Opere di

Alberto Marcolli

Con questo racconto è risultato 4° classificato – Sezione narrativa alla VI Edizione del Premio di Scrittura Creativa dedicato a Lella Razza 2010


«I colori delle donne»

Ogni anno il tema del concorso letterario era una sfida sempre più laboriosa, ma questa volta l’implacabile gruppetto di giurate, tutte donne – naturalmente – aveva superato se stesso, pretendendo lo svolgimento di un compito quasi impossibile, e forse era proprio quello che le crudeli creature si auguravano!
Come avrei potuto inventarmi 9000 battute di frasi intelligenti su un argomento talmente etereo come “i colori delle donne”? Oltretutto dopo aver appena letto su un sito molto spiritoso, da me frequentato nei momenti di sconforto, che un buon cinquanta per cento degli uomini sarebbe daltonico. I maschi, così scriveva l’ignoto relatore, distinguerebbero a fatica 16 colori appena, e soltanto in qualche raro caso alcuni di noi, forniti di una preoccupante abbondanza di ormoni femminili, potrebbero arrivare a 22, massimo 26 colori, un’inezia che non permetterebbe mai di competere con una qualunque femmina normodotata, che di colori ne ha in testa, e non solo nei capelli, almeno 64000, pari al massimo livello previsto dal computer con cui scrivo le mie storie strampalate. Nel cervello femminile il creatore deve aver installato una specie di microchip, invisibile quanto efficientissimo, capace di sgamare una microscopica sfumatura giallognola su un lenzuolo bianco, che più bianco non si può. Ciò che per noi uomini è, e sempre sarà, un marrone e nulla più, per una signora potrebbe spaziare dall’ocra al terra di Siena, al capriolo, passando per un seppia, un mogano e chissà cos’altro. Il rosso più banale lei lo potrebbe definire un rosso fragola, oppure lampone, ossido, carminio, corallo, pomodoro, scarlatto, rubino e così via all’infinito. Al più un uomo, impegnandosi a fondo, potrebbe attribuire a un colore semplici aggettivi tipo chiaro o scuro, ma non sia mai che una donna si limiti a tanto: per lei un colore è anche tenue, brillante, pallido, dorato ma con un tocco di… Le sue abilità mentali possono spingerla a concepire colori complicatissimi, tipo verde smeraldo opaco che sfuma nel turchese violetto imperiale. Ma non sarebbe più spiccio chiamarlo viola e basta?
Quando chiedo a una commessa di mostrarmi una giacca color grigio, intendo una via di mezzo tra il bianco e il nero, giusto? E invece mi sbaglio di grosso. Per la signorina c’è il grigio seta, il grigio ardesia, il grigio finestra, il grigio cenere, il canna di fucile, il grigio vaio, il fumo di Londra, il grigio platino. Alla fine desisto e mi affido disarmato ai suoi voleri.
Altre volte le donne arrivano al paradosso di battezzare un colore con il nome dell’oggetto da loro citato a similitudine. Avremo allora il muschio, il noce, il vinaccia. E poi il salmone, il tortora, il corallo… ma anche mattone sabbia cemento pietra granito polvere fango grafite. Tutti colori ben noti e usati a piacere. Dalle donne. Ma non sarà che se le donne vedono talmente diverso alla fine penseranno anche diverso? Se così fosse avremmo finalmente spiegato il motivo di tanta difficoltà di comunicazione tra noi e loro.

Questa mattina, con il cervello ancora intasato da queste strane idee, rileggendo il tema del concorso, concludo che per trovare nuovi spunti dovrei decidermi a esplorare con più attenzione il mondo femminile della mia città, come non faccio da un bel po’ di anni.
Ma la mia città è più uomo o più donna?
Della mia città si può dire che è bella o brutta (dipende dai punti di vista), piccola o immensa (dipende dal tempo che uno ha per visitarla), allegra o imbronciata (dipende da quale piede abbiamo posato a terra per primo questa mattina), tutti aggettivi femminili. Sono invece maschili gli aggettivi in “isti” con i quali identifico le qualità “migliori” dei suoi abitanti: efficientisti, pragmatisti, egoisti, individualisti, arrivisti, federalisti, secessionisti. E allora? Propendo per il femminile: la mia città da oggi in poi sarà donna! Forse perché la festa della mamma è passata da tre giorni e poi perché siamo in primavera, la stagione dei fiori, la stagione in cui sbocciano i colori delle donne, nonne o ragazzine non fa nessuna differenza. Per capirlo meglio mi accomodo al tavolino del mio caffè preferito e osservo il brulichio che anima la piazza. Chi meglio di una donna sa impersonare quest’atmosfera nuova che si agita nell’aria? Questa voglia di luce, di sole. Questa gioia di vivere? Chi meglio di una donna sa come valorizzare il proprio fascino nell’incredibile varietà di forme e colori che la sua acuta fantasia le suggerisce?
Con un gonnellino patchwork coloratissimo, una casacca traforata, un gilet con collane e pendagli di sapore hippy e un paio di sandali da gladiatore ai piedi, ecco la prima che attira la mia attenzione. La vedi che è piena d’idee e voglia di divertirsi, ragione di più se è single. Me la immagino con un gruppetto di amiche ballare fino all’alba, senza stancarsi mai, con la speranza, nemmeno troppo taciuta, di un incontro.
La prossima invece è la classica mammina sprint: dal pupo all’ufficio. Un marito, una casa di tre locali più servizi da tirare avanti e un impiego a orario continuato. La sua giornata è un’eterna gara contro il tempo: si trucca durante il tragitto in auto casa lavoro, sfrutta la pausa pranzo per la spesa al supermercato, che nasconde sotto la scrivania. Ore quattro del pomeriggio veloce ritiro del pupo dal nido. A casa eccola con il sugo della pasta che si attacca, la lavatrice che fa le bizze, la camera da rassettare, le camicie da stirare e la ceretta settimanale, perché trovare il tempo per curare se stessa è un diritto cui non rinuncerebbe mai.
Ha un’aria sognatrice, vagamente decadente, estrosa, a tratti irrequieta a tratti remissiva: è l’artista di penna che arriva puntuale a godersi la sua pausa caffè. Non si stanca d’inviare manoscritti a editori grandi e piccoli, siede sempre in prima fila nei seminari di scrittura creativa e s’interessa a tutti i bandi di concorso per un premio di narrativa o poesia che riesce a scovare. Quando va bene, la invitano alla premiazione e nel frattempo affina le sue doti in fiduciosa attesa di quella menzione speciale che toccherà pure a lei, prima o poi.
Di tutt’altro aspetto è la giovane donna che attraversa la via con passo gagliardo. Indossa un paio di comodi jeans e una maglietta bianca, al centro il bozzetto a colori del pianeta terra, il disegno stilizzato di un grande cigno azzurro e la scritta in verde: “Puliamo il mondo”. Ovvia la sua appartenenza a una delle tante associazioni di volontariato presenti in città, dove so che molte donne offrono gratuitamente il loro tempo libero al servizio di una giusta causa. Risanamento ambientale, crociate antinquinamento e tutela della fauna selvatica, ma anche servizi sanitari e pronto soccorso. Signore che assolvono la missione con coscienziosità esemplare e nemmeno la più invitante delle proposte le farebbe rinunciare al loro turno settimanale.
Con un libro sottobraccio, si siede al tavolino di fronte una signora della mia età. Mi spiazza con i suoi occhi scuri e intelligenti che scrutano curiosi dietro un paio di lenti sottili. Emana cultura da tutti i pori. Tavole rotonde, conferenze, dibattiti, mostre d’arte e concerti di musica sinfonica immagino siano il suo pane quotidiano. L’idea che saprebbe leggere le cinquecento pagine di un trattato di Umberto Eco sulla ricerca della lingua perfetta nella cultura europea senza nemmeno sfiorare un vocabolario mi fa sentire piccolo piccolo, e cerco di distogliere lo sguardo per non tradire il mio impaccio.

Potrei rimanere qui seduto per ore, annotando impressioni nel mio quadernetto, ma è giunta l’ora di pranzo, e chi la sente mia moglie se arrivo che è già servito in tavola. A proposito, penso sia giusto terminare proprio con la compagna della mia vita. Colei che ha saputo accettare i miei difetti trasformandoli in virtù. Dopo il matrimonio ha scelto senza esitazioni di essere una casalinga, preferendo il calore della famiglia alle sgomitate fra colleghi. Amante della casa, è una donna serena che, credo, non conosca frustrazioni, se non quelle causatele da un marito troppo esigente e nervoso. Tra le sue tante soddisfazioni personali vi è quella di essere lodata (e anche un po’ invidiata) dalle sue amiche per la casa sempre in ordine, il terrazzo fiorito, le cenette e le torte deliziose, capaci di risvegliare dolcemente il palato dei mariti altrui, paralizzato dai troppi “quattro salti in padella” sfornati in tre minuti dal “microonde”.
“Ciao, scrittore!”, mi saluta allegra mentre apro la porta di casa. Poi osserva con interesse il mio taccuino e mi chiede se ho scoperto qualcosa d’interessante durante la passeggiata mattutina. Io vorrei dirle la verità, ma poi cambio discorso temendo di turbare i fantastici colori del suo sorriso che mi hanno aiutato a vivere in armonia i trent’anni della nostra vita in comune.

Alberto Marcolli


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