Velieri di ricordi mi attraversano - Poesie

di

Cinzia Nuvoli


Cinzia Nuvoli - Velieri di ricordi mi attraversano - Poesie
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 64 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6037-4882

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Prefazione

Come in un lento naufragare nel flusso memoriale e nelle parole che sempre ritornano, Cinzia Nuvoli infonde in questa silloge di poesie la visione della realtà esistenziale d’una donna che, attraverso un processo istintivo, riporta ogni esperienza, ogni tensione necessaria e percezione del divenire come a seguire il ritmo della vita per rendere possibile il disvelarsi di quegli stessi frammenti esistenziali. Come “anima errante” in questo mondo, nell’incessante scavare “dentro il silenzio”, emergono affreschi di pensieri e lo specchio del tempo riflette immagini “rivestite” di una patina da eliminare: le sue parole sono avvolte da “sottili tele di malinconia” e i ricordi lambiscono le zone più oscure mentre si disperde, nel lento fluire dei giorni, il “pulviscolo” del tempo. Immaginarsi un palcoscenico inesistente dove padrona assoluta è “la poesia silenziosa delle cose” fino ad avvicinarsi ad una sensazione di immaterialità. Ecco allora che la figura della madre si fa “grande luce”, le persone amate riportano alla mente le parole d’amore, i semplici gesti che hanno inebriato i giorni della vita, i sentimenti autentici che hanno purificato il nostro cuore. Eppure la presenza della morte è palpabile, “l’oblìo di un nulla che divora” viene respirato tra le parole che riportano la drammaticità di questa esistenza e la inevitabile constatazione che il tempo che passa inesorabile e “trasfigura il ricordo”. E la voce di Cinzia Nuvoli si alza dalle ombre del tempo, fuoriesce come un grido “strozzato” nella gola, sorprende al culmine dell’inquietudine mentre ci si avvia con passo incerto in questa difficile vita e, infine, si disperde nel vento, forse non riuscendo a sanare le ferite del cuore. Cinzia Nuvoli scandisce il ritmo intenso delle sue poesie, di frammenti recuperati e ricomposti con coraggio e il suo universo accomuna l’amara consapevolezza della propria condizione di essere umano, la solitudine e il tormento interiore, il senso di abbandono che rendono evidente l’anima lacerata che ravvisa “un futuro senza sentiero”: e poi il coraggio di perseguire il suo obiettivo, la volontà di cancellare “ogni traccia prigioniera”, di lasciarsi andare e fluttuare libera, diventano il fecondo tentativo di indirizzarsi verso la via salvifica. È questo l’esito finale che conduce a quel “tutto da rifare” come a ripartire sempre dal “nulla che siamo”: perché, in ultima analisi, non siamo che polvere alla ricerca della felicità, d’uno spiraglio di luce divina che illumini il nostro cammino. E noi, come viandanti erranti in zone sconosciute cerchiamo disperatamente di trovare la giusta direzione, un valido motivo, un giusto senso del vivere. Ecco allora che le persone amate, le nostre esperienze, il flusso di coscienza che incanala nella rivelazione poetica, e poi i sogni ricorrenti, le parole e le immagini, come schegge impazzite, perseguono “l’inesauribile sete di pace, di libertà”: abbandonando le “superficiali considerazioni” per tornare a sperare nella vita, in attesa d’un “segno” che sia sostegno al “passo brancolante” e permetta di decifrare la propria storia tra le oscurità delle notti solitarie. Cinzia Nuvoli provoca la sua anima per sanificare l’ansietà d’una notte universale, per svelare l’enigma “stringendo forte sul petto/un quadernetto pieno di ricordi”: “fuori del mio tempo/nuda di corpo e d’anima…”, per segnare il nuovo percorso, guardando l’ “altro mondo” come inquieta preda dell’esistere, silenziosa ed assorta, con la convinzione che “con l’amore si ha tutto quello che occorre”. Quasi ad alimentarsi, nel corpo e nell’anima, con le parole delle sue poesie, nella fragilità dell’esistere, sempre intenta a scompigliare ciò che pare evidente, sempre pervasa da quel senso di caducità delle cose e della vita stessa: per afferrare ciò che non si conosce. Per comprendere ciò che veramente è importante.

Massimo Barile


Velieri di ricordi mi attraversano - Poesie

Nous ne choississons pas notre famille
mais elle nous soutienne
tout au long de notre vie,
contre les proverbiaux vents et marées.
Je ne peux pas tous vous citer ici
Mais vous vous reconnaitrez.
Je chéris la place que j’occupe
Dans votre existence.
Vous m’avez accordé sans compter
Votre présence et votre temps…
Qu’en retour je ne faillirai pas
A vous rendre la pareille,
Tel est mon unique espoir…

a Duc


Parte Prima

“Eco di Parole in un Deserto di Ossa”

Et je m’en vais au vent mouvais qui m’emporte de ci, de là Pareil à la feuille morte. (P. Verlaine)


Occhi di bimba

Occhi di bimba
bagliori di luce
innocenti, candidi occhi scrutavano
sbirciavano, dalle piccole finestre
di quella minuscola casetta.

Nonno!

L’arte nelle tue mani,
l’amore nelle tue parole
la tua voce mi giungeva forte,
risuonante cristallina
mi guidava tra quelle sottili
e profumate pareti di legno.

Immersa con te in un verde infinito,
galleggiante in un azzurro spumeggiante
come onda nel mare,
leggeri e felici come due vele bianche;
la nostra scia si disperdeva
libera nel cielo,
fissava nell’anima
anche il più piccolo frammento di vita con te.

Strappato da un violento temporale
mi hai lasciata qui,
naufrago dalla vela lacerata
tra queste finestre che piangono
tra pareti che trasudano tormento
e porte che si chiudono al dolore.

Mi hai lasciata qui,
in questo presente di vuote parole,
in questa vita, quasi un rantolo senza te.

Mi hai lasciata qui,
occhi di bimba, di tanto tempo fa
a sostenere il ricordo di un amore infinito,
mai dimenticato.


Parlami ancora

(a Stefano)

Come fumo si dissolve nell’aria il tempo,
regna la quiete in questo remoto angolo di mondo
ov’io errante mi nascondo.

Soffoca l’orizzonte,
nello sguardo pervaso d’azzurro
di sereni fanciulli d’allora.
Plenilunio di perla nel cielo,
d’acquarello sfumato
frange di nubi sparse si dibattono
nel sussurrio di candide Anime. Tremor segreto,
mi accoglie ancora la vecchia casa
là a picco sul mare,
dove amavam con l’indice segnar la sabbia
al fragor dell’onda sulla riva.
Dolce rimirar, le soffici impronte
in fiabeschi nascondigli
di baci di bimbi giocati perdutamente.
Ronzano qual tuoni le tue parole dai dolci toni,
tessono fili di un nuovo disegno
di più amabile destino.
Parlami, tu d’altri mondi venuto
dei tuoi petali che il vento sparse innumeri
senza asciugarne il pianto.
Rinnegato Fantasma, prigioniero di un sogno,
su drappi di stelle di mare e di cielo
adagio soffi di fiato
pronti ad inseguirti, nelle giunture dei secoli perduti
nelle pause millenarie del vuoto.

Parlami, parlami ancora,
di quel tuo Paradiso
che una volta ti ha sfiorato
e su questa terra, a me per sempre, ti ha negato.


Grande Luce

(1981: a mia madre)

Vagando nel vuoto,
mi son trovata di fronte a te grande luce.
Ti ho guardata
accecata dal tuo immenso bagliore. Ho capito,
inutile continuare a vivere
quando un cuore è lacerato
quando un’anima mente anche a se stessa.
Tu mi hai sussurrato: altre strade,
vi sono da percorrere prima della fine.
Ma io, io sola posso dirti
da questo dolore, mai guarirò!
Vale la pena,
scrivere cose che mai nessuno leggerà?

Vale, come vale guardare un fiore
che sboccia con il suo inebriante profumo.
Vale, come avere una vita piena di colori
che tu non hai visto mai.
Hai cancellato per me
ogni ingiustizia, ogni egoismo,
non ti sei arresa mai.

Ti amo grande luce,
soltanto tu hai saputo capire
ciò che turbava il mio cuore,
la mia mente sconvolta dal dolore.

Vedo attraverso i tuoi occhi un mondo migliore. Rimaniamo unite, ancora una volta grande luce: per continuare una vita che credevo oramai finita.


Ballata Oscura

(Breve incontro con la morte)

Nel ventre di mia madre già ti respiravo,
maschera della morte.
Perduta in ombrose acque,
colata a picco nell’eternità del vuoto
nell’immortale tormento d’infanzia assassinata.
Vascello vuoto,
attraversai la vertiginosa ombra dei morti
il fondo e l’oblio di un nulla che divora.

L’invocazione urlò dal buio del precipizio,
a grandi colpi di dolore bussai alle tue porte;
l’occhio pervaso d’ingenua purezza
si schiuse all’atroce risveglio.

Eri tu, maschera della morte!

Era dunque del tuo fremito glaciale
che riempivi le tenere membra,
del tuo sguardo uncino d’acciaio
che attraversavi le carni
e le rendevi prigioniere
della cieca galera della disperazione.

Ossessione sovrana,
in una terra cosparsa di cenere
spettro, di un cuore avvolto in brandelli di seta nera.
Dall’antro profetico risuonò l’Eterno
e il vento mescolò i tuoi piani. Su drappi rosa
di una sera di ottobre
si allontanò il tintinnio delle tue catene,
il pozzo di marmo nero ingoiò la tua scure assassina,
e tu maschera della morte
soccombesti, alla dolce melodia della mia Vita.


Questi ultimi attimi

(a Krabel)

Questi ultimi attimi
ti posso ancora guardare,
posso immaginarti ieri
quando incubo e angoscia
sembravano così lontani.

Ripercorro con il cuore attimi di vita,
di gioia infinita che tu spontaneamente mi hai donato.
Porti con te gelosamente i nostri segreti,
le nostre intese, i nostri giochi.

Desiderata, tanto amata
unite in uno stesso respiro
complici in un’amicizia unica al mondo.
Ignoro il cammino che percorri,
potessi io, riascoltare il tuo respiro
in questa gelida notte,
potessi io, ricambiarti ora
con qualcosa di miracoloso,
come miracolosa tu sei stata per me.

Lasciati almeno cullare
in questo ultimo abbraccio,
lasciati accompagnare
dove i nostri cuori
non possono smarrirsi.

Allontaniamoci, insieme e per sempre
da questo giorno
dove tutto sembra morire.


Giorni, settimane, mesi, anni

Giorni, settimane, mesi, anni,
inesorabile il tempo passa
trasfigura il ricordo dell’ora che fu.
Incide nel cuore
la mancanza dei tuoi passi
la carezza delle tue parole,
l’oblio dei tuoi occhi
così lucenti da imbarazzar la luna.

Eppur nel dolore mi muovo ancora,
orme tue di sabbia
mi conducono verso luoghi antichi
come ogni piccolo battito per te.
Sibilo di vento,
tremito di foglia,
rapinosa danza di vita che freme d’avvolgerci.

Oh! Dolce usignolo,
il tuo canto languido attraversa un mondo
che i miei occhi sgomenti non sanno,
stringi nel tuo becco
il messaggio di un amore instancabile,
trattieni il filo che sostiene
queste nostre anime tra due mondi divise.

Lancinante dolore,
tra la fitta nebbia delle mie lacrime,
pur di scorgerti chiedo al tempo la sua fine.

Giorni, settimane, mesi, anni,
inesorabile il tempo passa e non torna.
Avvolta di te nell’eterno
resto vibrante ad ascoltare
la poesia silenziosa delle cose.


Angelo mio

Come dentro il silenzio
scavato nell’abisso della notte pallida,
l’esile luna stende un velo tessuto d’argento
sul gradino di marmo,
ove la mia ombra trasparente, si ferma a sognare.

Vano è questo lacrimare,
vani i sospiri, vane le parole, oltretempo sospese.
Anima in pena, in quel gorgo di immagini
a tornar sempre lì, trova condanna.
Di là dall’orizzonte, funi ingiallite dal sole
srotolano in un rumore d’onda,
il ricordo luminoso di te.
Rinserro nella gola un grido:
Oh! Da quanto tempo non sei più, Angelo mio.

Al cielo alzo lo sguardo,
vedere vorrei in sua immensità riflessa,
ogni tua amata fattezza.
Al mosaico del tuo volto m’avviluppo,
la curva dei tuoi occhi fa il giro del mio cuore,
ed il mio sangue fluisce in quegli sguardi.
Nel vuoto che intorno aleggia, ti cerco,
mi sfioran le tue candide manine,
gemme di mandorlo e di rose.

Com’era la seta della tua vocina, non lo so più:
ma quando la Primavera sui prati risfiora,
risento la calda tua parola
ancora parlarmi da un’altra
primavera, lontana come il Paradiso.

Salgo verso te, Angelo mio!

In melodie di parole e d’aria, invocherò il tuo perdono,
in un limpido rivo di note,
una tenera ninna-nanna
cullerà gli eterni tuoi singhiozzi,
in un manto di stelle
dal mio amor accese
troveran le tenere tue membra,
eterno rifugio.


A domani…

Bianco orizzonte è questa notte,
alle soglie del sonno, sgranan gli occhi i sogni,
come mani spettrali in una stanza chiusa
afferrano freschi pensieri
e l’anima con mani fragili di cera
innaffia uno sfinito chiar di luna.

Artigli di nuvole, diradan sull’altura dei ricordi
il murmure dei secoli e tutt’in un pigolio di stelle
gocciolano sul volto di eterna bambinetta,
campanili di pioggia, dai cristalli fusi in un lamento.

- A domani… – mi dicesti, nonna
In quel domani, immensamente oggi lontano,
ignota divenne, l’ombra mutevole della tua fronte,
il discorso ardente delle tue mani,
il fluire segreto del tuo Cuore.

Muta, con sguardo impaurito,
ti accompagnai nell’estremo tuo viaggio,
librarti ti vidi, da quella scatola d’agonia senz’ali.

Nell’aria orrida, al niente mi appoggiai,
nella tua voce che si alzava e scendeva,
pioggia e vento insieme,
risuonò – Non perderti, tesoro mio! – In una ragnatela costellata di perle,
avvolsi tormento e rimpianto,
sui muri della tua casa, ove fiotta ancor l’ombra tua fievole,
dipinsi ogn’ora, il meraviglioso affresco del nostro legame,
appassionato e tenero.

E sempre mi conduce il tuo sguardo,
quando a tentoni cerco nel buio il cammino della vita.

La tua mano, germoglio di sublime quiete,
in un fruscio di seta si china a rimboccar
la notturna mia culla,
e copre il tempo con l’orlata carezza
di qualche Santa Speranza,
di cui tu sai, ed io sono ignara.

A domani… nonna!

Le stelle non servono più, si spengono una ad una
si smonta il sole, imballata vien la luna.
Verità d’Amore diventi ogni volta
dove ho imparato ad amare oltre te,
ora senza te, non potrei.


Specchio del tempo

I colori del tramonto
s’aggrappano lentamente
alla luce tremula della notte.

Illumina la luna, con lacrime di cera
occhi assorti, posati chissà dove.
Come lampi dal cielo s’incrociano e si srotolano
sullo specchio del tempo,
immagini rivestite di patina antica.

Specchio,
che hai fatto della mia giovinezza?
Quale magia nascondi nel volto
d’un tratto polvere fra le mie mani.

Palpitante nell’intimo buio,
ti affanni a tradire il nobile segreto,
cuci in sottili tele di malinconia
l’infinità delle rughe,
altro non sono che ricami del cuore.

Sfiori l’affacciarsi incredulo di argentei capelli
gomitoli di ricordi stesi al sole;
scruti occhi che da soli più non vedono,
ove danza libero il pulviscolo dorato del tempo.

Infliggi ogni giorno nuove profonde delusioni
in questo spartito oramai ingiallito.
Dipingi un palcoscenico che non esiste,
ti nascondi dietro cornici di velluto
distratto, non cogli lo splendore della mia anima,
libera su vortici di vento
leggera come piume di uccello.

Oso liberarmi,
non più tornerò ciò che ero
ombra nuda sarai senza me,
sei riflesso che leggiadro
io porto come schermo al mondo,
sei solo specchio,
appeso al muro dell’Eterno.


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