L'albero delle albicocche

di

Franco Calderoni


Franco Calderoni - L'albero delle albicocche
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 146 - Euro 13,50
ISBN 978-88-6037-6800

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L\‘albero delle albicocche è la storia del signor Frank e della sua vicenda umana. Da un piccolo paesino inizia una immersione nei ricordi dell\‘infanzia, nelle storie che scorrono veloci dalla figura della nonna, al doloroso periodo della guerra, alla ricerca della fede con un viaggio a Betlemme. Denso di malinconia e di \“immagini incerte\”, Franco Calderoni con tono pacato racconta l\‘umano incalzare degli eventi che si fissano nella memoria, la scoperta della diversità delle visioni della realtà circostante, le incertezze ed i dubbi nel cammino verso la fede.

La ricerca costante di qualcosa forse irrimediabilmente perduto. Come l\‘epilogo imprevedibile di questo romanzo.

Massimo Barile


L'albero delle albicocche

Voi ascolterete,
senza capire,
guarderete,
senza rendervi conto
di quel che accade.

(Isaia 6,9)

L\‘albero delle albicocche
Un pomeriggio Frank, spinto da un\‘insolita curiosità, si allontanò con la barca dalla piccola spiaggia a lato della Cabianca. Guardando verso i castelli, da una distanza di poco più di trecento metri, aveva scorto sul prato dell\‘isolotto una donna di bell\‘aspetto, dalle movenze armoniose.
Non riusciva a vedere bene, ma mentre si avvicinava remando, i lineamenti della donna diventavano sempre più nitidi.
\“Speriamo che non se ne vada!\” pensava, perché normalmente, sebbene sul lago vi fosse un movimento continuo di natanti, era sempre solo. A volte sbarcavano gruppi di ragazzi e ragazze e allora il prato si riempiva di voci squillanti e risate, poi d\‘improvviso ripartivano e tutto ripiombava nel silenzio. Parevano stormi d\‘uccelli cinguettanti che sostavano un attimo per riprendere il volo.
Frank senza forzare sui remi approdò all\‘isolotto. Sistemò la barca e prese il borsone per salire dalla riva al prato. Fatti pochi passi si trovò davanti un grazioso bimbo e poco oltre una bellissima donna, madre e figlio, nei loro costumi da bagno, venuti alla riva ad osservare il suo arrivo. Il bimbo, nonostante i richiami della madre, non voleva allontanarsi.
\“Ciao piccolo!\” salutò Frank porgendogli la mano per assicurarsi l\‘accesso al prato sul sentiero scavato nella roccia.
Il bimbo, come se avesse incontrato uno di famiglia, afferrò la sua mano e lo guidò fino nel mezzo del prato. Frank lasciò fare. Intanto osservava la madre che si era zittita. Era veramente una donna splendida. Sul prato vide un pezzo d\‘uomo tutto muscoli, anche lui in costume da bagno, immerso nella lettura del giornale. Frank fu colpito dalla folta peluria sparsa in tutto il corpo. Se avesse avuto qualche dubbio sulla discendenza dell\‘uomo dalla scimmia, qui aveva l\‘anello di congiunzione.
Le presentazioni furono inevitabili. Seppe che Lidia era il nome della madre del piccolo Marco e Giorgio quello del padre. Il bimbo non aveva ancora tre anni, era gracile anche se non lo dimostrava e i medici avevano consigliato il lago nei mesi caldi. Il marito, ingegnere in elettronica, era originario di un paese dell\‘alto entroterra sulla riva opposta dove abitavano i suoi genitori. Abitualmente stavano a Milano nella casa di lei, ma possedevano anche una villa sul lago. Venivano all\‘isolotto dei castelli per la posizione in mezzo al lago e pensavano che ciò potesse giovare maggiormente al bambino. Avevano acquistato da poco un gommone che Frank scorse ancorato non lontano dalla propria barca. Pensavano di venire tutti i giorni ai castelli.
Frank si presentò in poche parole e si meravigliò come la vita di un uomo si possa raccontare in quattro battute.
Si sedettero in circolo e intanto il piccolo Marco, che non si era mai allontanato, gli si era appiccicato addosso. Gli era alle spalle e si divertiva a mettergli le mani al collo, ad abbracciarlo tentando di salire a cavalcioni. Frank non aveva mai avuto a che fare con i bambini e si sentiva impacciato.
Il bimbo aveva i capelli biondi con i riccioli e due occhi grandi azzurri. Era appena abbronzato e portava uno slippino color nero seppia. A Frank vennero in mente i poco verecondi puttini che aveva visto nei musei dipinti sulle tele o sulle volte delle chiese.
\“Marco non infastidire il signor Frank!\” intervenne la madre con voce poco convinta.
Il piccolo non aveva nessuna voglia di smettere e giocava come se avesse a che fare con un grosso bambolotto. Era di una vivacità impressionante. Ora stringeva Frank con tutta forza e, subito dopo, lo spingeva da farlo cadere oppure gli metteva le dita nelle orecchie o gli stropicciava il naso. Frank cercava di stare al gioco facendo del suo meglio. Comprese quanto fosse bello giocare con i bambini, ma anche quanto fosse difficile ad una certa età.
Intanto la conversazione era sempre viva ed interessante. I due avevano una conoscenza del lago più ampia della sua. In particolare Giorgio pareva la sapesse lunga sui due castelli in mezzo al lago.
La conversazione toccò vari argomenti e le ore trascorsero rapidamente. Giunse il momento del commiato.
La madre dovette afferrare e portarsi via con forza il piccolo Marco che non voleva staccarsi da Frank.
\“Arrivederci a domani!\” ripeteva Frank per tacitare il bimbo che si era messo a strillare. Aveva dato un ultimo sguardo attento a Lidia e ne convenne che era stupenda.
Dalla barca rivolse ancora un saluto al piccolo Marco che dal gommone agitava le braccia. Si allontanarono lasciando un movimento d\‘onde e una scia spumeggiante.
Frank giunto a riva e ancorata la barca presso la Cabianca, salì sulla strada che costeggia il lago dove tutte le volte parcheggiava l\‘auto. Era assorto ed entrò subito nell\‘abitacolo dell\‘auto diventato un forno dopo la lunga esposizione al sole. Si domandava come mai un bimbo così piccolo provasse tanta simpatia per una persona anziana mai vista prima. Il pensiero lo accompagnò fino a casa. Alla fine concluse che forse al piccolo mancava l\‘affetto di una persona adulta, come poteva essere un nonno. Ne avrebbe parlato alla madre.
Si sentiva di buon umore, contento di vivere e di trovarsi al proprio paese.
Non erano trascorsi molti anni da quando era ritornato al paese dopo un\‘assenza durata quasi tutta la sua vita. Le proprie radici, le prime esperienze, il primo impatto con le persone, con gli animali e le cose, si erano impressi nella memoria che, anno dopo anno, diventarono continuamente un punto di riferimento e di confronto. Senza contare che nel frattempo l\‘immaginazione aveva fatto la sua parte e i ricordi avevano assunto contorni e sviluppi imprevisti.
Il paese in riva al lago, rivolto a sud e racchiuso in un golfo e con alle spalle i monti degradanti che lo difendevano dai venti di tramontana, godeva di una posizione privilegiata e di un clima invidiabile.
Tuttavia era pur sempre un paesetto, che consisteva in un gruppo di case con poco più di un migliaio di residenti. Non passava la ferrovia ed era servito da un\‘unica strada che costeggiava il lago. Le vie erano strette e le case più alte non più di tre piani. Nessun grattacielo e tanto meno cattedrali e strutture architettoniche imponenti. Eppure Frank amava profondamente il suo paese.

Quando ebbe sotto gli occhi la planimetria della futura abitazione che l\‘agenzia gli aveva trovato dovette ammettere che il suo sogno stava per realizzarsi. Non importava se l\‘abitazione consisteva in un miniappartamento e il pezzo di terra annesso era troppo piccolo, l\‘importante era ritornare al paese.

Mentre in auto tornava dai castelli ricordava l\‘impatto dei primi giorni. Una vera delusione. Nessuno lo conosceva e le persone che incontrava erano tutte facce nuove. Gli fu difficile rendersi conto che erano trascorsi quasi settant\‘anni e, calcoli alla mano, potevano ricordarsi di lui solo i pochi compagni delle scuole elementari. Gli altri erano troppo giovani. Inutilmente cercò di scoprire nei più anziani un volto conosciuto. Avrebbe voluto recarsi in Comune e chiedere, ma temeva di far brutte figure.
Anche il paese gli riservò delle amare sorprese. Era tutto trasformato. Le case ristrutturate sembravano diverse e le stesse vie, con i loro vicoli acciottolati che conosceva come le proprie tasche, le trovò rimesse a nuovo con lastricati di porfido e di pietra viva. Nei primi giorni girovagò per il paese con una certa apprensione sperando di ritrovare i segni più evidenti di ciò che per anni aveva conservato nella memoria.
Non a caso si trovò nello stesso luogo dove un giorno suo padre gli aveva detto indicandogli l\‘alto entroterra: \“Quando avevo la tua età, lassù si coltivava e si scorgevano ampi appezzamenti dal colore giallo per il biondeggiare delle spighe di frumento e d\‘orzo! Ora è diventato tutto un bosco!\”
Suo padre, se fosse stato presente, avrebbe visto che anche il verde dei boschi era sparito per lasciare il posto a costruzioni di cemento. Avevano costruito numerose case, fin sotto la montagna.

L\‘abitazione, che l\‘agenzia gli aveva trovato, era addossata ad un\‘alta costruzione e consisteva, al piano terra, in un unico locale trasformato in sala da pranzo e cucina e da un vano scavato che serviva da cantina e ripostiglio. Al piano superiore vi era un\‘ampia camera con servizi. Era più che sufficiente anche se sperava di più. La gioia di Frank era il pezzo di terra aperto sul davanti che si rivelò più grande del previsto e faceva da separazione tra l\‘abitazione e la strada, lungo la quale, sul lato opposto, s\‘innalzava il muro di cinta di una villa con le persiane sempre chiuse.
Dopo aver sistemato i mobili e fatto collocare un prefabbricato che doveva servire da garage a ridosso del muro divisorio, mise mano al pezzo di terra. Per prima cosa fece piantare i laurocerasi sul ciglio della strada lasciando lo spazio giusto per entrare con l\‘auto. Erano cresciuti e formavano una folta siepe sempreverde che nascondeva il giardino dagli sguardi indiscreti.
Sistemò il pezzo di terra a prato verde piantando ai margini i fiori. In paese facevano a gara nel piantare i fiori e non solo se ne vedevano sui balconi e sui davanzali delle finestre, ma in ogni angolo. Poteva benissimo essere chiamato il paese dei fiori. Frank constatò che non c\‘erano alberi da frutto e nemmeno pezzi di terra coltivati ad ortaggi.
Incuriosito si aggirò per il paese sbirciando nei giardini per scoprire qualche orticello. Non ne trovò. Non vide neppure una pianticella di rosmarino e di salvia. Provò a chiedere e gli fu risposto che non si coltivavano gli orti né si piantavano gli alberi da frutto a causa dell\‘inquinamento atmosferico.
Mangiare i prodotti della propria terra era un rischio che nessuno voleva correre.
Per Frank fu una vera mazzata. Era ritornato al paese spinto anche dal desiderio di gustare e riscoprire i sapori genuini di un tempo. Troppe volte aveva sospirato i frutti gustosi della sua terra, mentre addentava la frutta o si sforzava di trangugiare le verdure senza sapore, acquistate ai supermercati.
Non si dette per vinto. Piantò tanti fiori di tutte le qualità e non rinunciò alle gustose verdure che aveva sempre sognato di mangiare.
Destinò una parte del giardino, la più nascosta, a terreno coltivabile e ne ricavò un piccolo orto.
Dovette faticare non poco, adoperandosi in tutti i modi, per rintracciare le sementi. L\‘ottenne a borsa nera, come al tempo di guerra, pagandole più del dovuto. Poté avere sementi di cicoria, pomodori, zucchine, cavoli e poche altre qualità. Tutto era nelle mani delle grandi aziende ortofrutticole che coltivavano e distribuivano i prodotti selezionati e confezionati, con data di scadenza e marchio di produzione. Frank li osservava in bella vista nel gran negozio di frutta e verdura e nel supermarket del paese. Riconobbe subito che erano simili a quelli della grande città che aveva lasciato.

Piantò anche alcuni alberi da frutto. In particolare riuscì ad avere un albero d\‘albicocco che nel giro di pochi anni crebbe enormemente. Lo mise proprio nel bel mezzo del giardino adducendo la scusa di averlo piantato per i suoi fiori. All\‘inizio d\‘ogni primavera era uno spettacolo con i suoi rami coperti di larghi fiori dalla corolla bianca soffusa di rosa. Ed ora, con il sopraggiungere dell\‘estate, i frutti cominciavano il lento processo di maturazione ingrossandosi e assumendo colori che andavano dal verde acerbo, al rosso e giallo per finire al vivo arancione.
Frank, di fronte a tanta meraviglia, rimaneva a lungo estasiato ad ammirare.

I suoi genitori in paese non avevano posseduto né terreni né abitazione. La casa dove aveva abitato era in affitto, in pieno centro, a pochi passi dal lago. Invece sull\‘alto entroterra, a pochi chilometri, in una località detta Piancassona, viveva la nonna che era proprietaria di una casa e di terreni. Era una casa rustica e isolata, poco distante dalla strada carrozzabile che saliva fino a raggiungere due piccoli centri. Esisteva una chiesetta, quasi sul limitare della strada, dedicata a Santa Lucia che, in alcune ricorrenze dell\‘anno, era punto d\‘incontro degli abitanti del luogo.
Frank ricorda che dalla nonna trovava sempre qualcosa da mettere sotto i denti. In quel periodo era sufficiente possedere alcuni campi e qualche vigna e avere una mucca nella stalla con conigli e galline, come la nonna, per essere considerati benestanti. Si era in tempo di guerra e molti pativano la fame. Scarseggiavano gli alimenti di prima necessità.
Ogni giorno saliva a Piancassona. Durante il periodo scolastico, nel tardo pomeriggio, terminata la scuola, andava su a prendere il latte e a divorare ciò che la nonna gli aveva messo da parte. La fame era sempre tanta.
\“La schiuma è per il mio Frankie!\” affermava la nonna, subito dopo la mungitura, e gli porgeva il cucchiaio di legno con il quale aveva allontanato le impurità in un angolo del secchio pieno di latte. Frankie attendeva quel momento con impazienza e, nonostante il disappunto della nonna, finiva per affondare il viso nella dolce e calda schiuma.
I mesi estivi li trascorreva a Piancassona nella casa della nonna.

Prima di incontrare il piccolo Marco e i suoi genitori, Frank si recava all\‘isolotto dei castelli solo qualche volta durante la settimana per godersi un po\’ di tranquillità ed un panorama invidiabile. Ora, nonostante la calura dell\‘estate appena iniziata, ci andava tutti i giorni. Era come recarsi ad un appuntamento, attratto dalla bellezza di Lidia e atteso dal piccolo Marco.
Seduto a poca distanza poteva osservare a piacimento i lineamenti perfetti del corpo di Lidia che l\‘aveva fatto trasalire fin dal primo giorno. Lei si muoveva disinvolta, accogliendo e trattando Frank come una vecchia conoscenza. Doveva essere ancora sotto la trentina e nonostante la maternità non si scorgevano smagliature di sorta.
Lidia era una donna affascinante come un fiore appena sbocciato. Portava un bikini ocra orlato di nero su una pelle vellutata e morbida che iniziava ad abbronzarsi con il colore rosso tenue del melograno. I capelli erano di un biondo naturale, lunghi e sciolti, alla selvaggia. A volte li annodava a coda di cavallo e allora appariva evidente il bel viso ovale. Il naso di stampo classico era un po\’ all\‘insù, mentre il sorriso, largo e aperto con due labbra pronunciate e sensuali, mostrava una fila di denti bianchi e perfetti. Lo sguardo pareva sincero anche se folte ciglia nascondevano grandi occhi azzurri dai riflessi verdi che rivendicavano una certa furbizia. Tutto il corpo esprimeva perfezione e armonia di forme che Frank aveva visto raramente.
Frank si riteneva un intenditore di bellezze femminili. Aveva visto giusto, perché un giorno Lidia gli confidò che, prima di incontrare Giorgio, aveva vinto parecchi concorsi di bellezza e, proprio quando tutti le assicuravano un successo di grande star, con il matrimonio dovette rinunciare per diventare una donna di casa. Cosa questa che non le dispiaceva per la gioia che le dava il piccolo Marco.

Il complesso dei castelli è costituito da tre isolotti ravvicinati, distanti poco più di trecento metri dalla riva e a pochi chilometri dal paese. Il primo isolotto è un semplice scoglio roccioso con alberi. Il secondo, quello centrale, è il più esteso ma è completamente occupato dal castello che si erge a picco sul lago e si presenta come una vera e propria fortezza con alte mura di difesa e grosse torri.
Sul terzo isolotto, costituito da un largo prato, si eleva una torre circolare affiancata al castello detto delle Prigioni. Frank scelse questo prato come luogo privilegiato per rilassarsi nei caldi pomeriggi estivi.
La scelta non fu a caso, perché fin da piccolo i castelli erano circondati da un alone di mistero e avevano sollecitato la sua immaginazione infantile. Si raccontava di pirati che nei tempi passati ne avevano fatto un punto di forza e compivano ogni sorta di scelleratezze, non ultima il rapimento di giovani belle fanciulle.
Frank li rivide come li aveva lasciati, diroccati e nel più completo abbandono. La curiosità era tanta e voleva a tutti i costi conoscerne la storia. Giorgio, il marito di Lidia, capitò a proposito, perché aveva compiuto delle ricerche sui castelli.

\“Questi castelli\” signor Frank \“li costruì Ludovico Borromeo, signore del lago, nel 1519 per opporsi alla dominazione spagnola.
Siamo al tempo in cui Carlo V, re di Spagna, ereditando i domini asburgici d\‘Austria, pretese la corona imperiale e la signoria su tutta l\‘Europa. A lui si oppose Francesco I di Francia che, presentandosi come unico discendente di Carlo Magno, avanzò la stessa pretesa.

Il Borromeo fu coinvolto nel conflitto perché aveva aiutato i francesi a liberare Milano. Gli spagnoli, capitanati da Anchise Visconti, gli mossero contro conquistando dapprima la rocca di Arona, baluardo del Borromeo, e poi volgendosi ad espugnare questi castelli.

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