L’agave, il vento e il pescespada

di

Achille Basile


Achille Basile - L’agave, il vento e il pescespada
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 140 - Euro 11,50
ISBN 979-1259510532

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Storia di una vita, raccontata come da un antico aedo, con calma. Storia di eroismo e banalità, di solitudine e affetti tenaci. Storia di Anna che non sa che farsene della quotidianità coniugale. Storia di Nestore forgiato dal vento, da un un’agave e da un pesce spada 


Il bambino che trasportò un bacio

La lava nasce del colore del fuoco perché all’inizio è fuoco. Scorre sulle pendici del vulcano e diventa roccia nera quando si getta nelle onde. Quel nero, nato dal fuoco, ora è forza. Per questo fra i colori è l’unico più intenso del mare. Come gli occhi di Nestore e di Bianca: neri, come la caparbietà.
Nestore è un bambino magro dai capelli mossi dello stesso colore dei suoi occhi, mossi fino al confine del riccio. È conosciuto da tutti, ma pochi, forse solo Alfio, sono riusciti a vedere le sue gambe snelle perché l’intero giorno lo trascorre seduto a poppa del gozzo blu con una striscia rossa che il padre gli ha affidato per il suo lavoro. Già, Nestore, un bambino di dieci anni o poco più, lavora finché la luce del giorno lo permette: fa il traghettatore. Trasporta merci e turisti tutt’intorno all’isola immersa nel Mediterraneo. Parla di rado, ma osserva e capisce. Il suo arrivo è annunciato da quel motore diesel ad un sol cilindro che, pot… pot… pot…, corre avanti ed esce prima di lui da dietro la punta dell’isola. Due, tre gesti, non di più e ormeggia con maestria la sua imbarcazione. Il tempo di caricare e via di nuovo. Silenzioso. A fargli compagnia è soltanto una vecchia pipa spenta e rotta che, a volte, non sempre, forse nei momenti di maggior solitudine, stringe fra i denti e le labbra mentre scruta, ma forse è meglio dire: già domina, il mare.
Bianca è la più bella ragazza dell’isola. Quindici anni e dei capelli che tutti, nessun escluso, vorrebbero toccare. Gli occhi, come i capelli, dello stesso colore di quelli di Nestore: neri come la lava quando incontra e contrasta il mare. E vestiti semplici da ragazza del popolo che lei rende capi importanti con il suo corpo fiorito. Non ha un amico, ma tanto lavoro in cui mette la sua forza ed il bel sorriso che ha. E quando lavora canta ed al suo canto perfino il fico d’india dietro il lavatoio si commuove. I vecchi dell’isola, con affetto e un pizzico di nostalgia, le dicono che sembra una lazzara. Anche la madre, però quando si arrabbia e le urla dietro.
Bianca vive sola con la madre. La sua casa, piccola, affaccia direttamente sulla spiaggia di ciottoli, ottima per una famiglia di pescatori con la barca e le reti ad un passo dalla tavola carica di un piatto caldo ed un bicchiere di vino, ma il padre, da tempo, non c’è più. L’animo forte di Bianca ha saputo superare anche questo. Ed altro ed altro ed altro ancora. Però dalla sua casa Bianca può vedere quella di Nora e lì, dietro la finestra, Nora.
L’amore scorrerebbe lungo traiettorie rettilinee se non ci fossero un bicchiere di Malvasia ed un geco a mescolar le carte.
Alfio è un bel ragazzo di diciotto anni. Slanciato ma con quel tanto di muscoli sulle braccia quanto basta per far girar la testa alle ragazze. Vestito da carabiniere poi, con quella cintura per la pistola e le manette a cingere i fianchi e con quella camicia azzurra a maniche corte sotto il sole d’estate, beh! Se lo mangiano proprio tutte con gli occhi.
Però i vecchi al tavolo lo sanno: le carte possono anche esser distribuite con cura, in senso orario, sempre, e le regole saranno pur ben scritte, però il gioco se ne cura poco dell’ordine. Non sempre vince la carta più forte. Un bicchiere di Malvasia può far dimenticare gli scarti degli avversari ed un geco sull’incannucciata distrarre il compagno di gioco. Chissà chi è stata la prima a confondersi.
Alfio si innamora di Bianca. Di quella furia di ragazza, delle sue mani indaffarate, la sua voce che lo raggiunge direttamente al cuore, della sua forza che gli dà il coraggio di fare il buffone, di quelle spalle che reggono il mondo, di quelle gambe rotonde sotto il vestito bianco, di quel corpo che gli fa implorare il vulcano di esplodere per poterla stringere e salvare. E di quella bocca da cui sogna di poter ricevere un bacio. Un giorno, chissà!
Il sole compie il proprio giro nel cielo giorno dopo giorno, ma più volte ancora Nestore percorre il mare intorno all’isola. Bianca lavora, aiuta la madre, porta avanti la casa che un giorno, tutti sanno, sarà sua. Alfio fa il suo dovere, ma bada sempre di passare almeno una volta davanti alla casa di Bianca. Una volta all’ora, s’intende!
L’amore di Alfio è noto a tutti e certo anche a Bianca, ma quante volte bisognerà ripeterlo? Un bicchiere di Malvasia, un geco sull’incannucciata…
In un giorno d’estate, sotto il sole caldo ed accecante del pomeriggio accade quello che non è mai stato scritto fra le regole di nessun gioco. La madre di Bianca, tornando a casa, percorre la strada che fiancheggia quella di Nora e lì, dietro le tende mosse dalla brezza di mare, le vede. Bianca, sua figlia, e Nora strette in qualcosa che è qualcosa di più di un segno di amicizia fra giovani donne.
L’amore proibito ha catturato il fiore più ricercato!
Il pianto della madre dura poco, ma è doloroso, poi si decide. Si veste come per le occasioni e va a casa di Nora.
Che bisogno c’è di raccontare la sorpresa, l’incredulità, il primo negare sdegnato, l’insinuarsi del dubbio, il cedere lentamente, il rendersi conto, il piangere della madre di Nora. L’importante è riportare la decisione di quest’incontro: visto l’accaduto e valutate le diverse opportunità la cosa migliore da fare è che sia Nora ad andare per un po’ a vivere sul continente. La distanza ed il tempo, si dice, aggiustano le cose.
Nora, che forse bella non è, delicata lo è di sicuro ed accetta la condanna con la rassegnazione di chi ha quel pugno di anni che sembrano tanti quando li hai ma che non contano niente nel mondo degli adulti.
La Malvasia ed il geco avevano confuso i giocatori, però ora le regole sono state fatte valere ancora.
Non per Bianca che ama la sua Nora. E soffre, soffre tanto da essere pronta a fare per lei anche un salto nel vuoto. Per ora, comunque, sono solo tramonti solitari sulla spiaggia a guardare il mare nella direzione del continente. Senza vedere Nestore che per quel tratto di mare passa seduto a poppa del suo gozzo.
Don Gaetano, il parroco dell’isola, da tempo accumula denaro. È il frutto delle offerte. Le tiene in una cassetta di legno nascosta sotto la panca entrando in sacrestia, la prima sulla destra. Pochi lo sanno, Nestore sì, perché quando il mare è grosso dà una mano nella chiesa dedicata a San Bartolo, patrono dell’isola.
“Un giorno faremo del bene” dice Don Gaetano, ma nel frattempo continua a conservare il denaro, vittima dell’ossessione per l’accumulazione. Capita a tutti.
Nestore, si è già detto, non parla troppo, però guarda e ragiona. Tutto sta nel capire come fare a prendere quei soldi sotto la prima panca sulla destra entrando in sacrestia. L’occasione alla fine viene: è proprio la ricorrenza di San Bartolo, il 24 agosto, il momento di massima festa e di massima confusione sull’isola. Nestore non perde l’attimo e veloce si impossessa del denaro. Nessuno lo vede tranne Alfio a cui, da bravo carabiniere, non sfuggono quelle gambe snelle e leste. Si stupisce del gesto di Nestore, ma un’intuizione gli trapassa il cuore.
È una cifra importante, di quelle che se sai amministrare riesci a viverci anche per dei mesi, poi ti arrangi. Nestore la chiude in una scatola di cartone che poi stringe in una busta di plastica e nasconde sotto i paioli del gozzo.
Il mattino dopo salpa dal porto come al solito ma non prende la rotta consueta. Va in direzione della spiaggia di Bianca. La chiama forte.
Bianca si tuffa. Nuota d’impeto, per questo fa inutili spruzzi. È impacciata dal vestito che si gonfia d’acqua e dai sandali che la frenano ma poi si perdono nel mare. Raggiunge la barca e agile com’è, da giovane selvaggia, si tira su da sola con la forza delle sue braccia. Così, nei colori del primo mattino, seduta sul legno del gozzo, sporta sull’acqua a strizzare i capelli, con il vestito bagnato, i piedi nudi e nient’altro che se stessa, beh! Ora sì che è una lazzara. Ed appare tanto bella, ma tanto spaventata che lo scorfano, che vive da anni sul fondo del mare davanti casa, sale a galla preoccupato.
Nestore non dice una parola. Bianca ha capito, lo guarda ed è pronta.
La prua solca il mare ed il mare resta calmo. Non protesta e non perché a guardarlo sono degli occhi neri, ma perché anche il mare ama l’amore. Ha capito la direzione del gozzo ed è d’accordo, per questo sospende le onde e gira il vento in direzione del continente.
Qualche ora di silenzioso viaggio, poi la costa si avvicina. Nestore tira dritto. È una cosa che non fa mai per rispetto della chiglia, ma questa volta rallenta soltanto e con la prua sale sulla spiaggia. Bianca salta giù veloce ed è pronta a correre dalla sua Nora. È Nestore a dover gridare per fermarla, per darle la scatola racchiusa nella busta di plastica.
Sull’isola la notizia del furto in sacrestia aveva già fatto l’intero giro delle sue case. Bianca non ci mette tanto a capire. Il nero dei suoi occhi si fa ancora più bello dietro una lacrima. Quindi lentamente, con i modi di una giovane madre, con le sue mani carezza ed avvolge delicatamente le guance di Nestore, lo bacia sulla fronte: “Questo è per te!” dice. Poi altrettanto lentamente, ma con i modi di una giovane donna amante posa la sua bocca sulle labbra di Nestore. La lascia lì per qualche attimo quindi si distacca e dice: “Questo bacio portalo ad Alfio!”
Pot… pot… pot… il gozzo sa tornare da solo all’isola ed i gabbiani sanno quello che devono fare: seguire le barche e gridare nell’aria, che altro?
Nestore ha lo sguardo perso sul mare. Ed è proprio una di quelle volte che vorrebbe la compagnia della pipa fra le labbra, ma non può rovinare il carico che porta.
Raggiunge l’isola che il sole sta chiudendo il pomeriggio. Sul molo trova Alfio ad attenderlo.
In piedi, rigido, con la divisa da carabiniere e le manette ostentate a mezz’aria.
“Hanno rubato i soldi di Don Gaetano!” grida.
Nestore ormeggia, scende dal gozzo ed offre i suoi polsi incrociati.
Alfio sorride triste. Getta le manette sul molo, si siede sullo scalino di pietra dell’attracco e chiede, tenendo gli occhi bassi:
“Come sta?”
“Ora bene” risponde Nestore, poi si avvicina ad Alfio e veloce, per non pensarci più, lo bacia sulle labbra.
Alfio si ritrae e scuote la mano con le dita raccolte come a chiedere: “ma che fai?”
“Te lo manda Bianca”.
Quindi, finalmente, si china a raccogliere con la mano un po’ d’acqua e si sciacqua la bocca, poi libera la cima e riprende il mare.
Alfio lo guarda andar via, segue la scia del gozzo fino a vederlo scomparire dietro la punta dell’isola.
Così fa sera. Su, in paese, i vecchi al tavolo ricominciano a distribuire le carte. La Malvasia è già nei bicchieri ed il geco si appresta ad uscire.
Alfio è solo sullo scalino: piange.


L’agave, il vento e il pescespada


Il ragazzino che prese una decisione importante

Chi l’ha detto che il fuoco con l’acqua non possa stare insieme? Lava e mare si esaltano l’un l’altro se a legarli è il rosso di un’esplosione. Poi resta il nero nel blu profondo. E una vita da inventare fra la terra ed il mare. Si può vivere così oppure partire. Certo, si può vivere su di una striscia di terra fertile ma al tempo stesso avara, sul mare generoso ma non sempre benevolo e su di una montagna di roccia buona per gli ulivi, i mandorli, i capperi e le capre. Oppure allontanarsi per raggiungere il resto del mondo.
Nestore ora doveva deciderlo. L’infanzia e la prima adolescenza oramai erano trascorse e per niente al mondo, ne era convinto già allora, le avrebbe scambiate con quelle di altri. Ne era convinto allora, ma anche anni ed anni dopo si ritrovò nella certezza di aver avuto la rara fortuna di esser venuto su in un luogo meraviglioso. Ma non è bene fermarsi prima di esplorare. Quello, per lui, era il tempo della decisione. Quanto poteva offrirgli l’isola era tutto lì, lui la conosceva quella vita e già la padroneggiava, doveva solo consolidarla e poi la distanza fra la sua e quella del padre si sarebbe ridotta a qualche esperienza in meno di burrasche di mare. Altrove sarebbe cresciuto di più. Avrebbe incontrato di più. Ad iniziare dalla cultura. La stessa conosciuta nella scuola del paese che di più ormai non poteva dargli. Eppure era stata lei, la maestra, a fargli conoscere la scienza e la poesia e lui ora lo sapeva che senza poesia il mare può essere soltanto una distesa d’acqua ed il volo di un falco sulla scogliera niente di più di un uccello in cerca di cibo. E che senza la scienza il motore diesel del suo gozzo non avrebbe funzionato.
Che cosa fare? Il padre, povero ma generoso, gli aveva offerto la possibilità del dilemma:
“Resta con me – disse una sera seduto al tavolo per la cena – ma se vuoi andare io ti sosterrò!”
Si può vivere su di una striscia di terra oppure partire. Si può vivere di poco. Si può chiedere di più.
In quei giorni Nestore vagò per l’isola in cerca di una risposta.
L’estate volgeva al termine e di lì a poco sul continente le scuole di grado superiore avrebbero cominciato a dispensare conoscenze. Lui non voleva perderle. Provò a chiedere una risposta, ma la gente del posto non seppe aggiungere nulla di più a quanto lui aveva già pensato. Avrebbe voluto chiederla all’amico Alfio, ma Alfio, da tempo, seguendo il suo destino era andato altrove. Lui, così, secondando il suo carattere solitario e silenzioso la chiese al mare e dal mare, seduto a poppa del suo gozzo, la chiese a quello che vedeva sulla terra mentre circumnavigava l’isola. Lo chiese alla scogliera, ai pesci ed ai gabbiani.
A rispondergli per prima fu quell’agave cresciuta sotto la casa diroccata di una famiglia emigrata, poi risposero gli altri.
“Io resto – disse l’agave – voglio vivere qui sotto questo pezzo di muro bianco dirupato sulla scogliera, armata delle mie spine a difendermi e nelle mani non tenere niente. Con lo sguardo abbracciare la costa fino alla curva dell’orizzonte e diventare tutto quello che vedo. Io voglio essere erba, sabbia, corteccia, vespa, formica, sasso, lucertola, ragno, legno, tronco sulla spiaggia, barca, gabbiano, fico d’india, sole, mare, roccia, onda, burrasca. Voglio essere tempesta, tromba d’aria, scroscio di pioggia, lampo nella notte e notte chiara di luna, acqua di sorgente, vento che entra nelle case, brezza che sfiora la pelle, pianto di un neonato, grido di una madre, sguardo di un vecchio, armonia di un canto, sale sulle labbra, luce dell’alba negli occhi, voce di una parola, broncio di figlia, dispetto di bambino, sogno mattutino, fiato di una frase sussurrata, un bacio e voglio essere vino, resina, l’odore dell’erba secca, il profumo di un’estate, il canto di una cicala. Perché da sola, nel silenzio, devo pensare fino ad intuire la meraviglia della mia terra per diventarne parte. Un giorno, per questo, sotto il muro bianco disarmerò le spine e riuscirò a morire fiorendo!”
“Non mi basta questo mare – rispose il pescespada – ho bisogno di viaggiare. Non da solo certo, ma unito alla mia unica compagna, voglio conoscere ogni angolo del mondo. Porti, golfi, scogliere sommerse, prati di poseidonia, scogli affioranti, vulcani attivi negli abissi. Voglio scendere nella profondità del mare, incontrare, parlare, conoscere, discutere, stringere amicizie. Ne accetteremo i rischi, io e la mia compagna. Cercheremo di evitarli o di vincerli. A volte ci sentiremo sperduti, altre ci ammaleremo, sarà in qualche luogo senza rifugio e senza parenti, qualche amico. Soli nel mondo ci sosterremo e guariremo diventando più forti e consapevoli. Proveremo il sentimento della nostalgia, ma sarà per poco, di più proveremo la gioia della conoscenza, dell’esplorare, del sentirsi crescere con le esperienze acquisite. Impareremo dai nostri errori che comunque, inevitabilmente, rifaremo. Cambieremo ma forse in fondo e per fortuna resteremo sempre uguali. Per questo, un giorno, navigando di continuo non è detto che non ripasseremo per questo mare, ma allora non sarà più un viaggio, sarà un ritorno. Se partirai capirai la differenza. Allora rivedremo i nostri luoghi, rincontreremo le nostre origini. A quel punto, ma solo a quel punto, è lecito restare consapevoli di aver vissuto!”
“Non conosco il restare. Se non mi muovo non esisto: Io sono il Vento. Viaggio di continuo, entro nelle case e passo fra i rami, agito il mare ed asciugo la biancheria. Faccio cadere gli alberi e muovere le navi. Agito delicato il velo della sposa e levo il cappello al maleducato. Sbatto la porta in faccia a chi non conosce amore. Non parto e non arrivo, non lascio e non ritrovo, non rimango in nessun luogo, sono qui e sono altrove. Non puoi tenermi. Sono Io e non più Io, come il fiume per gli antichi non sono mai lo stesso. Nasco e muoio in luoghi lontani e diversi. Per tutto questo non sono di nessuno, sono libero e non sono solo. Incontro i miei simili, a volte ci rinforziamo l’un l’altro, altre volte ci scontriamo e ci avvolgiamo, lottiamo e di sicuro ci divertiamo. Sono debole e sono forte, piacevole e pauroso, umido e asciutto, gelido e cocente sono Io ed il contrario di me. Non ho direzione, ora vengo da Nord ora da Est, mi chiamano con nomi diversi, ma sono sempre lo stesso. Lo so, creo ansia e turbamento, ma anche ammalio ed inebrio. Che devo dirti? Non so che risponderti: Io sono il Vento se non viaggio non vivo, se non cambio non sono, se non fossi instabile non sarei il Vento!”
Chi l’ha detto che il partire con il ritorno non possa stare insieme? Il viaggio e la propria casa si esaltano a vicenda se a legarli è un’esperienza. Poi resta il ricordo. E un pezzo di vita da continuare nella serenità. Nestore aveva deciso. Il pescespada lo aveva convinto. Sarebbe partito e forse un giorno tornato, chissà.

[continua]


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