Racconti di Alfredo Zucchi


A due voci: la plus charmante c’est l’absence

Hai detto sì? È bene che tu sappia, è solo una tentazione. Hai detto sì?
– L’ho detto. Per l’abito. dont l’avènement est fatal. – Queste parole hai detto? Con queste parole? Vergogna. Gogna.
– Non l’ho detto, mi è stato detto, così: regarde au bord de l’abîme. L’abîme qui n’est pas possible. l’abîme dont tu…
Solo una tentazione. Sono tuo amico, dico: lasciala cantare, un’assenza lasciala cantare.
C’est l’esprit de la comédie.
– Incipit comoedia quando? Quando?-
Solo una tentazione. Sono l’unico tuo amico, tuo nero buco senza contorni. Vorresti superare? Superarti? Vorresti? A che tanto? Perché poi? Tu davvero credi?
– Questa cosa che credo, questa cosa che vedo col senno di una grande astrazione è una sofisticatezza. Viscida. Vischiosa. Squallida. –
Tu, tu vedi? Col senno? Sono l’unico tuo amico. Dico: tu vedi. Lasciala cantare allora. Un’assenza lasciala cantare. Solo una tentazione, una necessità...
Vorresti valicare? Superare con un gesto? Prova. Lo stai facendo? Pensi di farlo? ce n’est pas possible: je suis l’esprit la comédie. Non puoi farlo. Non tu, solo.
O magari sì, invece, la testa voltata altrove. Non guardare.
Tu sei.
– Io sono la vitrea possibilità che mi supera. –
Tu sei.
– Io sono un mostro sempre nuovo. Un mostro accidentale. –
Tu sei. – Io sono successivo.-
Perché dico, perché non parli, perché non dici?
Indica. Je suis le moqueur. Veux-tu regarder?
– Io vedo: una soluzione, una successione. Contrazioni prenatali: tutto o niente. –
Tutto? Tu vedi ? toi ? tu n’est pas possible.
– Un declino da una nuova aurora da un vecchio declino disfatto. –
Un declino definisce una nuova aurora possibile: c’est que le crépuscule, planant comme un soleil nouveau, fera s’épanouir les fleurs de ton cerveau. Capisci?

Hai detto sì? Con un gesto? Ti sei mosso? Sei stato smosso? È solo un abito. Per questo dico: lasciala cantare. Incipit comoedia, comincia.
– Incipit comoedia quando? Quando? –
Comincia dico. Con un gesto, un abito beffardo, un gesto: canta.
– Incipit comoedia:
Il bicchiere è vuoto.
La domanda è stata posta all’oggetto sbagliato.
Un errore di mira.
Ma la schiuma sul fondo resiste. Vive. –


Gesti.

Gesti. Gesti umani. Molto di più, pietà.
Io, io sì, invece – non posso. Uno, due, tre: Aborti. L’ho sparata. Ho sparato; sui gesticuli.
Voi – ma se fossi in vena d’indulgenze, una venuzza, direi: diaspore. Uno, due, tre: diaspore d’essere. Roteando le braccia a formare un cerchio conchiuso. Inclusivo. Certo il dramma è l’esclusività, ci si ammazzerebbe per una privazione…
Tiresia, l’uomo che è stato donna, poi pescivendolo e mercante di spezie, suicida per un disgraziato impiego in banca, non avrebbe pietà di voi. E neanch’io.
Certo io non sono stato donna. Un peccato: il piacere contrattivo, la passività e le altre moine che spesso si vanno ciarlando, è un fatto di piani di stile. Si può fare, là da voi: con specie, ribrezzo e desolazione. Si deve fare qua, quaggiù. Così giù che il calore soffoca. Ma poi dipende dalla stagione – altre volte si intirizziscono i piedi.
Ma la specie è crollata, marcita, triturata. Sminuzzata, e sta. Di fatto è ambigua; mi offende.
Bisognerebbe smettere di andare causa soltanto questo inerte retaggio senile: tanto comunque si muove. È proprio inutile quel movimento particolarmente coinvolgente, implicante. Anche di questo, si giudicherà.

È probabile, la materia: i probabili grumi di polvere addensati tra l’alluce e le altre innominabili dita. È la situazione preferibile, quando la sky line sono i miei piedi sporchi. Orizzonti di grumi. Ma questi peccati di gola, è bene tacere. È una cosa frequente: Bisogna saperne di oggetti, e di aneddoti. Non si sa mai: il rubino dello champagne.
Situazione. Posizione. Posti e situati; ordine, please. Alla prossima probabilità di significazione, c’è un premio tutto nuovo. Una nuova indulgenza: silenzio; gesti nuovi, taciuti, zitti.
La minima dispersione è fondamentale. Fondamentale è disperdere il minimo. Bisognerebbe disperdere, quanto meno – possibile. Insomma: tono. Musica.

Una volta Tiresia mi disse “non si vede”. Ma è passato molto tempo. E figurati; se tutta la capacità – incanalata, puntata, posta e situata – potesse farci vedere.
Un fatto d’inclinazione. Colle palpebre chiuse si può sempre giocare a deformare i riflessi di luce assunt e dargli nomi, del tipo: “Ossessione, usteron proteron “. Sì ma, aspetti, dico – credere ai nomi è un usteron proteron.
Tono, sì. Sì: è sempre un passo solo che ci separa dall’informe; ed allora sì, orgie amorfe!

Ma le luci, gli oggetti, i cieli arrugginiti dalle luci, sospesi sui crani eretti dei cipressi…
Sì! Si può durare – anche indefinite circoscrizioni di evento; anche sbavature, simmetrie, circuiti. Sì! Soltanto indefinite circoscrizioni di evento. E poi, pezzo pezzo, fare somme.
O no? Infatti no. Ogni pezzo il cordone aggrappato all’utero dell’altro, una immensa filiazione: Complimenti! E poi i figli si sa quando crescono dimenticano.
E l’individuazione non si può toccare. Noli tangere. Tanti ranocchi: ognuno il suo reame, il suo stagno, il suo sedimento.
Si giudicherà. Infatti Tiresia quaggiù finiva sempre così, dicendo si giudicherà, si vedrà. Ma se non si vede, dico io, con tutta la posizione, la situazione, con tutta la mira, come si vedrà non lo so.
Non si può credere, agli uomini che son stati donne. E pescivendoli. E così. Via. Non si può credere. È una cosa triste, non ci sono momenti che non siano estremi, non ci sono momenti. Triste: punire dopo aver subordinato. Punire i subordinati. Subordinati puniscono subordinati.

C’è dell’altro, poi, se la contesa è tra oggettini acefali, gestanti: non bisogna sforzarsi così, c’è il rischio di partorire – mostri. C’è sempre dell’altro, ad un passo o due.
È quel che dico spesso, dovrei notiziare. Ed allora: tono. Divulgativo. La probabilità di morire è sempre molto alta; quella di sopravvivere sempre troppo alta. I giochi sono fatti. I conati irriflessivi, assuefatti. Compiuti i riti, non si può. Si raccomanda esercizio. Tecnica, tecnica.



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