Opere di

Alessandro Ferrari

Con questo racconto è risultato 1° classificato – Sezione narrativa alla XIV edizione Premio Letterario Il Club dei Poeti 2010


Questa la motivazione della Giuria: «Il racconto “Il paradiso di Vassili” è pervaso da emozionante recupero dell’amore per la propria terra natia che diventa legame indissolubile con la sostanza stessa del proprio essere, della propria vita.
Attraverso le illuminazioni memoriali della bellezza straordinaria dell’isola di Karpathos, si snoda una narrazione intensa e profonda, fin da quando Vassili e suo padre partivano all’alba per pescare in una insenatura che era un paradiso della natura, fino alla scomparsa del padre e alla necessità, da parte di Vassili, di organizzare escursioni turistiche proprio in quel luogo magico con il solo scopo di poter guadagnare qualcosa per mantenere la famiglia. La scrittura limpida, efficace e penetrante rende, nel miglior modo possibile, l’animo del simbolico protagonista.». Massimo Barile


Il paradiso di Vassili

Appena si svegliò, l’odore pungente di benzina gli riempì le narici. Amava quell’odore. Gli ricordava quando andava a pescare col padre. Partivano all’alba con la loro piccola barchetta col motore che perdeva, insieme agli altri pescatori. E quando le altre imbarcazioni deviavano ognuna per la propria rotta, Vassili e suo padre ritornavano verso il porto manovrando però verso nord.
Si avvicinavano molto alla costa e pescavano in un tratto di mare che aveva di fronte alti pendii a strapiombo, proprio in direzione di una insenatura di sabbia circondata da una pineta. Vassili sapeva che era impossibile raggiungerla via terra ed era felice che nessuno si fosse mai goduto quel piccolo paradiso. Nessuno tranne loro due. Era il loro segreto ed era lì che attraccava il padre, per mangiare qualcosa durante la battuta di pesca, su quella sabbia bianca, all’ombra dei pini. Aveva sempre fantasticato su quel luogo e aveva addirittura confidato al padre il suo sogno: «Papà, voglio costruirmi una casetta e venire a vivere qui». «Questo è il cuore dell’isola» gli aveva risposto il padre dopo essersi guardato intorno «è una perla rara che avrebbe bisogno di un guardiano» aveva poi concluso dandogli una pacca sulla spalla e sorridendogli. Ma su quella faccia un sorriso era una smorfia. La pelle arsa dal sole e i denti ingialliti dal pessimo tabacco che fumava, davano al viso di Corios l’aspetto di una roccia e anche al tatto la rudezza dei lineamenti ricordavano quegli aspri rilievi che dominavano tutta l’isola. Solo il colore di carne cotta lo rendeva più umano. Vassili aveva stampato a fuoco quel momento e quelle parole nella memoria ed ora, anche se era rimasto legato a quel luogo in maniera diversa rispetto a ciò che aveva sempre immaginato, sulle sue labbra aveva lo stesso sorriso del padre, ormai morto da alcuni anni.
Da quelle uscite in mare per la pesca era passato molto tempo, ma dal suo letto i profumi e i rumori che sentiva erano gli stessi. Il mare che sbatteva e il sibilo del vento che gli portava nella stanza gli odori del porto, sembravano aver fermato il tempo.
L’isola però era cambiata.
Adesso era il turismo l’attività principale e l’occupazione stabile per tutti gli isolani. Vassili non aveva mai amato gli stranieri, ma era dovuto scendere a patti con quelli che lui definiva gli usurpatori, gli invasori dell’isola. Temeva che il suo segreto venisse scoperto e che qualcuno gli rubasse il suo paradiso. E per questo prese quella decisione. Proponeva un’escursione in barca su una spiaggia incontaminata con sosta per il pranzo nella fresca pineta. Si era venduto, ma lo aveva fatto per non perdere quella sabbia e quei pini e il ricordo del padre. Era il “Paradiso di Vassili”. Quando per la prima volta aveva visto gli opuscoli freschi di stampa, gli si era fermato il cuore.
Pensare di dover condividere la sua perla con degli sconosciuti che mai l’avrebbero amata e venerata come lui faceva fin da bambino, lo uccideva dentro. Aveva venduto la vecchia bagnarola del padre ed aveva dovuto comprare un mezzo adatto per quel tipo di escursioni, ma non era stato facile staccarsi da quelle tre asce e dal motore a pezzi. Era come se avesse perso il padre per la seconda volta.
La madre poi gli aveva insegnato a cucinare e Vassili dapprima si era impegnato, entusiasta di ciò che faceva e di ciò che avrebbe preparato per i suoi clienti. Ma poi tutto si era ridotto a svegliarsi alle 6 del mattino, attendere i passeggeri, portarli sulla spiaggia, allestire una sorta di mensa, preparare il pranzo, servirlo, smontare tutto, pulire con accuratezza e riportare al porto barca e turisti. Otto ore di convivenza con estranei che gli facevano le domande più assurde senza mai capire in quale luogo magico fossero. E tutto per 30 euro. Era perfino diventato insensibile ai costumi inesistenti delle tedesche ed ai topless delle italiane.
Un tremendo rimorso lo invadeva ogni volta che riprendeva il mare per rientrare. Lanciava tristi sguardi verso la sua spiaggetta come per scusarsi dello scempio che ne aveva fatto e allo stesso tempo chiedeva scusa anche al padre, guardando verso il sole. E navigava in quel mare di sconforto, solo, con la nave piena di sconosciuti. Una profonda nostalgia per il suo passato gli si era appiccicata addosso più della salsedine, cambiandogli i connotati, rendendo il suo sguardo perennemente triste.
Per questo motivo la madre si era buttata a capofitto nell’apprendimento delle lingue che Vassili aveva dovuto insegnarle e volentieri stava fino a tarda notte al molo, per stargli il più vicino possibile, dopo essersi resa conto di quanto i colpi del destino lo avessero ferito, lasciandogli quelle cicatrici sul viso.
E fu lei a chiamarlo quel mattino: «Vassili? Sei sveglio?»
«Sì. Adesso scendo».
Si vestì e scese in cucina, dove la madre gli aveva già servito la colazione e lo attendeva. Lui sedette senza una parola. Entrambi sapevano che quella sarebbe stata un’altra dura e lunga giornata.
«È tutto pronto?» Esordì l’anziana, più per salutarlo che per sapere ciò che già sapeva. «Certo, come al solito».
Sistemavano la barca alla sera, al rientro, in modo che al mattino seguente un eventuale problema sarebbe stato risolto molto in fretta.
«Quanti ne hai oggi?» «26». Lui non alzò lo sguardo dalla colazione, lei lo guardò e mai come quel giorno la rassegnazione che vide sul viso del figlio la preoccupò.
Il mondo tremò sotto i suoi piedi. Fu come se avvertisse che qualcosa d’improvviso stesse per accadere e sconvolgere le loro vite. Stava per fargli un’altra domanda, per ricevere certezze, per avere la sicurezza da una sua risposta che nulla sarebbe mai cambiato, ma Vassili si alzò di scatto e la salutò con un frettoloso bacio: «Ciao Ma». Lei rimase lì, immobile, in silenzio, in compagnia di quel maledetto presentimento nel cuore.
Vassili uscì nel sole di un’alba rovente. Raggiunse il porto in solitudine e salì sulla sua imbarcazione che rollava leggermente, senza un rumore.
La ammirò.
Perfetta, si disse. Ma poi guardò oltre. L’orizzonte. Il cielo terso, l’imponenza e la maestosità delle vette. Sospirò, rendendosi conto di essersi tristemente abituato alla perfezione ed alla straordinaria bellezza di ciò che lo circondava e di ciò che aveva reso Karpathos, la sua isola, famosa in tutto il mondo. Pensò alla sua spiaggia, al suo paradiso. E pensò agli stranieri che stavano per arrivare, come esiliati senza patria, poveri uomini senza nulla a cui ritornare.
Si rinnamorò della sua terra e in cuor suo riscoprì quella promessa che si era fatto da bambino, ora riaffiorata con forza: non avrebbe mai lasciato la sua isola.
E lo avrebbe confidato alla madre, quella sera.

Alessandro Ferrari


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