorini - Verso l’infinito Storie, sogni, ricordi
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 62 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-8125

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In copertina: «Marina. Veduta dal Pontile di Ostia fotografia di Laura Fajella


Prefazione

Il libro “Verso l’infinito”, di Amedeo Millefiorini e di sua moglie Laura Fajella, raccoglie le esperienze vissute grazie ad un emozionante recupero memoriale sempre accompagnato da profonde riflessioni sulla vita, che nascono dall’incessante scandaglio del mondo interiore e dalla volontà di porre, a caposaldo della loro visione, la concezione dell’amore puro ed autentico, e tale intenzione rappresenta il filo sotterraneo che unisce tutte le composizioni del libro come ad incarnare la fedele espressione poetica e narrativa della profonda umanità di Amedeo Millefiorini.
L’intenso dialogo lirico diventa una sorta di testimonianza esistenziale, offerta con il cuore e a piene mani, che riconduce al percorso umano di Amedeo Millefiorini, alla sua visione dell’esistenza, resa con prosa poetica e permeata da slanci emozionali, che riporta alla luce le “occasioni della vita” e le molteplici manifestazioni del vivere che hanno contrassegnato il suo percorso.
La narrazione memoriale riconduce ai primi ricordi della sua vita, legati ad una piccola casa nella zona di Porta Pia, a Roma, dove viveva con i genitori e la sorella maggiore Leandra, e la mente ritorna all’immagine del balcone, luogo “sacro”, con i vasi di gerani, simbolo di un periodo felice e denso di speranze, quando il “padre lavorava in banca e la madre faceva la maestra elementare”.
Dal suo scrigno della memoria Amedeo Mllefiorini recupera i ricordi delle storie narrate dalla madre, le immagini del padre che giocava a carte nel bar latteria, gli anni trascorsi nella scuola elementare Don Bosco con i ricordi affettuosi dei suoi insegnanti e, in seguito, nella scuola media Menenio Agrippa con il ricordo delle parole di un insegnante: “Nella vita tu puoi fare quello che vuoi perché, dalle mie parti, i tipi come te li chiamano Maghi”.
E, poi, tornano alla mente i vari trasferimenti con la famiglia, finché inizia a frequentare il ginnasio al Liceo Torquato Tasso, durante un periodo in cui “non confidava a nessuno i suoi segreti” ed era “timido con le ragazze”, eppure sbocciò l’amore dell’adolescenza, inevitabilmente “struggente ed impossibile”.
La consapevolezza che la vita porta sempre con sé cambiamenti inaspettati e metamorfosi imprevedibili diventa sempre più forte e si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Roma: affronta la nuova esperienza con grande entusiasmo e, inevitabilmente, si alternano vari rapporti sentimentali.
In questo periodo della sua vita, ormai ventenne, comincia a frequentare alcuni sacerdoti e mistici per ricercare una dimensione spirituale che avvicini al significato più autentico dell’esistenza, alimentato anche da un forte senso di devozione e propensione alla meditazione.
La vita scorre veloce, costellata da sogni e speranze, ferite da cicatrizzare e tempeste sentimentali da metabolizzare, e quando la sorella Leandra si sposa, pare ritrovare la serenità, gli affetti più cari e le amicizie, seppur sente incombere su di sé il costante peso della solitudine e l’immancabile senso di malinconia che lo pervade.
Quando vince il concorso per la Scuola di Specializ­zazione in Dermatologia e, poi, alla Clinica Dermatologica del Policlinico Umberto I, la sua vita è ad un’agognata svolta e vi sono alcuni incontri importanti come quello con Luana, ma, purtroppo, l’amore, ben presto, finisce e si rende conto che il suo destino è ancora di “camminare da solo”.
È volontario all’Ospedale Civile di Pescara ed inizia una sorta di rinascita che comporta ritrovate motivazioni, ma dopo la relazione con Federica, l’ennesimo amore vissuto come fosse un “sogno stupendo”, ritorna a Roma e decide di vivere una “nuova vita”.
L’universo emozionale di Amedeo Millefiorini deflagra nel costante recupero memoriale, tra dolci ricordi della giovinezza e amorevoli rimembranze legate alla sua famiglia, tra vicende sentimentali e travaglio interiore, tra immagini pervase di profondo amore e rivisitazioni del faticoso cammino: e tutto il mondo interiore si miscela in una poetica della memoria.
Mentre sfoglia questo libro della memoria, con velata nostalgia e sommessa contemplazione, emerge la consapevolezza che la vita è un soffio di vento, fugace ed imprevedibile, che scivola via dalle mani come sabbia finissima e, proprio per questo motivo, merita di essere vissuta intensamente, giorno per giorno: nonostante il fatto che le sue parole siano sovente velate di tristezza, emerge prepotente la sua concezione esistenziale che è dominata dal “ricordo del tempo andato” quando “bastava poco per essere felici” e dal desiderio di “cercare la gioia nelle piccole cose della vita”: siano esse il ricordo del padre che comprava il gelato per tutta la famiglia ed era “commovente il suo entusiasmo di bambino” o una passeggiata domenicale a Villa Borghese; le sospirate pause a Roma durante le afose estati o la Madonna dal manto celeste nella Chiesa di San Giuseppe al Nomentano; i dolci maritozzi alla panna o il famoso “brodetto di pesce” dell’amato cognato Giuseppe, grande amico di sua moglie Laura.
Dopo aver percorso la sua faticosa strada, torna alla luce con limpidezza, il sogno ricorrente che ogni notte lo confortava con la figura di un “angelo dai capelli d’oro”, gli “occhi profondi come il mare” ed il suo “grazioso sorriso”: una sorta di sogno segreto che, nella fantasia, donava al suo cuore la speranza, spingeva ad amare la vita e, con la sua magia, illuminava il silenzio delle solitarie notti.
Nel tempo presente assurge, a completamento del ciclo esistenziale, il suo grande amore per la moglie Laura, donna che incarna la gioia di “vivere insieme ogni istante della vita”, capace, con la sua presenza, di allontanare le oscurità ed il senso di solitudine che lo attanagliavano nel passato, e rendere “migliore” la sua vita: non a caso, nella poesia che apre il libro, la buona “aranciata” preparata con tanto affetto per la moglie Laura, diventa simbolo dell’amore vero, della fedeltà nell’amore e della serenità dell’animo, capaci di risanare dopo la fatica quotidiana del vivere.
Amedeo Millefiorini racconta la sua vita a cuore aperto, con animo semplice e grande generosità: il complesso ed intenso recupero memoriale alimenta la sua Parola lirica, che offre sempre spiragli luminosi e permette di accarezzare i sogni, superando le malinconie e le inquietudini e, ancor più, mette in risalto il profondo senso religioso che lui ha sempre custodito nell’animo.

Massimo Barile


Introduzione

In questa sua terza opera Amedeo Millefiorini scopre una vena narrativa autobiografica che si esprime in piacevoli racconti. Essi si inseriscono nella trama di un’esistenza intessuta di esperienze e di sentimenti autentici.
Perché il titolo “Verso l’infinito”? Perché l’Autore si muove alla ricerca di valori elevati ai quali perviene visitando dei luoghi a lui cari. Infinito è il mare azzurro che si ammira dal Pontile di Ostia, dove le onde si susseguono incessanti come i ricordi del passato. Infinito è il cielo nebbioso di un mattino invernale che si osserva dalla finestra dell’appartamento in cui vive Amedeo, e nel guardarlo ci si perde cercando il senso della vita.

In questa alba solitaria il pensiero vaga lontano;
torno a rimpiangere le cose del passato
che allora non sono riuscito a capire.
Infine trovo la felicità che ho cercato
invano per tanti anni credendo in falsi miti;
mentre nasce il nuovo giorno, comprendo
che la mia vita è stupenda e irripetibile.

(“Suggestioni all’alba”)

Infinito è l’amore di Amedeo per il suo quartiere,
Verso le 11 del mattino ci rechiamo
a piazza Regina Margherita…
Questa piazza è abbastanza grande,
tranquilla, con ampi spazi pedonali,
abbellita da alcuni anni con aranci selvatici
e con delle panchine in muratura;
l’area è delimitata da palazzi d’epoca,
intorno si affacciano degli esercizi pubblici.

(“Luglio 2013”)

la sua famiglia di origine, sua moglie. L’affetto per Laura a volte lo rende allegro (“L’aranciata”), certe altre lo rattrista (“Un mattino ti sveglierai”) o è fonte di amarezza (“Un grande amore”), ma è tanto grande da dare un senso alla sua vita.

…Adesso l’amore si esprime
con piccole attenzioni, parole non dette,
con gentilezze significative. Questi sono giorni
meravigliosi, perché abbiamo scoperto la gioia
di vivere insieme ogni istante della vita.

(“Un amore, una vita”)

Questi profondi sentimenti unitamente ai ricordi del passato inducono l’Autore a guardare verso il cielo immenso e lo avvicinano a Dio.
La moglie Laura ha aiutato con entusiasmo Amedeo nella creazione di quest’opera. Ha fornito la fotografia della copertina, ha scelto con lui i temi da trattare, ha collaborato validamente nella correzione dei testi. Per questi motivi Amedeo ha voluto che Laura figurasse quale seconda autrice di “Verso l’infinito. Storie, sogni, ricordi.”

Alfredo Ioannilli


Verso l’infinito Storie, sogni, ricordi


L’ARANCIATA

Nei pomeriggi d’inverno,
quando fuori fa freddo
e fa buio presto,
estraggo dal frigorifero
una bella arancia dorata.
La appoggio sulla tovaglia bianca
decorata con fiori blu
del tavolo della cucina;
la taglio con precisione in due metà
che giro allo spremiagrumi.
Poi verso il succo dell’arancia
in un bicchiere di vetro verde;
aggiungo la polpa versandola
dallo spremiagrumi ed infine
tolgo con cura i semi con il cucchiaino.
Attendo qualche istante
per far riscaldare l’aranciata
a temperatura ambiente
e la porto a Lauretta.
Resto in silenzio a guardare
lei che beve contenta
il suo bicchiere di spremuta.
Per me non ci sarà mai un’altra donna
perché per nessuna potrei preparare
un’aranciata con altrettanto amore.

Roma, 22-27 aprile 2013


VERSO L’INFINITO

Mia madre mi raccontava questa storia
che io ascoltavo sempre con piacere:
“Quella mattina la maestrina
era uscita molto presto
per respirare l’aria fresca
e i profumi della primavera.
Giunse alla piazza del paese
dominata dalla Torre dell’Orologio
ed accanto alla fontana
vide la mamma di Giorgio,
uno dei suoi scolari più cari.
La donna era vestita di nero
e stava in piedi, immobile,
accanto a una piccola bara bianca
appoggiata per terra.
La maestra si avvicinò intuendo
che era accaduto qualcosa di terribile.
La povera madre non aveva più lacrime
e le disse a bassa voce,
con lo sguardo perso nel vuoto,
che Giorgetto era stato ucciso
da un proiettile vagante,
vittima innocente di quella guerra
orrenda e senza fine.
La maestra cercò di confortare
la donna angosciata, ma non riuscì
a trattenere il pianto.
Poco dopo le due giovani
si abbracciarono; poi la sventurata
si mise un fazzoletto sul capo,
e vi pose sopra la piccola bara bianca
per recarsi a dare sepoltura al bambino.
Si incamminò verso la campagna,
nella luce incerta del mattino,
perdendosi lontano, verso l’infinito.
Quel giorno la maestrina
cercò di tenere lezione, ma non ci riuscì;
fece fare ai bambini un po’ di ricreazione
e pianse di nascosto sul registro.
Pensava che non avrebbe più rivisto Giorgetto,
attento e sorridente al suo posto
in fondo all’aula, vicino alla finestra.
Il bambino ormai era in cielo,
tra gli angeli celesti, vicino a Gesù,
ma non dimenticava la mamma lontana
che lo avrebbe amato per sempre.”

Roma, 10-21 maggio 2013


A FONTE NUOVA

Cara Mamma,
negli ultimi mesi sei stata spesso
ospite nella Casa di Riposo “La Meridiana”
di Fonte Nuova; la vita ci ha negato così
anche i nostri brevi incontri
che ci davano tanta gioia.
Io ti penso sempre
e prego spesso il Signore
che ci dia la forza di andare avanti.
Leandra è lontana e io non sto bene,
ma ti sono vicino come posso col telefono.
Mi conforta sentirti quasi sempre serena
e sapere che sei in un posto accogliente.
Presto torneremo a vederci,
spero più spesso di prima
e vivremo insieme tante ore felici.
Tu lì dove sei mangia delle buone cose,
fai delle passeggiate in giardino,
col fresco, leggi i giornali che Laura ti invia,
distraiti con gli altri ospiti e con la TV.
Pensa che ti sono vicino ogni minuto
con il cuore e con lo spirito;
ama la vita e spera sempre bene
perché i giorni più belli debbono
ancora venire, attendili con fiducia.
Stare al mondo per me non è stato facile,
ma non ti ho mai dimenticata.
Sei il mio sostegno più valido,
con te condivido le gioie e gli affanni,
perché sei l’ultimo rifugio, il più sicuro.
Con affetto infinito
tuo Amedeo

Roma, giugno-luglio 2013


UN GELATO ALLA FRUTTA

A Ostia i momenti più belli
sono quando alla sera prendiamo un gelato
da Gelosia a piazza Tor San Michele.
Sul bancone le vaschette presentano tanti gusti
dai colori diversi ed invitanti; Laura chiede
una coppetta con cocomero, melone ed ananas,
io preferisco un cono con fico e frutti di bosco.
Ci sediamo sulla panchina di fronte alla piazza
e consumiamo soddisfatti i nostri gelati.
Il locale a quest’ora ha pochi clienti
perché le persone sono quasi tutte a cena
ed anche le strade sono poco frequentate.
C’è ancora la luce del giorno
ma l’aria è più fresca.
Forse la felicità è un gelato alla frutta
gustato insieme sotto un cielo sereno.
Guardo oltre la strada il mare grigio ed azzurro.
Per un attimo ripenso al passato. A Pescara mio padre
la sera comprava una vaschetta di gelato
per tutta la famiglia alla Gelateria della Pineta
con il commovente entusiasmo di un bambino.
Quelle occasioni felici non le scorderò mai.
Infine andiamo a passeggiare sul lungomare
illuminato dalle insegne al neon
e ci lasciamo conquistare dal fascino
di queste serate estive, che ha resistito
miracolosamente alla crisi economica.
Speriamo che in futuro per noi
ci siano ancora dei gelati alla frutta
per allietare tante, fantastiche estati.

Roma, 20-24 luglio 2013


LUGLIO 2013

Quest’anno come molti altri Romani
a luglio Laura ed io siamo rimasti in città
a causa degli impegni che abbiamo.
Sono giornate piene, interminabili,
rese impossibili da un’afa soffocante.
Verso le 11 del mattino ci rechiamo
a piazza Regina Margherita
per una pausa fresca e distensiva.
Questa piazza è abbastanza grande,
tranquilla, con ampi spazi pedonali,
abbellita da alcuni anni con aranci selvatici
e con delle panchine in muratura;
l’area è delimitata da palazzi d’epoca,
intorno si affacciano degli esercizi pubblici.
La nostra meta preferita è il Bar Mapi,
dove spesso consumiamo
la colazione o un piccolo spuntino.
I proprietari, i coniugi Mario e Pina,
con il loro encomiabile amore per il lavoro
hanno creato un ambiente simpatico
e familiare. Seduti a un tavolino all’aperto,
siamo finalmente sereni.
Penso che basta poco per essere felici,
ma spesso ci amareggiamo senza motivo.
Guardo Laura che sorride spensierata;
giuro dentro di me che difenderò
il nostro amore dal mondo
e da noi stessi, dalle abitudini
che uccidono la tenerezza,
dai mille problemi che spesso
ci fanno dimenticare che la vita
è fugace come un soffio di vento
e perciò va goduta giorno per giorno.

Ostia, Roma, 3-16 agosto 2013


SOGNO

La sera chiudo gli occhi stanco
e finalmente mi addormento.
Un sogno ogni notte viene a confortarmi.
Vedo una donna stupenda,
un angelo dai capelli d’oro
con gli occhi profondi come il mare,
che indossa una candida veste
sotto la quale si delineano
delle incantevoli, morbide forme.
Tu, angelo mio, col tuo grazioso sorriso
mi rallegri solo a guardarti;
a volte mi chiami per nome
donandomi una sensazione meravigliosa.
Insieme passeggiamo felici
in un verde giardino dove ammiriamo
dei fiori dai colori vivaci;
lì ci scambiamo dolci parole
e tenere frasi d’amore.
Ma quando cerco di accarezzarti
mi sfuggi sempre e ti dilegui
come la nebbia al sorgere del sole.
È inutile cercarti nelle strade della città,
non ti incontrerò mai nella vita reale,
tu esisti soltanto nella mia fantasia.
Sei solo un sogno, un sogno segreto,
ma doni al mio cuore di nuovo la speranza,
mi fai amare ancora la vita, e per magia
illumini il silenzio di questa notte senza stelle.

Roma, Ostia, 16 agosto-09 settembre 2013


L’ULTIMO GIORNO

Erano passate da poco le dodici;
quella volta Giovanni non aveva fame.
Era a letto ormai da un mese;
aveva speso tutte le energie
e si era rovinato la salute
per assistere con altruismo
la moglie malata da tanti anni,
senza abbandonarla un solo giorno.
Certamente non guardava il bel sole di gennaio
che entrava dalla finestra sulla strada,
né faceva caso alle persone che lo assistevano;
rifiutò anche il solito pasto preparato per lui.
A tratti socchiudeva gli occhi, ma non dormiva,
forse ricordava i giorni lieti del passato,
quando da giovane andava a passeggio
con la moglie elegante e la loro bambina
meravigliosa e felice, che camminava fra di loro.
Nella vita aveva pensato sempre a tutti,
ma troppo poco a sé stesso,
felice del bene che faceva agli altri.
Con tanti anni di sacrifici estenuanti
aveva dato una testimonianza sublime
di cosa vuol dire onorare il sacro giuramento
del matrimonio e il significato di parole
elevate quali fedeltà ed amore.
Quello ormai era il suo ultimo giorno
su questa terra, ed il primo dell’eternità;
sarebbe entrato nel paradiso degli uomini giusti,
dove finalmente avrebbe riposato in pace.

Ostia, Roma, 21-27 settembre 2013


LA MADONNA DAL MANTO CELESTE

La Chiesa di San Giuseppe al Nomentano,
armoniosa e raccolta, mi è molto cara.
Fu edificata nei primi anni del Novecento
in stile romanico-primitivo ed ospita
una statua della Madonna dal manto celeste.
Ho venerato questa effige fin dall’adolescenza;
in questi giorni vado spesso a contemplarla
e dinanzi a Lei provo una grande serenità.
Al mattino le navate sono ancora in penombra,
io accendo un cero votivo alla Santa Vergine.
Ella ha sotto i piedi il serpente biblico,
indossa una veste bianca e sembra benedirmi;
nel silenzio di quegli attimi
la accarezza dolcemente un raggio di luce.
Ricordo che un tempo mi rivolgevo alla Madonna
per i problemi riguardanti i miei studi,
la pregavo per la mia famiglia
e per le prime esperienze sentimentali.
Oggi le parlo soprattutto del mio matrimonio,
messo alla prova dalle inevitabili difficoltà della vita,
dell’amore per Laura che sta rinascendo
tra i colori caldi e grigi dell’autunno.
Spero che il prossimo aprile festeggeremo
l’anniversario del nostro primo incontro
sereni come non lo siamo stati da anni,
lieti come in quel tempo fulgido e lontano
che ricordiamo ancora commossi.
Allora speravamo che la vita
ci avrebbe donato tanti giorni meravigliosi.
Molti di essi ormai sono trascorsi,
ed altri ancora verranno,
col l’aiuto della Vergine Celeste,
che mi sorride soavemente
e mi fa confidare in un futuro felice.

Roma, ottobre 2013


SUGGESTIONI ALL’ALBA

Alle 4 e mezza del mattino mi alzo
e mi vesto al buio, per non svegliare Laura.
Vado in cucina e accendo l’aria condizionata.
Prendo libri e giornali; sul tavolo
studio farmacologia, poi le opere del Pascoli,
leggo “TV Sorrisi e Canzoni” e “Il Tempo”.
C’è il silenzio più completo. Finalmente siedo
davanti alla TV; guardo un film degli anni ‘80
e alcuni video musicali molto vivaci.
Mi preparo con cura un tè al limone
o al latte con dei biscotti dolci.
Verso le 6 tiro su la serranda della finestra.
È ancora notte. Ogni tanto guardo fuori.
Ad un tratto il cielo si rischiara; è l’alba.
Oggi c’è molta nebbia. Sono sereno,
so che il nuovo giorno non mi darà
più gioia dei ricordi degli anni trascorsi.
La nebbia lentamente si dirada;
si delineano i contorni dei palazzi,
degli alberi, della strada deserta.
Spengo la luce. Dalla finestra entra
un tenue chiarore che accarezza
l’interno della cucina, dove tutto sembra irreale.
In televisione Little Tony canta “Riderà”,
inno appassionato alla giovinezza e all’amore.
Sfoglio con nostalgia il libro della memoria
del quale amo ogni pagina, ogni giorno, ogni istante.
In questa alba solitaria il pensiero vaga lontano;
torno a rimpiangere le cose del passato
che allora non sono riuscito a capire.
Infine trovo la felicità che ho cercato
invano per tanti anni credendo in falsi miti;
mentre nasce il nuovo giorno, comprendo
che la mia vita è stupenda e irripetibile.

Roma, 23 dicembre 2013-01 gennaio 2014


A PORTA PIA

I primi ricordi della mia vita
sono legati a una piccola casa
di ringhiera nella zona di Porta Pia,
posta al terzo piano, dove vivevo con i miei.
Per noi fu un periodo molto felice
per le speranze che nutrivamo
e per l’affetto profondo che ci legava.
Mio padre era impiegato presso la Sede
della Banca Commerciale Italiana.
La sera, quando tornava dal lavoro,
stavamo accanto a lui in silenzio
perché era stanco e soffriva molto
per i segni che la guerra aveva lasciato
sul suo fisico. Per essi non aveva chiesto
la pensione di invalidità, che gli spettava,
“per non mettersi addosso il vestito da malato”.
Mia madre faceva la maestra elementare a Talocci,
una frazione di Fara Sabina in provincia di Rieti
e rientrava a casa verso le tre del pomeriggio.
Io ero orgoglioso dei miei genitori,
perché lavoravano tanto ed erano stimati da tutti.
Mia sorella era molto affezionata a me,
ma era un po’ prepotente
come molti figli maggiori.
Quando avevo tre anni lei cominciò ad andare a scuola
ed io volli rimanere a casa da solo;
ogni tanto una buona vicina veniva a darmi uno sguardo.
Inizialmente ebbi paura, ma poi la superai.
Per me quella casa era il sacrario
della mia adorata famigliola
ed io ne ero il piccolo, coraggioso custode.
L’appartamento era angusto e disadorno,
ma dava su un balcone abbastanza ampio
con una tenda verde e dei graziosi vasi di gerani.
Da esso io mi affacciavo spesso per guardare
il cortile sottostante, nel quale c’era una officina per auto;
i meccanici mi salutavano sorridendo
e col loro affetto mi davano un grande conforto.
Inoltre mi facevano compagnia pochi soldatini,
alcuni fogli di carta, una penna e la mia fantasia.
Spesso mi telefonava o veniva a farmi visita
zia Derna, che abitava a Centocelle;
lei aveva per me un affetto infinito
e mi chiamava sempre “il figlio della zia”.
Di quel periodo ricordo molto bene
la nostra frequenza alle Sante Messe
nella vicina Chiesa di Santa Teresa,
le passeggiate domenicali a Villa Borghese
e a Villa Paganini, i maritozzi con la panna
acquistati in un negozio di via Ancona,
che dividevo a metà con mia sorella Leandra.
La domenica pomeriggio quasi sempre mia madre
rimaneva in casa per dedicarsi alle faccende domestiche,
ma era felice di sacrificarsi per la famiglia.
Qualche volta Leandra ed io accompagnavamo papà
in un bar latteria in via Paoletti
dove giocava a carte. Eravamo fieri di lui
perché vinceva sempre, grazie alla sua memoria.
Quella casetta che io amavo tanto
vedeva un po’ di sole d’estate; nelle altre stagioni
era umida e fredda. Io ero spesso malato
e mio padre pensò di cambiare domicilio.
Questa decisione la accettai di buon grado
perché speravo che altrove sarei stato meglio in salute.
Si chiuse così il primo capitolo della mia vita,
che io ricordo come un sogno lontano.

Roma, gennaio-febbraio 2014


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